Leadership e Competenze per il Mondo 4.0
Velocità, incertezza, rischio. Il Mondo 4.0 appare denso di opportunità, ma anche di incognite.
Un mondo veloce, complesso e rischiosissimo perché disruptive. Quando uno ha figli un brivido corre lungo la schiena. Come sarà il mercato del lavoro in Italia e in Europa, magari tra 10 anni? Glielo racconta il World Economic Forum: il 65% dei bambini che iniziano ad andare a scuola in questi anni, quando termineranno il ciclo di studi, faranno un lavoro che ora non esiste.
Una rivoluzione straordinaria dei comportamenti e delle abitudini delle persone sia nella loro sfera individuale e sociale che lavorativa. È la Quarta Rivoluzione Industriale, quella del Mondo 4.0, quella del cloud, del social, della mobility, della security e della cybersecurity.
Senza dimenticare la velocità con la quale sta avvenendo. Una grande innovazione perché le vecchie rivoluzioni erano lente, si sviluppavano in un arco temporale al di fuori della normale aspettativa di vita delle persone. Il Mondo 4.0, invece, non solo è già iniziato ma si gioca in un tempo molto più breve della nostra vita professionale media. Una sola conseguenza: il rischio di diventare rapidamente obsoleti è altissimo. L’Istat ci dice che ci sono quasi 9 milioni di posti di lavoro a rischio nel nostro Paese nei prossimi 5-7 anni.
Siamo in uno tsunami digitale. Realtà aumentata, domotica, Internet of Things (IoT), e tante, tante nuove competenze: strategiche, digitali, ibride. Un tempo le avremmo chiamate solo innovative. Si inventano nuovi mercati, si dà vita ad una nuova catena di valore e a nuove competenze. Il passato diventa obsoleto in un attimo, e le vecchie competenze vengono spazzate via dalla disruptive innovation e dall’ibridazione. Ecco perché le competenze del Mondo 4.0 dovranno essere sempre più legate ad una formazione che non insegni ai giovani ed anche ai non giovani “le cose”, ma soprattutto il modo in cui andare a cercarle nel mare infinito della conoscenza in rete.
Con un problema in più: la conoscenza non esiste mai a prescindere dall’uomo o dagli uomini che la detengono. E’ l’essenza stessa del capitalismo 4.0: si può pensare tutto e fare tutto, ma non a prescindere dalle persone e dalla loro capacità di stare connesse in Rete.
La Rete ha tanti vantaggi: è flessibile, è dinamica, è elastica, si adatta in maniera rapida al cambiamento perché dal cambiamento stesso è stata generata. Ma è anche molto più vulnerabile agli shock perché è sempre e comunque interconnessa, per cui quando si smaglia o si spezza in un punto lo shock si ripercuote simultaneamente su tutti i gangli del sistema. L’epoca che può sicuramente vantare il maggior patrimonio di sicurezza nella Storia è anche l’epoca delle reazioni di insicurezza planetarie che si scatenano in modo spesso incontrollato su tutta la Rete alla velocità della luce.
Una sola conseguenza: il rischio di diventare rapidamente obsoleti è altissimo. L’Istat dice che fra i 7 e i 9 milioni di posti di lavoro che potrebbero essere sostituiti dalle macchine nel nostro Paese nei prossimi 7-10 anni. Altri dicono 5, altri ancora 11. Saranno 5, 7 o 11? Non lo sappiamo, ma il numero non conta perché l’enormità del problema non cambia. Un problema, quello della sostituzione tecnologica, che ci dovrebbe porre una domanda pragmatica che è stata solo sfiorata nel dibattitto: quali politiche di riconversione di questi lavoratori devono essere approntate fin da ora nel nostro Paese?
