Leadership & percorsi di potere: yoga, mindfulness, nidra

Abbiamo affrontato in diversi articoli il tema della leadership[1] cercando di rappresentare, ogni volta, quale enorme lavoro spetta al candidato o candidata a ricoprire quel ruolo; tanto che, non a caso, a questo proposito si menziona spesso la sua solitudine, conseguenza del lavoro indefesso di cui è chiamato (o chiamata) a sostenere il peso.

Del resto, deve dimostrarsi capace di creare un progetto identitario in cui i membri del gruppo si rispecchino; riuscire, con i fatti, a incarnarne i valori; realizzarne gli scopi restando credibile, coerente con tutto quell’insieme di ideali, valori, raggiungimenti in cui afferma di credere. In aggiunta, come ogni altro (o altra) manager, vive professionalmente schiacciato (o schiacciata) tra due forze. Da un lato la pressione del top management o di chi si aspetta da lui (o da lei) il raggiungimento degli obiettivi propri dell’ambito e del ruolo che ricopre, in linea con le strategie e la “vision” dell’organizzazione per cui sta operando. All’altro capo, invece, le rivendicazioni, frustrazioni, aspettative, egoismi delle persone del gruppo di cui è il riferimento; aspetti che, sia chiaro, tutti si aspettano sia lui (o lei) a dirimere.

Più in generale chi guida e gestisce persone, essendo il tramite tra queste ultime e l’organizzazione, è un cuscinetto. Un disco tra le vertebre della lunga colonna vertebrale rappresentata dalla governance aziendale, di cui supporta, sostiene il carico, l’onere, le responsabilità che deve imparare a ridistribuire, in modo confacente, verso tutti i distretti periferici di cui è il collegamento. Così da ammortizzare le pressioni e permettere a questa stessa governance di essere flessibile, elastica, reattiva rispetto agli urti, ai movimenti, ai cambiamenti che i contesti (interni ed esterni alle organizzazioni) continuamente richiedono.

In misura maggiore rispetto a un (o a una) normale manager, quello del leader è un ruolo difficoltoso, arduo, faticoso, problematico, complicato e complesso di cui non smetteremo mai di sottolineare l’eccezionalità. Il che rende prioritarie tutte le questioni inerenti: (1) la stabilità emotiva del candidato (o candidata) in contesti, quelli della gestione dei gruppi, dove la pressione psicologica raggiunge livelli significativi; (2) la sua capacità di concentrazione, anche quando tutto intorno a lui (o a lei) è in tumulto; (3) la sua forza d’animo e la sua lucidità, in special modo davanti a difficoltà, delusioni, errori o imprevisti; (4) la quantità di energia psicofisica di cui dispone, quando si debbono sopportare livelli di affaticamento, logorìo, ansia e tensione importanti; (5) il governo e il controllo della sua stessa persona poiché nulla può essere lasciato al caso, magari seguendo gli umori del momento o cadendo vittime della supremazia dei propri particolarismi (tornaconti, antipatie, simpatie, etc.).

Cosa dovrebbe fare il nostro candidato o candidata per assicurarsi tutti questi raggiungimenti? Prima di rispondere, guardiamo a quello che solitamente si fa oggi.

Nella stragrande maggioranza dei casi per esercitare un certo controllo sul proprio stato psicofisico, le persone si rivolgono alla chimica, utilizzando sostanze che, ad esempio, ci permettono di restare attivi, efficienti, vitali indipendentemente dalla condizione di affaticamento in cui ci troviamo (pensiamo ad esempio alla caffeina). Ora il problema non è tanto nelle sostanze in sé, quanto nel fatto che l’uso si trasforma spesso in abuso per cui si costringono i meccanismi autoregolatori del corpo a una specie di corto circuito con importanti effetti negativi su molti processi biologici tra i quali, in primis, la regolazione dei ritmi sonno-veglia. Motivo per il quale per ovviarvi o mitigare questi effetti, si ricorre nuovamente ad altre sostanze che legandosi ai recettori delle cellule nervose, sono in grado di produrre risultati contrari (ad esempio ansiolitici, ipnotici, sedativi, miorilassanti, etc. a seconda dell’effetto che si vuole riprodurre).

