Leader si nasce, ma poi veniamo educati a non esserlo
In antitesi con l’opinione comune – e con buona pace di educatori e pedagogisti – io credo che oggi ciò che più limita il nostro progresso e la nostra evoluzione sia l’educazione. Veniamo alla luce con un potenziale straordinario e tutte le capacità di realizzare noi stessi, ma veniamo educati a essere qualcuno che non siamo. Addomesticati a essere vittime, non leader.
A prima vista potrebbe sembrare quasi paradossale, ma l’educazione che consideriamo normale e necessaria è in realtà largamente influenzata da un’ideologia pedagogica distorta, volta a storpiare il bambino e impedire lo sviluppo delle sue naturali doti di leadership.
A tal riguardo, Warren Bennis sosteneva che “Il primo ingrediente di base della leadership è una visione guida”. Stando quanto professava lo studioso americano, “Il leader ha una chiara idea di ciò che vuole fare — professionalmente e personalmente — e la forza di insistere nonostante i contrattempi, e gli insuccessi”.
Parafrasando il suo pensiero, possiamo affermare che si tratta di avere nella propria mente una chiara immagine di cosa si vuole (fare e diventare) e fare tutto ciò che è necessario per realizzarla. Questo, ovviamente, implica essere determinati e comporta l’utilizzo della propria forza di volontà per mantenersi sulla retta via.
Metaforicamente, è quel che fa un bambino quando impara a camminare. Ha certamente una chiara idea in merito, e continua a insistere. Talvolta strisciando, gattonando, cadendo e rialzandosi finché non avrà imparato. Non accetterà nessun compromesso. Insisterà, e in nessun momento o caso penserà di aver fallito nel suo intento, né abbandonerà la sfida.
Questo per dire che noi tutti siamo nati con gli stessi strumenti. Ognuno di noi è dotato di un enorme potere creativo, e noi tutti possiamo formarci una chiara idea di chi vogliamo essere e cosa vogliamo fare nella nostra vita. In generale, quel che manca è però la volontà di perseguire i propri obiettivi con tenacia e determinazione. E qui sta la differenza fra la vittima e il leader.
La vittima subisce le circostanze. Il leader crea la sua realtà di vita in base alla sua volontà. Il punto è che leader si nasce. Ogni bambino viene al mondo per un’intenzione e ha una sua volontà personale. Veniamo però addomesticati a non esserlo sulle basi di quella pedagogia nera che ha dominato gli ultimi due secoli, la cui vera funzione è sempre stata quella di rendere la popolazione facilmente gestibile.
Storicamente, che il bambino avesse una volontà propria era considerato come una forma di ostinazione che andava combattuta a tutti i costi. La caparbietà infantile è sempre stata fonte di preoccupazione per gli educatori. Addirittura, dicevano senza mezzi termini che la testardaggine era “l’unico vizio che merita le busse” (J. G. Kruger, 1752).
Già duecento anni fa, educatori come il teologo svizzero-tedesco Johann Georg Sulzer sostenevano che non è mai troppo presto per educare all’obbedienza. Evangelizzavano che la volontà personale dei bambini deve essere annientata nei primi due anni di vita, in modo da poterli plasmare a proprio piacimento.
Il medesimo discorso fu applicato alle scuole (a questo proposito, va ricordato che le scuole sono nate per servire fini religiosi e politici, e che il sistema scolastico che oggi conosciamo è stato deliberatamente progettato con il preciso intento di indottrinare i bambini, educarli all’obbedienza e formare lavoratori compiacenti e produttivi che avrebbero lavorato bene nel sistema).
Secondo il teologo e pedagogo tedesco August Hermann Francke, considerato come l’architetto del sistema di istruzione obbligatoria a livello mondiale, era certamente importante insegnare ai bambini la dottrina religiosa, ma lo scopo della scuola doveva essere quello di spezzare la loro volontà e renderli docili e obbedienti.
