Leadership & Management della sicurezza

Il ruolo del management nella sicurezza sul lavoro

Si sa che il cuore pulsante dei processi decisionali strategici di ogni organizzazione costituisce un tassello imprescindibile fondamentale nella matrice organizzativa. I processi primari, direzionali e di supporto, fluiscono così lungo la catena del valore anche per la sicurezza. Nella letteratura greca ricorre costantemente la metafora del timoniere – colui che tiene la barra della nave – per designare l’attività di chi è alla guida della città e detiene verso di essa una serie di oneri e responsabilità. Per esempio nell’Edipo Re, si incontra spesso la metafora del re che ha la città a carico e che, perciò, deve guidarla bene, come un buon comandante governa la sua imbarcazione, indicando la rotta per evitare gli scogli e condurla in porto. Questo vale ovviamente anche nello scandire, o non scandire, la policy della sicurezza, nel darne o non darne valore. Senza il locomotore in testa o coda che conduce, le carrozze rischiano di deragliare. In tale ottica, il management ha un impatto strategico fondamentale sulla parte operativa e sulla cultura organizzativa ad essa sottostante. Può essere parte vulnerabile o parte che, al contrario, riesce a dare impulso all’impianto prevenzionistico. L’assenza di una leadership safety-oriented porta alla mancanza della concreta applicazione di principi eticamente condivisibili per una finalità comune che comprende in primo luogo la vita e la sicurezza delle persone, ma dalle quali contemporaneamente ne beneficia il benessere aziendale e la produttività.

Oggi le aziende hanno al comando un management caratterizzato da un evidente bipolarismo. Da un lato si riscontra ormai un numero importante di direzioni aziendali con elevate competenze e, soprattutto, notevole attenzione per la problematica della sicurezza negli ambienti di lavoro. Questa è senza dubbio la tipologia di management che rende l’azienda più efficace in ogni suo profilo, dalla produttività al clima aziendale, dalla sicurezza alla condivisione di principi assoluti per la protezione del personale dai rischi presenti negli ambienti lavorativi. Tuttavia, ci sono ancora oggi aziende dove, al contrario, il management affronta in modo impositivo il tema safety, tramite strumenti solo formali, magari anche efficaci sotto il profilo di tutela legale, ma che sono di fatto lontani dalla realtà operativa e risultano, pertanto, assolutamente insufficienti per raggiungere l’effettiva tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Management e sicurezza: una questione di diritto

Il diritto ha costituito senz’altro una chiave di volta sulla questione, imputando e ripartendo sul management (datori di lavoro, dirigenti e preposti) obblighi e responsabilità cogenti diffuse nella tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Le norme sono un elemento strutturale fondamentale che indirizza e, nel contempo, rappresenta un fattore di promozione di processi ma, da sole, non sembrano però sufficienti a produrre ambienti sicuri.

L’esperienza purtroppo ci insegna che, un approccio prevenzionistico che punta solo alla conformità alla norma di legge e ai suoi obblighi, tende troppo spesso a generare teorie astratte, non riprodotte da chi le subisce passivamente, che porta a considerare la sicurezza una fluttuante zavorra a latere del processo produttivo, considerata “altro da sé”, quasi un corpo estraneo imposto dall’esterno, da tollerare cercando di riceverne il minor fastidio possibile. La sicurezza rischia di diventare così una sovrastruttura da costruire, in un gioco di finzione che si regge sull’ambiguità formale/informale, mondo dell’ufficialità/mondo underground, relegata all’esclusiva competenza di un’organizzazione parallela (il Servizio di Prevenzione e Protezione), che non entra nei processi decisionali di vertice se non per diventare oggetto di scarico delle responsabilità. Se ci fermassimo alla prospettiva di tipo normativo, infatti, la sicurezza non sarebbe altro che una legge: un vincolo rigido da rispettare per non incorrere in sanzioni. In tale ottica, in caso di incidente si finirebbe solo a cercare la disposizione normativa formalmente elusa ed il reo del momento, senza che dall’errore si possa riuscire ad alimentare una circolarità virtuosa generatrice di miglioramento.