Questo modo di procedere innesca, però, un meccanismo senza soluzione che da un lato apre la strada a forme di dipendenza verso queste sostanze e dall’altro (non rimuovendone le cause), determina un aggravamento del nostro stato psicofisico; fino a che si affacciano delle vere e proprie patologie: attacchi di panico, ansia, irascibilità, insonnia, depressione, sbalzi d’umore, considerevoli cali di energia, disturbi cognitivi e tutta quella gamma innumerevole di malattie correlate che attaccano i nostri organi e i nostri sistemi. In questo quadro estremamente complesso, spesso si inserisce anche l’abuso di alcol, utilizzato per esorcizzare la sofferenza cui questa condizione confina oppure di droghe, assunte, ancora una volta, in funzione dello stato che si vuole provocare (deprimente, stimolante, allucinogeno, etc., etc.).

Esiste però una seconda opzione, alternativa e risolutiva, la quale permette all’individuo di conquistare la capacità di operare in maniera significativa sui propri stati psicofisici con effetti benefici importanti su più aspetti della propria persona. Di là poi se si tratta del far fronte alle conseguenze incresciose dello stress (es. disturbi d’ansia, insonnia, depressione, mancanza di energia, problemi di pressione arteriosa, etc.), oppure di ritrovare la propria serenità o conquistare una stabilità emotiva, piuttosto che incrementare in maniera significativa le proprie performance in termini di energia, maggiore capacità di apprendimento, memoria, concentrazione, etc., etc.

Tecniche di potenziamento della persona

Questa seconda alternativa è caratterizzata da quell’insieme di discipline che prendono il nome di pratiche yogiche collocate, principalmente, all’interno di una delle sei scuole ortodosse che fanno da base all’Induismo, lo Yoga. Specifichiamo subito che lo Yoga, qui citato, non ha nulla a che vedere con quello che la maggioranza di noi occidentali crede che esso sia, identificandolo prevalentemente con le famose posture acrobatiche o contorsioniste. Queste rappresentano solo una parte della disciplina psicofisica che lo stesso contempla; si tratta, in realtà, di un sistema filosofico molto più complesso e articolato, al centro del quale si pone l’individuo e il suo completo autosviluppo[2].

La nostra attenzione, in questo contesto, è relativa solo alle pratiche psicofisiche derivate da questa disciplina e in particolare a quelle che si collocano nel:

  1. Raja yoga (formulato dal grande filosofo indiano Patañjali) e il riferimento è al (a) prāṇāyāma (tecniche di controllo dei flussi energetici del corpo attraverso il respiro); (b) alle āsana o posizioni fisiche da assumere con il corpo le quali, tra le tante funzioni che svolgono, attivano precise risposte a livello nervoso, endocrino e immunitario; (c) alla meditazione (dhyāna) anch’essa con svariati compiti, tra i quali promuoverne la calma e avviare trasformazioni importanti a livello di mentalità, atteggiamenti verso le esperienze, i problemi, i fatti che la vita ci impone di affrontare;
  2. Kriya yoga e il riferimento è alla pratica di yoga nidra, una tecnica di profondo rilassamento indotto che oltre a sciogliere ogni tensione fisica, emotiva e mentale con risultati straordinari sullo stato di benessere della persona, opera sulla mente così da trasformarne, anche qui, l’essenza;

Quando invece si parla di mindfulness, termine molto in voga in questi ultimi anni, stiamo parlando di una delle tante modalità esistenti di approcciare la meditazione. Tra l’altro, nella sua accezione specifica, con questa parola si fa riferimento a un insieme circoscritto di tecniche derivate dalla meditazione Vipassanā, praticata all’interno del Buddhismo Theravāda. Sotto molti punti di vista è una sua versione ridotta e riadattata alle esigenze di un individuo laico e occidentale, il che non la rende meno efficace a patto però che sia appresa da fonti competenti. La rete è piena di tutorial, molti pseudo esperti ne scrivono abbondantemente, però pochi dimostrano vere competenze sulla materia e ancora meno sono coloro che, pur insegnandola, dimostrano di averla mai praticata. Chiaramente dipende dai contesti ma il sospetto, in molti casi, è che si professino “specialisti” di una pratica che però non riescono ad applicare su loro stessi perché malati degli stessi sintomi (agitazione, irrequietezza o al contrario, indolenza e apatia mentale) che pensano di curare negli altri. Come se fosse possibile a un cuoco, servire agli altri dei piatti preparati da lui con ingredienti che non conosce e senza averne mai assaggiato il gusto.