Perché, al di là delle competenze e degli sviluppi dell’Italia del futuro, il tema più importante è come evitare che queste persone vengano messe ai margini del mercato del lavoro, considerando anche che la tecnologia impatta tutto, comprese le professioni di più alto livello. Il fenomeno del lawtech, del trading finanziario algoritmico o dei software che scrivono articoli per media e giornali è ormai conosciuto da quasi tutti. Un fenomeno inarrestabile.
Si può provare a reagire? Dobbiamo essere brutali: vale sempre la regola dell’80-20. Qualsiasi sia l’attività svolta, la letteratura ci dice che l’80% delle attività quotidiane di ciascuno di noi sono routinarie e solo il 20% sofisticate. Una regola che vale per tutti: dalle professioni più avanzate ai mestieri più semplici. Una sola conseguenza: tutte le attività routinarie sono o saranno sostituibili nei processi evolutivi dell’Intelligenza Artificiale dei prossimi anni.
La sfida non è allora tecnologica ma culturale. Dobbiamo lavorare su quel 20% di attività più sofisticate. Il che non vuol dire solo approfondimenti di competenze verticali, ma soprattutto implementare i processi formativi di quelle “soft skills” che non saranno mai sostituibili dalle macchine: i processi di empatia/passione e le capacità tecniche di interazione, change management, comunicazione, marketing. Perché, anche se robotica e AI si impadroniranno dell’ambiente di lavoro, le soft skills faranno parte di quegli aspetti “irriproducibili” che qualificheranno comunque quel lavoratore/professionista.
Tutto ok, dunque? No, purtroppo, perché si tratta di agire su persone che stanno lavorando in questo momento. Investire sulla loro “riconversione” attraverso la formazione vorrebbe dire sottrarre tempo a quello che tali soggetti impiegano ogni giorno in azienda. Ad esempio, uno dei temi strategici è quello della lingua inglese. Mandiamo i lavoratori a fare un anno sabbatico in un paese anglosassone? E la loro impresa come va avanti? Oppure gli facciamo fare un corso tutte le sere dopo il lavoro? E dove troviamo poi anche il tempo di sviluppare le loro soft skills?
Se pensiamo al passato, siamo spacciati. Bisogna invece trovare il sistema di recuperare una parte di tempo di questi soggetti a rischio di sostituzione. Credo che ci sia solo una soluzione: incentivarli in modo diretto o indiretto ad investire in modo innovativo il proprio tempo libero in processi formativi.
Ad esempio, sfruttando quella parte di tempo che passiamo alla tv, sui social e nel gaming on-line. Investendo risorse in piattaforme di gioco in cui sviluppare competenze soft e/o di auto-imprenditorialità collegandole a livello progressivi di approfondimento. Una specie di Super Mario della formazione “soft” collegato ad un credito di imposta (incentivo statale) o a un meccanismo di cashback (incentivo privato finanziato da sponsor alla ricerca di nuovi clienti).
Oppure aprire un canale interattivo della tv pubblica in inglese con sottotitoli in italiano (il modo in cui nei Paesi del Nord Europa si imparano le lingue) che riproduca i programmi di maggior successo, anche qui collegandolo a sistemi di incentivazione, magari pagati dagli inserzionisti pubblicitari con il collegamento a sistemi di fidelizzazione.
Sono solo alcuni suggerimenti pragmatici e chiaramente non esaustivi. Ma bisogna muoversi in fretta perché si tratta di processi di medio/lungo periodo che impattano famiglie e soggetti mediamente a competenze più deboli. Che rischiano di trasformare una grande rivoluzione positiva in un orizzonte da Medio Evo prossimo venturo.
Articolo a cura di Angelo Deiana
Presidente di CONFASSOCIAZIONI, ANPIB (Associazione Nazionale Private & Investment Bankers) e ANCP (Associazione Nazionale Consulenti Patrimoniali), è considerato uno dei maggiori esperti di economia della conoscenza e dei servizi finanziari e professionali in Italia.
Attualmente è Vice Presidente di Auxilia Finance Spa.