Management e sicurezza: una questione anche valoriale

L’approccio prevenzionistico, per essere veramente efficace, dovrebbe andare oltre le regole ufficiali e focalizzarsi sui modi di fare sedimentati nel tempo, carpendone sia gli aspetti positivi, ad esempio la sicurezza percepita come valore di vita, sia gli aspetti negativi, quali abitudini e comportamenti consolidati, ma non percepiti come rischio effettivo solo grazie a circostanze fortunate. Spesso si sottovalutano aspetti come: tradizioni, simboli, credenze, che danno origine a comportamenti, a decisioni e al modo in cui queste vengono percepite, che un grande impatto rivestono sulla sicurezza. Il safety climate di una organizzazione non si desume, infatti, necessariamente da un documento formale che risponde al requisito di norma, ma si deduce dall’ambiente, dagli interventi del management in diversi ambiti, dalle riunioni d’aula ai momenti addestrativi, e si traduce in un fare, ma potrebbe declinare anche in un tralasciare o in un subire. La policy, dal punto di vista organizzativo, non va soltanto letta formalmente ma diventa utile se si “respira”.

Questo costrutto culturale che permea l’ambiente di lavoro, nel quale i lavoratori si muovono in una cecità culturale costruita, può essere percepito intuitivamente persino dagli occhi del visitatore più affrettato. Si esprime tanto nella struttura fisica e nei modi di lavorare quanto nei discorsi relativi alla gestione, i quali ci trasmettono, sin dal primo momento, la sensazione della cultura della sicurezza che vige in quella organizzazione. L’effetto cumulativo delle direttive formali che arrivano dall’alto possono portare ad una serie di atteggiamenti, di modi di pensare, di condivisione di un certo modo di operare, che attivano processi, anche impliciti, che orientano l’agire di chi opera in quella organizzazione verso la creazione di alibi nei confronti di un abbassamento delle linee di guardia e dell’eventuale adozione di comportamenti non sicuri, consentendo il libero arbitrio di optare per soluzioni di lavoro considerate arbitrariamente più “comode”.

Diventa dunque chiaro che se si vuole costruire una strada solida verso la sicurezza, trovare il grimaldello interpretativo di senso comune per far introiettare una modalità di lavoro sicuro, non si può puntare soltanto sulla compliance normativa, che preserva la “forma”, ma non garantisce la “sostanza”. Il rispetto degli adempimenti normativi è importante ma non garantisce il mantenimento di condizioni di lavoro sicure. Le strategie prevenzionistiche devono andare oltre per essere efficaci, devono orientare realmente l’agire di chi lavora per quella organizzazione, incidere sulla mentalità e sulle pratiche di chi opera in quel sistema. La vulnerabilità ai rischi di una organizzazione dipende infatti da un complesso di fattori tecnici, istituzionali e umani, ciascuno di essi ha una funzione attiva che interagisce con gli altri in complessi processi di mutua relazione, di condivisione e di coevoluzione. La sensibilità comune per la sicurezza deve essere percepita da tutti i livelli dell’organizzazione aziendale.

Quale potrebbe essere il ruolo del management per garantire ambienti di lavoro sicuri?

Una cultura manageriale sensibile ai temi della sicurezza può favorire una maggiore percezione collettiva e la trasformazione utile al superamento di alcuni assunti impliciti tuttora radicati nel mondo delle organizzazioni. Quanto più la sicurezza diventa parte della vision aziendale, della mentalità che permea l’ambiente di lavoro, tanto più risulta alta la sua rilevanza per una organizzazione, quanto più essa sarà impegnata nella sua realizzazione, tanto maggiore sarà il successo. La vision non può essere concepita come una qualità astratta ma, al contrario, essa è prodotta dall’agire concreto degli individui, in particolare del management.

Un manager che voglia essere anche un buon leader, deve avere la capacità di saper creare e condurre il proprio team verso una meta, deve saper comunicare e formare, ma anche capire lo scopo, il senso, le logiche sottese del gruppo. E la meta, in questo caso, è creare ambienti di lavoro sicuri. Lavorare in sicurezza deve arrivare ad essere percepito dai vari livelli aziendali per diventare un meccanismo automatico da parte delle organizzazioni e di tutti i lavoratori, un obiettivo prioritario a cui tendere. Così facendo, mettere in atto una procedura o indossare un dispositivo di protezione individuale diventerà un preciso e consapevole segnale culturale, diventando un atteggiamento percepito positivamente, non più un mero obbligo prescrittivo imposto.