Sulla stessa linea di pensiero Johann Gottlieb Fichte, considerato una delle persone più influenti per quanto riguarda la nascita e la proliferazione del sistema scolastico che conosciamo oggi. Il filosofo tedesco era convinto che l’esercito prussiano fosse stato sconfitto nella battaglia di Jena a causa di coloro che avevano disobbedito ai comandi dei superiori, e secondo lui era giunto il momento di cambiare le cose per ripristinare l’orgoglio tedesco e l’amore per la patria (un discorso simile è stato poi ripreso un secolo dopo, sempre in Germania, con conseguenze devastanti a livello mondiale…). La sua idea era molto semplice e altrettanto radicale: distruggere la volontà personale nei bambini, e condizionarli in modo tale che da adulti non avrebbero più potuto pensare in modo diverso da quello a loro imposto. La nuova educazione avrebbe dovuto sopperire alle manchevolezze del vecchio sistema basato sul libero arbitrio nell’alunno, considerato da Fichte un enorme errore, e riflettere i principi fondamentali di stampo dogmatico: sottomissione, obbedienza, abnegazione di se stessi. In altre parole, il bambino doveva rinunciare a se stesso.
In buona sostanza, questo era l’obiettivo dichiarato delle menti che hanno ideato il sistema educativo prussiano, poi proliferato a livello planetario: spezzare la volontà dei bambini, alienandoli da se stessi. Non lasciano spazio a dubbi le parole del primo commissario americano per l’educazione, William T. Harris: “Le scuole sono state progettate scientificamente per impedire un’educazione eccessiva. L’americano medio avrebbe dovuto essere contento del suo umile ruolo nella vita, poiché non tentato a pensare a nessun altro ruolo”. L’educatore statunitense sosteneva che in ogni nazione civile il 99% delle persone sono degli automi, attenti a camminare su percorsi prestabiliti e seguire i dettami della società, e che questo era il risultato dell’educazione.
Ad oggi non è cambiato molto. Continuiamo a educare i bambini all’obbedienza attraverso un sistema di punizioni e ricompense. La disobbedienza è punita, l’obbedienza premiata. Utilizzando una varietà di tecniche di condizionamento precoce, si combatte contro la vitalità del bambino, a partire dai primi mesi di vita.
La sua volontà va stroncata, e questo vuol dire che deve imparare a seguire non se stesso ma qualcun altro. L’idea generale è infatti che il bambino debba essere plasmato a proprio piacimento, e non lasciato libero di essere e divenire ciò che è. Questo è un aspetto molto importante su cui dobbiamo soffermarci. Infatti, da bambini siamo come cera molle. Come creta nelle mani degli adulti. Siamo profondamente influenzabili e indifesi. Il mondo ci viene imposto e la relazione che si instaura con gli adulti è decisamente unidirezionale. Non godiamo dello stesso rispetto che l’adulto pretende, e ci viene detto come dobbiamo essere e cosa dobbiamo fare per essere amati, per essere accettati, per diventare qualcuno (e questo ovviamente implica che così come siamo non andiamo bene!).
Come sosteneva Sigmund Freud, da bambini siamo soggetti a una morale repressiva, un’educazione religiosa repressiva, genitori repressivi. Lo scopo, come professava il suo collega psicoanalista Otto Rank, pare essere quello di trasformarci in buoni cittadini che accettano senza obiettare il pensiero comune, deprivati di una volontà personale. Siamo “bravi” se facciamo ciò che ci viene detto. Altrimenti rischiamo di ricevere dei castighi, o peggio. In fondo, l’obiettivo dei vecchi metodi educativi è sempre stato quello di stroncare la volontà dell’individuo per creare sudditi obbedienti, incapaci di pensiero critico e indipendente.
Anche se nel corso degli anni i metodi sono cambiati (e le punizioni corporali — oggi vietate per legge in molti Paesi — hanno lasciato spazio ai premi, ai castighi, alla logica del rinforzo) l’obiettivo rimane sempre il medesimo: il controllo. In passato, si credeva che l’essere umano è naturalmente incline a un comportamento ozioso e peccaminoso quando lasciato solo a se stesso, e che per rendere obbediente la volontà il miglior modo è che sia tenuto sotto costante monitoraggio e supervisione (la presenza del supervisore avrebbe indebolito l’ostinazione del bambino, soffocando la sua inclinazione a comportamenti indesiderati). Oggi, anche se le mode e i tempi sono cambiati, i bambini sono praticamente sempre sotto controllo.