Tornando a noi, è bene sapere che l’insieme di queste pratiche yogiche pongono al centro della loro azione la mente umana con il suo funzionamento e come fine ultimo, la sua trasformazione, la sua igiene, la sua sanità e il suo controllo, senza ovviamente trascurare il corpo e il suo benessere. Cambia però l’approccio che ciascuna di esse adotta per raggiungere quello stesso obiettivo.

Nel prāṇāyāma ovvero nelle tecniche di respirazione, la mente viene controllata attraverso il respiro e le strette corrispondenze che questo vanta con l’energia vitale (chiamata prāṇā) che anima il corpo. Secondo la visione yogica, questa energia, attraverso un sistema di canali simile a quello venoso, permea tutto l’apparato psicofisico umano ed è responsabile della vitalità, del benessere e della perfetta funzionalità (salute) del corpo. Tutte le malattie che ci affliggono, nascono da squilibri in questo dominio. I due canali energetici principali, che scorrono ai due lati della spina dorsale, vantano legami con il sistema nervoso autonomo. Quest’ultimo, posizionato nella stessa sede, si suddivide in due sistemi che agiscono sugli stessi organi ma in maniera contrapposta[3]: (1) Il “sistema simpatico” che nasce dal midollo spinale, nelle situazioni di emergenza attiva nel corpo tutti quei meccanismi che lo preparano ad affrontare situazioni di attacco o fuga (dal midollo spinale che è la sua sede, invia attraverso dei neurotrasmettitori specifici, ad esempio l’adrenalina, comunicazioni a tutti gli organi). (2) Il sistema “parasimpatico”, situato nella regione sacrale del midollo spinale e nel midollo allungato del tronco encefalico, al contrario si attiva per inviare a tutti gli organi, informazioni che permettono al corpo di rilassarsi, riposare e recuperare energia. Il prāṇāyāma utilizza, dunque, le sue tecniche per una serie di scopi diversi: riequilibrare eventuali squilibri, calmare la mente, aumentare l’energia del corpo o manipolarla consapevolmente in quei distretti dove si presenta la malattia.

Le āsana o posizioni fisiche che si assumono con il corpo e per il quale lo yoga viene identificato dai più, invece, in funzione dei legami intrinsechi che esistono tra corpo e mente, arrivano a controllare la mente attraverso la pratica delle posture e della respirazione combinata a esse. Ogni posizione assunta con il corpo, oltre a svolgere un lavoro profondo di riequilibrio e rafforzamento di tutta la struttura muscolare e osteoarticolare, è un “codice” che attiva determinate risposte a livello endocrino (il quale ha un ruolo fondamentale sulla capacità dell’individuo di fare fronte allo stress) e via via, su tutti gli altri sistemi. Al tempo stesso le asana svolgono un’azione profonda su tutti gli organi interni e sulla purificazione (cui l’Hatha yoga riserva metodologie specifiche) ed espulsione delle tossine accumulate. Infine lavora per rimuovere i blocchi di energia nel corpo che si creano con i vari tipi di tensione (fisica, mentale, emotiva) così da far scorrere il prāṇā e ricaricare l’intero corpo.

La meditazione, di là dalla tecnica utilizzata è, invece, una strada diretta per il controllo della mente e per sciogliere tutte le sue afflizioni, tensioni e via dicendo così che ne benefici, indirettamente, anche il corpo fisico. Diciamo subito che nell’accezione specifica, con questa parola, si intende il raggiungimento di uno stato o condizione mentale, in cui il praticante si ritrova calato spontaneamente dopo aver praticato prima il graduale distacco dalle proprie identificazioni (osservazione del respiro, dei propri pensieri, delle sensazioni del proprio corpo, etc.) e poi la concentrazione del pensiero su qualcosa di fisso (immagine, respiro, simbolo, suono etc.). La meditazione, in poche parole, non si insegna perché “accade”; quello su cui si viene istruiti (da lì le diverse tecniche) sono, per l’appunto, distacco e concentrazione del pensiero.

I suoi benefici sono innumerevoli e incalcolabili poiché si riversano su tutti gli aspetti della persona. In primis sul sistema limbico, situato nel cervello, il quale ha legami diretti con le nostre emozioni (regola la loro qualità e intensità), l’umore, il senso di autocoscienza e quindi sul comportamento dell’individuo. Dopodiché su tutti i meccanismi regolatori del corpo, ristabilendo equilibri dove c’è squilibrio, benessere dove c’è sofferenza. Migliora la memoria, la concentrazione e soprattutto questa pratica consente alla persona di divenire il testimone dei propri stati, dei propri pensieri, dei propri atteggiamenti piuttosto che identificarsi ogni volta con essi. Nell’ordinario approccio a questi contenuti (emozioni, concettualizzazioni, etc.) siamo come quel ragno che nel tessere la propria tela, ne resta invischiato. Ci lasciamo dominare dalle emozioni, dai nostri appetiti, galvanizzare dai pensieri ricorrenti l’uno spesso in opposizione all’altro e questo è il motivo per cui viviamo costantemente avvolti nell’ansia e nella tensione.