Il ruolo del management quindi è fondamentale. Ricerche sul tema della leadership nei confronti della sicurezza, hanno evidenziato che manager che trascorrono tempo anche all’interno di luoghi di lavoro operativi, controllano il corretto funzionamento, forniscono feedback, discutono su eventuali incidenti e mancati incidenti, danno incentivi e fanno uso di una leadership partecipativa, tendono ad ottenere dai lavoratori migliori prestazioni di sicurezza ma, parallelamente, anche migliori prestazioni produttive e finanziarie.

Qualche suggerimento utile per azioni safety-oriented del management potrebbe dunque essere:

  • avere consapevolezza dell’organizzazione, ascoltare in modo continuo e comunicare con il team per comprenderne le logiche, le forze trainanti, i valori guida, le norme implicite;
  • mantenere contatti continui con i lavoratori, essere influenti e promuovere un clima emotivo improntato alla sicurezza, mantenendo un comportamento onesto intellettualmente ed una comunicazione formale e informale coerente con quanto dichiarato nella policy dell’organizzazione;
  • favorire una mentalità collettiva generatrice di prevenzione, dove la sicurezza sia una priorità; se si ricerca attivamente l’informazione e si educa a riferire, la responsabilità è condivisa, gli sbagli provocano riforme attive;
  • creare meccanismi premianti, tangibili o intangibili;
  • generare responsabilità individuale rispetto al risultato, attraverso una formazione di qualità e pertanto efficace, ma anche tramite attività quotidiane educative alla responsabilità adottando leadership ispiratrici che creano risonanza e scuotono i lavoratori e facciano intendere la sicurezza come una missione condivisa;
  • definire sistemi di delega, strutture formali ma che portino a diventare leadership della sicurezza;
  • identificare i problemi di sicurezza e la loro risoluzione credibile e condivisa, valorizzando l’apporto dei singoli e creando coinvolgimento attraverso la partecipazione dei lavoratori interessati, con il sostegno ed il supporto delle persone chiave dell’organizzazione;
  • uscire dalla puntigliosità burocratica, parlando alle persone con empatia, anche considerando formazione e culture diverse;
  • sviluppare una solida metodologia per la gestione delle comunicazioni, il controllo dei comportamenti, lo sviluppo delle relazioni interne ed esterne;
  • condividere i risultati, monitorare ed adattare le strategie in risposta ai problemi.

Buona parte di queste indicazioni utili diventano attuabili soltanto tramite la sensibilizzazione e la condivisione di propositi, e il soggetto che le può rendere percepibili è il management.

Conclusioni

Sicurezza e prestazione di business non devono essere intese come conflittuali ma, al contrario, percepite come sinergiche e complementari. Garantire un safety climate nel gruppo è ormai dimostrato che influenza positivamente anche le performance lavorative.

L’invito al management è quello di pensare a strategie prevenzionistiche viste non solo come mero e semplice adempimento alle leggi, ma come attivatrici di senso, di meccanismi processuali tali per cui la sicurezza diviene obiettivo da raggiungere insieme e sostenere attraverso la prevenzione dei rischi ed il mantenimento di uno stato di salute concepito come benessere fisico, psichico e sociale di chi lavora. Dove la sicurezza è intesa solo come burocratizzata, recepita come norma da rispettare, viene sentita come lontana dalle pratiche quotidiane di lavoro ed ha un impatto limitato sul comportamento degli individui.