Per un motivo o per l’altro, che si tratti di paure fomentate dai media o di un sistema di credenze ereditato dalle vecchie generazioni, oggi i genitori sono sempre più iperprotettivi e come conseguenza i bambini non sono più liberi di fare niente che non sia sotto stretta vigilanza. Se non sono a scuola, sono iscritti a qualche sport di squadra o attività organizzata dagli adulti, oppure a casa davanti alla televisione o i videogiochi. Non hanno la possibilità di giocare fra loro, liberamente, e tutto questo influisce in modo estremamente negativo sullo sviluppo della loro individualità, dirottandoli dal vero asse della loro vita.
L’eccessivo controllo impedisce il processo di individuazione ed è profetico per quanto concerne una varietà di forme di maladattamento a livello psicologico e sociale (nella letteratura, il controllo psicologico è associato al disadattamento in modo consistente).
Inoltre, le tecniche di modificazione del comportamento influiscono negativamente su quello che nelle scienze psicologiche viene definito luogo di controllo (il luogo di controllo può essere interno o esterno ed ha a che fare con il controllo che crediamo di avere sulla nostra vita. Se è interno, vuol dire che crediamo nelle nostre capacità e siamo padroni del nostro volere e agire. Al contrario, se è esterno crediamo che la nostra vita sia controllata da forze e fatti esterni che sono indipendenti dalla nostra volontà).
Come hanno dimostrato le ricerche dello psicologo statunitense Abraham Maslow, quando un bambino è libero di scegliere andrà in modo naturale verso ciò che è meglio per lui. Infatti, facendo eco alla psicoterapeuta e saggista svizzera Alice Miller: “Solo colui che non si lascia ridurre a strumento della volontà altrui può soddisfare i propri bisogni personali e difendere i propri legittimi diritti”. Anche qui, ci troviamo di fronte a una via che porta il bambino a diventare una vittima delle circostanze, e la sua controparte, che permette al bambino di essere e divenire leader di se stesso.
Su questo aspetto il padrino degli studi sulla leadership è stato molto chiaro, dicendo che “Diventare un leader è sinonimo di diventare se stessi”. Per Bennis, la leadership era fondamentalmente una questione di indole, e il processo di diventare un leader non era differente dal processo che porta a essere una persona integra e responsabile.
“È così semplice, e anche così difficile”, diceva.
Al bambino non viene però concesso di essere e diventare sé stesso. La sua integrità viene letteralmente spezzata dall’educazione e viene sin dalla sua nascita ingarbugliato a più livelli di condizionamento. Educato a essere conforme alle aspettative degli altri, viene alienato da se stesso attraverso un sistema di punizioni e ricompense e disconnesso dalla sua vera natura. In questo modo perde il contatto con il suo Sé autentico. Molto semplicemente, quando il bambino/ragazzo si sente in obbligo di soddisfare determinati requisiti per essere amato e accettato, inizia a negare delle parti di sé per essere come gli altri vogliono, parallelamente assumendo delle funzioni che gli vengono assegnate più o meno inconsciamente da chi se ne prende cura. In questa sua ricerca di approvazione si costruirà una falsa immagine di sé che prenderà il posto del suo vero volto, e governerà la sua vita.
Detto altrimenti, prima ancora che il bambino si ponga delle domande e si chieda chi è gli viene fornita la risposta. Non viene amato e accettato per quel che è. Così com’è non va bene, e poiché tutti lo vogliono diverso da quel che è inizierà a indossare delle maschere e rifiutare se stesso, dimenticando di essere il suo progetto di vita e vivendo la volontà altrui come fosse propria.
Nel suo libro intitolato Vorrei averlo fatto, l’autrice australiana Bronnie Ware ha evidenziato che il rimpianto più comune delle persone in punto di morte è proprio quello di non aver avuto il coraggio di vivere la vita che veramente avrebbero voluto, o di fare la propria volontà, ma essere invece scese a compromesso con le aspettative degli altri. Questo inquietante dato di fatto deve portarci a delle riflessioni molto serie sulla società che abbiamo co-creato. Continuando a impedire ai bambini di realizzare ciò che vogliono, e non rispettando la loro volontà, stiamo continuando a produrre un esercito di vittime, e non dei leader che fanno ciò per cui sono venuti al mondo, che seguono la propria strada e che creano il proprio destino.