L’ultima pratica (non per importanza) è quella di yoga nidra, una pratica altrettanto benefica e particolarmente adatta all’individuo contemporaneo, debilitato a livello nervoso, esaurito e rigido a livello muscolare. Non fosse altro perché si fa da sdraiati, attraverso un rilassamento guidato che parte dal corpo per purificare la rete nervosa che si estende fino al cervello (mediatore fisico della coscienza che unisce mente, corpo ed emozioni). Questa pratica controlla e trasforma la mente, attraverso un rilassamento profondo del corpo che rivitalizza la totalità psicofisica. Contempla, durante il procedimento di distensione e abbandono di tutte le tensioni, alcune pratiche guidate che sviluppano il controllo emozionale e la capacità della mente di modellare il modo in cui il corpo percepisce e approccia l’esperienza. Sempre per contribuire a fornire il praticante di una maturità che gli consenta un punto di osservazione distaccato delle proprie emozioni e soprattutto delle reazioni associate. Anche questa pratica purifica a livello profondamente la mente.

L’Oriente ha riflettuto a lungo sui problemi che affliggono gli uomini di ogni epoca e ne ha derivato dei percorsi operativi, oltre che speculativi, che individuano nella mente e nei suoi meccanismi il cuore di tutta la problematicità della vita umana. Con la parola “mente” si fa riferimento a quella facoltà dalla quale la persona deriva il senso dell’io, vale a dire l’esperienza di essere un ente cosciente separato dagli altri, intorno al quale si organizzano le proprie prospettive sul mondo (egocentrismo). Essa è la sede della memoria, del pensiero, delle emozioni, del subconscio, di istinti e automatismi. Questa funziona tramite identificazione con le proprie sensazioni e i propri oggetti mentali; opera attraverso l’indagine analitica di frammenti di realtà che seleziona, isola, classifica, distingue spesso perdendo di vista l’intero[4].

I motivi per cui queste filosofie considerano la mente, l’origine di tutta la sofferenza umana, sono di due ordini: l’uno prettamente spirituale, l’altro prettamente empirico. In linea generale, quando l’Occidente ha attinto da queste tecniche, si è interessato solo al secondo ordine (corrispondente al livello psicofisico), il che rafforza il tema che praticarle non richieda nessun tipo di conversione religiosa o di attitudine spirituale, poiché si tratta a tutti gli effetti di mettere in pratica i dettami di una vera e propria “scienza della mente” che ha dimostrato, oramai abbondantemente, di aver compreso i legami, i meccanismi profondi e le forze che regolano i rapporti tra mente, cervello e corpo. Al punto che, come noto, in molti ospedali, anche italiani e più in generale in campo medico, si utilizzano molte di queste tecniche in affiancamento a specifici percorsi clinici di guarigione per innumerevoli patologie. Parimenti sono ausili nell’ambito sociale, nelle relazioni di aiuto (tra assistente sociale e paziente). Ugualmente sono utilizzate in ambito educativo a disposizione di insegnanti e studenti, come nei contesti aziendali e lavorativi-istituzionali, dove da anni si discute sulla necessità di dotare i propri manager e più in generale i propri dipendenti di “strumenti alternativi” che li aiutino ad affrontare lo stress e i suoi effetti (dovuto anche alle trasformazioni indotte dalla destrutturazione, i cambi di paradigma, le crisi di varia natura che stanno sconvolgendo il mondo del lavoro). In quest’ultimo caso c’è ovviamente anche un tornaconto, dietro questo sentimento apparentemente filantropico, come assicurarsi la maggiore produttività delle persone e la mitigazione del rischio che i lavoratori pressati, possano riversare gli effetti negativi a danno delle organizzazioni stesse. La famosa resilienza di cui si fa un gran parlare, parimenti al change management (entrambi requisiti necessari a livello di mindset), passerebbero anche attraverso l’utilizzo di questi “mitigatori” e alla loro capacità di dotare l’individuo di un equilibrato-silenzioso-distacco grazie al quale operare su se stesso per ricaricare il proprio sistema mente-corpo.