Una leadership passiva è predittiva di minori risultati in termini di sicurezza. Il laissez-faire crea una intercapedine pericolosa che presta il fianco per bypassare norme ritenute impositive e misure tecniche e tecnologiche percepite come troppo severe dove, al contrario, costituiscono uno strumento efficace per raggiungere condizioni di maggiore sicurezza ma contemporaneamente di aumento dell’efficacia produttiva aziendale. Il management deve condurre il proprio ruolo di direttore d’orchestra, proponendosi come colui che tutti seguono, soprattutto se sarà lui a fare il primo passo e ad indicare la strada, mettendo in campo strategie che richiedono un impegno straordinario ma costante che definisce i tempi, i compiti, le responsabilità. Tale concetto presuppone la pianificazione ed il controllo delle condizioni determinanti a tutela della salute e della sicurezza, attraverso l’implementazione consapevole di un complesso di procedure chiare con disposizioni o misure necessarie per evitare o far diminuire i rischi, agendo quindi non solo a valle ma soprattutto a monte, con attività di prevenzione da attuare sul campo.

L’eliminazione del fenomeno infortunistico e delle malattie professionali, che rimane ancora drammaticamente alto, deve essere affrontata necessariamente anche nella sua dimensione sociale, puntando l’attenzione sull’insieme della sua percezione, non soltanto delle norme che si sono rilevate utili ma insufficienti, ma anche degli atteggiamenti e delle pratiche, che costituiscono il segnale evidente di come venga percepita l’importanza della sicurezza nell’organizzazione. Soltanto una percezione della realtà effettiva delle cause di infortuni e delle abitudini pericolose per la sicurezza può portare ad essere coscienti di “cosa si poteva fare per evitare”.

Vi è pertanto la necessità che, dai livelli gerarchici superiori, ci sia un’effettiva sensibilità alla tematica, una leadership manageriale forte e visibile che attui un lavoro continuo di prevenzione e di attenzione, con la reale volontà di favorire il benessere dei propri collaboratori. La sicurezza non deve essere qualcosa di distaccato dal contesto organizzativo, ma è piuttosto da costruire come valore centrale e strategico dell’organizzazione, con un processo quotidiano che comporti la collaborazione di tutti tramite la diffusione di processi di socializzazione interna. Su questo aspetto gioca un ruolo determinante la cultura dell’organizzazione e le strategie di valorizzazione e di gestione delle risorse umane. La mancanza di queste premesse genera incoerenza tra il contenuto dei messaggi espressi o dei dettami di legge da un lato ed il comportamento effettivo dei responsabili, incurante delle norme e dell’importanza della prevenzione, dall’altro.

Accendere i riflettori sulla questione può portare a prospettare strade alternative per pensare la prevenzione ed affrontare il problema della sicurezza sul lavoro, nel tentativo di contribuire all’inversione di tendenza del fenomeno infortunistico. Un cambio di paradigma che non vuole essere un semplice slogan ad effetto, ma che diventa una priorità, un’urgenza improrogabile.

 

Articolo a cura di Rita Somma e Stefano Bergagnin

Profilo Autore

Rita Somma, ha conseguito la laurea magistrale in sociologia con indirizzo organizzativo, economico e del lavoro c/o Università Statale Carlo Bo di Urbino. Esperta in organizzazione del lavoro e Human Factor. Si occupa di consulenza e formazione Health & Safety dal 2000. Svolge la funzione di RSPP per diverse organizzazioni pubbliche e private. E’ presidente del consiglio di amministrazione di Safety Contact srl che opera nel campo della consulenza e servizi in materia di igiene e sicurezza sul lavoro. E’ Consigliere nazionale e Commissario nazionale per la Valutazione per l’iscrizione ai Registri Professionali dei Consulenti di AIFOS (Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro). E’ Rappresentante Permanente per il Mondo del Lavoro del Comitato di Indirizzo – CdI del Corso di Laurea Triennale in Ingegneria per la Sicurezza del Lavoro e dell'Ambiente e del Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Ambientale e per la Sostenibilità dell'Ambiente di Lavoro dell’Università degli Studi dell’Insubria. Membro dell’Associazione Sociologi Italiani.

Profilo Autore

Stefano Bergagnin, ingegnere, Membro del Gruppo di Lavoro “Sicurezza” del Consiglio Nazionale Ingegneri, consulente in materia di ambiente e sicurezza dagli anni ‘90 e professionista antincendio dal 1997, esperto di sicurezza all’interno di alcuni gruppi di lavoro UNI, autore di testi con argomento “Sicurezza sul lavoro”, esperto in normative internazionali in tema di “safety and security”, docente e formatore, titolare della società di consulenza PASS S.r.l..

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