Questo è un problema molto serio e molto diffuso, e alla base di tutta la nostra infelicità: al mondo, la maggior parte delle persone non occupano il loro spazio. Nessuno è dove sarebbe stato se gli fosse stato concesso di crescere liberamente, senza condizionamenti. I dati non lasciano spazio a dubbi: oggi 9 persone su 10 non trovano un senso in ciò che fanno, che è come dire che vivono una vita insensata (State of the Global Workplace report 2013 e 2017). Tutte queste persone hanno tradito se stesse, in quanto dirottate dal vero asse della propria vita dall’educazione che è stata loro impartita.
In qualità di adulti, genitori, educatori, professionisti dobbiamo dunque fermarci un attimo e chiederci che cosa stiamo facendo. In fondo, il compito del leader è quello di creare altri leader e non una schiera di seguaci obbedienti. “La leadership significa sprigionare il potenziale delle persone perché diventino migliori”, diceva Bill Bradley. Significa accompagnare le persone nella conduzione del proprio potenziale verso la realizzazione di se stesse, o auto-realizzazione. Perché non lo stiamo facendo con i nostri figli, e con le nuove generazioni?
A tal riguardo, negli ultimi decenni molti si sono dedicati e hanno contribuito allo sviluppo di teorie sulla realizzazione del nostro potenziale, distanziandosi dalla visione totalmente deterministica e pessimista dell’essere umano proposta dalla scuola di pensiero freudiana. Nel 1943, ad esempio, lo psicologo statunitense Abraham Maslow, ritenendo che non vi era una chiara definizione della motivazione umana, propose la sua teoria e affermò che è necessario incoraggiare uno sviluppo libero e individuale dell’essere e del proprio potenziale. Nelle sue ricerche, il noto psicologo già sottolineava il fatto che siamo alla ricerca dell’interezza: uno stato dell’essere dove la nostra vita ha un senso per noi, e abbiamo un rapporto equilibrato con noi stessi e con il mondo che ci circonda. Egli considerava l’auto-realizzazione come essere integri, fedeli alla propria natura e autentici con sé stessi — totalmente sinceri con la propria natura interiore, con il proprio intimo Sé.
Ciò implica chiaramente una completa accettazione di se stessi, la libera espressione, lo sviluppo e la concretizzazione del proprio potenziale e delle proprie capacità. Significa essere ottimamente funzionali, e coltivare un senso di fanciullesca spontaneità e creatività. Perciò, l’ideatore della gerarchia dei bisogni umani teorizzava e proponeva lo sviluppo della libera espressività nei bambini: se viene loro concessa la libera scelta, i bambini lo sanno molto meglio di chiunque altro cosa sia meglio per loro e per la loro crescita. Si tratta dunque di crescere insieme, invece che cercare di farli crescere secondo la volontà di qualcun altro.
Il bambino non è un vuoto creativo da riempire con le nozioni della cultura dominante. Al contrario, possiede delle potenzialità naturali sconosciute ed è assolutamente impossibile per altri conoscere quale sia la sua vocazione, e sapere prima del tempo cosa diventerà un giorno. Nessuno è in grado di sapere quale sia la funzione che sarà chiamato a compiere nella sua esistenza, e perciò non esiste un metodo educativo che vada bene per tutti per favorire la crescita e lo sviluppo dell’essere umano. E poi, sarebbe anche impossibile generalizzare. Ogni bambino è un individuo preziosamente unico, e noi non possiamo condurlo verso uno scopo che non conosciamo.
In realtà, non siamo noi a dover educare il bambino, che ha tutte le capacità per auto-educarsi. Noi non abbiamo niente da insegnare ai bambini. Dovremmo semplicemente aiutarli a rimanere integri e vivere secondo la propria natura. In fin dei conti, è proprio ciò che definiamo auto-realizzazione: essere pienamente umani, senza che nulla ci sia stato aggiunto o tolto.
Non bisogna dunque interferire nella vita del bambini, cercando in tutti i modi di imporre la propria volontà. Quest’ultima va esercitata solo su se stessi, e mai sugli altri. È assolutamente fondamentale che ogni individuo possa godere della libertà di scegliere, senza essere deformato da qualsivoglia manipolazione o abuso finalizzati a ottenere l’obbedienza tramite imposizione.
Ogni bambino merita di essere amato, accudito, nutrito e sostenuto in tutti i modi ma deve essere lasciato libero di seguire la sua strada, nel pieno rispetto di quella che è la sua volontà personale.
Come ci ricorda George Bernard Shaw, “La vita non consiste nel trovare te stesso, ma nel creare te stesso”.
Ognuno di noi viene al mondo biologicamente programmato per realizzare se stesso, con una creatività innata che viene letteralmente soffocata da modelli educativi obsoleti. Infatti, oltre che a spezzare l’integrità del bambino lo educhiamo a non esser creativo.
In qualità di esseri umani siamo curiosissimi, ma sin dalla culla veniamo condizionati da genitori, familiari, maestri, religione, pubblicità eccetera. Tutti hanno troppa fretta di insegnare, tant’è che al bambino non viene concessa l’opportunità di sperimentare, indagare, ricercare fare esperienza di sé. Gli viene preclusa ogni libertà di ricerca individuale e ogni genere di assurdità e dottrine deleterie vengono inculcate nella sua testa.
Nel corso della storia, l’educazione si è trasformata in quella che potremmo definire un addestramento della memoria. Il sistema educativo moderno non è stato disegnato per essere creativo, e prima ancora che venga posta qualsiasi domanda, il bambino viene imbottito di risposte preconfezionate.
Durante il secolo scorso questo approccio si è ancor più cristallizzato grazie alle teorie dei primi psicologi, i quali credevano che l’essere umano è un semplice risultato del suo ambiente, che non ha alcuna autodeterminazione, né una volontà propria, e perciò deve essere guidato. Successivamente, sulle basi del pensiero di Freud, dilagò la convinzione che le masse sono governate da forze inconsce, da impulsi bestiali, aggressivi e primitivi e per questo motivo è troppo pericoloso che le persone si manifestino liberamente per ciò che sono, e vanno tenute sotto controllo (sarà pur vero quel che diceva sua figlia Ann, che “Le menti creative riescono a sopravvivere anche ai peggiori sistemi educativi”; ma come vedremo in seguito la percentuale è davvero molto, molto bassa).
Come conseguenza, si parte da una visione alquanto cinica dell’infanzia e da queste premesse fioriscono poi tutte le questioni che abbiamo già avuto modo di vedere sopra, per cui l’adulto tende a sottomettere il bambino alla propria volontà e voler mantenere un ferreo controllo su quest’ultimo, utilizzando il metodo del bastone e della carota per far sì che si comporti nel modo desiderato.
Un altro problema con cui siamo confrontati è che comunemente si pensa che vi sia un solo tipo di intelligenza e i bambini vengono testati su queste basi. Altre forme di intelligenza non sono neanche prese in considerazione. Viene prediletta l’omologazione, la standardizzazione tipica dell’economia industrializzata, mentre lo straordinario, l’eccezionale e il fuori del comune vengono guardati con sospetto e spesso diagnosticati come stupidità, o come un disturbo.
Oggi, grazie allo psicologo statunitense Howard Gardner, sappiamo che ci sono varie manifestazioni fondamentali dell’intelligenza. È inoltre risaputo che la più potente facoltà della mente è l’immaginazione e quest’ultima ricopre un ruolo molto importante nella nostra vita di tutti i giorni. Dunque, perché fossilizzarsi sui metodi tradizionali d’insegnamento e continuare a non permettere ai bambini di essere ciò che sono e apprendere secondo i loro bisogni, sulle basi delle particolarità di ognuno?
Tutti i bambini nascono con un enorme potenziale creativo ma noi non diamo loro spazio per esprimerlo. Diciamo loro di non fare questo o quello, che qualcosa non è accettabile, che è da reprimere. Per essere accettati, devono fare come diciamo noi. Chiediamo loro di essere conformi alle aspettative della famiglia e della società, e di colorare entro i margini quando disegnano e in tutte le aree della vita.
Sulle orme di Frederick Taylor e la sua organizzazione scientifica del lavoro, diciamo ai bambini che c’è un solo modo per fare le cose. Un solo modo giusto per fare qualsiasi cosa. Una sola risposta giusta. I bambini non possono sperimentare e sbagliare, e questo è altamente nocivo perché una persona creativa sperimenta sempre delle vie sbagliate, ed è proprio sbagliando che si impara.
Fissati sui vecchi concetti, obblighiamo i bambini a essere dei semplici ripetitori di nozioni, a vegetare in un atteggiamento mentale insipido senza creare mai nulla di nuovo. Stiamo obbligando il futuro adulto a essere un follower, non un leader.
Una persona che segue sempre il modo giusto di fare secondo qualcun altro non sarà mai un leader, perché seguirà sempre la strada che altri hanno deciso per lui. Certamente, potrà diventare abile in qualche mestiere: un ottimo impiegato, operaio, commercialista ma non sarà mai una persona che crea, e neppure un leader. E poi, parliamoci chiaro: “Se non progetti un tuo piano per la tua vita è probabile che cadrai dentro il piano di qualcun altro” (Jim Rohn).
Colui che crea divaga. È inevitabile. È così che il leader crea la sua strada, portando in sé nuove opportunità e non solo quelle che vengono create da altri. Come il bambino che sperimenta l’ambiente circostante, la persona che crea non sa qual è il modo giusto di fare qualche cosa, e per questo motivo continua a indagare. Questa ricerca può portare nelle direzioni disparate e possono essere molti gli errori e le vie sbagliate (Edison aveva provato 10’000 modi che non hanno funzionato prima di avere successo), ma è proprio in questo modo che si apprende sempre di più e si creano tutte quelle connessioni che non potrebbero essere insegnate altrimenti. Così si impara a diventare sempre migliori e fare cose che nessuno ha mai fatto prima.
La creatività, come la volontà, viene però strangolata dall’educazione.
I dati parlano chiaro: i metodi educativi tradizionali uccidono la creatività. Questa preziosa capacità della nostra mente, oggi considerata la qualità di leadership più importante, viene sistematicamente asfissiata dalla nostra “mentalità scolarizzata”.
Ciò è stato dimostrato da un massiccio studio longitudinale condotto da George Land e Beth Jarman. Nel 1968, i due ricercatori svilupparono un test per la NASA, con il fine di poter selezionare gli ingegneri e scienziati più creativi. Per scoprire se la creatività è innata oppure la impariamo, decisero di sottoporre il medesimo test a un campione di 1600 bambini sui cinque anni. I risultati furono stupefacenti: il 98% ottenne un punteggio a livello di genio (highly creative range). Il test fu dunque ripetuto cinque e dieci anni dopo con gli stessi bambini. A dieci anni, la percentuale era scesa al 30%. A quindici, addirittura a 12. Da allora, più di un milione di adulti sono stati sottoposti al test e solo il 2% arriva a quel livello. Queste percentuali lasciarono di stucco i ricercatori, che identificarono il neo del problema nel percorso formativo tradizionale.
Per riassumere, ogni bambino viene al mondo con uno straordinario potenziale, ma le sue potenzialità vengono di fatto smorzate da metodi e modelli educativi ormai obsoleti. Unicamente focalizzati sulla parte del cervello che è perfetta per il ragionamento, la logica, la matematica ciò che facciamo è strozzare l’area che riguarda le profonde intuizioni e la genialità. Inoltre, insegniamo ai bambini a usare due processi di pensiero (divergente: immaginazione, e convergente: critica, giudizio, censura) simultaneamente, e questo spegne l’immaginazione, la curiosità e la passione per l’apprendimento.
I difetti dell’apprendimento meccanico sono ben noti, e dicendo ai bambini che vi è un unico modo di fare le cose, e chiedendo loro di imparare delle risposte a memoria prima ancora d’aver posto le domande, li stiamo educando a non essere creativi e questo è assai limitante; soprattutto in un mondo nuovo, dove per avere successo gli studenti devono funzionare come degli imprenditori, e dove aspettare di essere scelti per poi limitarsi a eseguire gli ordini non è più sufficiente.
In generale, l’educazione dovrebbe essere responsabilità dei bambini e non dell’adulto. Per questo motivo l’auto-apprendimento ricopre un ruolo fondamentale per quanto riguarda la crescita e lo sviluppo di un essere umano. Come ha affermato il Professore di psicologia all’Università di Torino Gian Piero Quaglino, l’auto-apprendimento è più in sintonia con i processi naturali di sviluppo psicologico e più efficace proprio perché diretto da motivazione intrinseca, e quindi l’individuo è spinto a seguire i propri interessi e la propria vocazione, piuttosto che qualcos’altro che gli viene imposto da terzi.
Così come imparano a parlare, i bambini possono imparare anche tutto il resto e diventare adulti realizzati e di successo. Questo oggi è ampiamente dimostrato dalle esperienze concrete degli allievi delle scuole democratiche sparse per il globo e di tutti coloro che hanno seguito un percorso di unschooling.
È fondamentale che un bambino possa rimanere integro, senza che la sua visione, la sua volontà, la sua insaziabile curiosità e creatività innata vengano in alcun modo intaccate. Come ha affermato Sir Ken Robinson, ci sono tre principi fondamentali della natura umana che dovrebbero essere presi in debita considerazione. Il primo è l’unicità. Ogni bambino è un individuo unico e irripetibile, e l’ideale è supportarlo a sviluppare i suoi doni e talenti e non omologarlo, rendendolo conforme a uno standard predefinito come si cerca di fare attraverso le varie riforme che vengono periodicamente proposte. Il secondo, la curiosità. Il focus principale dovrebbe essere sull’apprendimento (sull’educazione vera e propria) e non sui test standardizzati. Al terzo posto, ma non per ordine di importanza, la creatività. L’essere umano non è una macchina, e il sistema educativo non dovrebbe essere concepito come un processo industriale.
Al bambino va permesso di fiorire secondo la sua vera natura e solo così potrà diventare se stesso. “È così semplice, e anche così difficile” solo perché nella nostra società ostacoliamo la leadership, facendo un po’ di confusione su quel che è il nostro ruolo di adulti, genitori, educatori, professionisti e leader, dimenticandoci una cosa molto importante. Ovvero, che “Dire a qualcuno di fare qualcosa non significa essere un leader” (Wolf J. Rilke).
Yong Zhao, professore alla School of Education presso l’Università del Kansas, ha detto che per avere successo nella nuova economia gli studenti devono funzionare come degli imprenditori. A questo aggiungerei che ogni bambino è un leader e ha la sua strada. Sono queste le premesse da cui dobbiamo partire, e questo stravolge i parametri a cui siamo stati abituati. Infatti, questo è un cambio di paradigma non indifferente e implica seguire il bambino, consapevoli del fatto che egli ha una sua volontà personale, un potenziale creativo enorme e sappia cosa è meglio per lui, piuttosto che dirigerlo e indirizzarlo dove e come vogliamo noi.
Come detto, non ci è dato sapere qual è la sua vocazione e non sappiamo qual è la speciale funzione che egli sarà chiamato a compiere, e dunque non possiamo insegnargli a diventare questo o quello. La soluzione migliore è dunque seguirlo, supportandolo nel realizzare ciò che vuole, e permettendogli di essere e divenire liberamente ciò che è.
“L’uomo deve diventare quello che è, lo deve volere e realizzare da sé, senza costrizione o giustificazioni e senza il bisogno di addossare ad altri la responsabilità”.
Otto Rank
Riferimenti
Reimagine learning that can change the world, https://www.youtube.com/watch?v=ZT3QpUfEg1Q.
The failure of success. https://www.youtube.com/watch?v=ZfKMq-rYtnc.
Articolo a cura di
Francesco Ferzini è uno scrittore, ricercatore e formatore che si occupa di leadership e sviluppo del potenziale umano.
La sua missione è quella di promuovere una nuova educazione, aiutare le persone a sviluppare il talento della leadership e riscoprire chi sono, con l’obiettivo che ognuno possa allinearsi alla propria vocazione, realizzandosi nella propria vita professionale e privata.
Pluriennale esperienza nel business internazionale, ha conseguito il Master of Business Administration (MBA) presso Curtin University of Technology CGSB in Australia, è specialista in marketing e vendita con attestato federale presso Swiss Marketing Club SMC, Svizzera.