Analisi dell’individuo dimezzato e la scoperta della sua interezza

Spigolando tra queste tecniche, emerge il ruolo che riveste la nostra mente riguardo la realizzazione del nostro benessere psicofisico e il potenziamento delle nostre facoltà cognitive, partendo da un assioma di fondo che oramai dovrebbe essere chiaro al lettore: l’individuo è composto da una serie di sistemi e sottosistemi funzionali (formati da mente, organi, tessuti, ossa, molecole, liquidi, etc.) tra loro intimamente interrelati (in rapporto di relazione reciproca), interdipendenti (dipendenza gli uni dagli altri) e interconnessi (connessi gli uni altri), in funzione di un fine comune: l’equilibrio o benessere.

La scienza medica occidentale (ad esempio con la psiconeuroendocrinoimmunologia), al pari di moltissime altre discipline scientifiche (pensiamo solo alle scoperte avvenute nel campo delle scienze cognitive o nelle neuroscienze) ha oggi superato una convinzione retrograda ed errata che l’ha caratterizzata per anni. Nello studio dell’essere umano (quindi del suo benessere), distingueva la mente dalla componente fisica, trattandoli come due ambiti distinti. Parimenti l’approccio al corpo fisico procedeva per scomposizione nei singoli sistemi (respiratorio, digestivo, immunitario, etc.) che lo componevano, come se questi fossero l’uno separato dall’altro. Più in generale si trattava di una cultura scientifica prevalentemente riduzionista all’interno della quale tutti noi occidentali, ci siamo formati. Del resto, il metodo scientifico con il quale l’epoca moderna ha approcciato la conoscenza, ci deriva da un paradigma che in Newton e Cartesio trovò due grandi interpreti. Secondo questo modello tutta la realtà, dalla natura all’uomo, poteva essere equiparata a un grande meccanismo scomponibile e dunque riducibile nelle sue singole parti. Dovunque questa mentalità ha posato lo sguardo, ha separato, diviso, ridotto, scorporato, scaglionato, smembrato, disunito, parcellizzato. Dopodiché le “parti” così isolate dal resto, si riteneva potessero vivere sulla scia di schemi, meccanismi e procedure rigide.

I danni procurati da questa modalità di approcciare i sistemi complessi (come lo sono quelli biologici), sono alla base dei molti problemi di cui è afflitta questa società, ma ci preme chiarire che non stiamo criticando il metodo di indagine analitico di per sé, cui invece dobbiamo tutta la conoscenza di cui oggi disponiamo ma il fatto di aver trascurato di ricomporre, una volta conosciuta la “parte”, il mosaico attraverso l’incastro dei frammenti in cui l’unità-sistema era stata suddivisa.

Oggigiorno la scienza occidentale ha compreso questo suo limite e già da diversi anni, in ogni ambito di ricerca, approccia l’analisi dei fenomeni in modo diametralmente opposto, partendo proprio dalla loro organicità. Si parla, a questo riguardo, di pensiero sistemico per indicare un approccio olistico all’indagine dei fenomeni che indaga la complessità attraverso la totalità degli elementi strutturali che compongono ogni sistema (e l’essere umano lo è), considerandolo un tutt’uno che reagisce ed evolve seguendo leggi proprie. In poche parole, la scienza occidentale ha capito che ciò che caratterizza ogni sistema è ciò che affiora da questa unità; queste proprietà “emergenti” identificano il sistema a dispetto delle caratteristiche che invece contraddistinguono le singole parti che lo formano, motivo per il quale, ogni volta che si prende in considerazione solo la “parte” dimenticando l’“intero” ci si trova davanti a un vicolo cieco.

Per essere più chiari, facciamo l’esempio dell’acqua. Questa è un sistema perché la sua struttura molecolare è un composto chimico formato da più elementi interrelati (due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, uniti da legami covalenti). Tuttavia quando beviamo un bicchiere, osserviamo un lago di montagna o ci facciamo una bella doccia fresca d’estate essa, il sistema-acqua, presenta caratteristiche completamente diverse rispetto all’idrogeno o all’ossigeno presi a sé stanti. Non ultimo, il fatto che essa è un liquido mentre l’idrogeno e l’ossigeno sono dei gas. È dunque fuorviante, qualora volessimo studiare le caratteristiche del sistema-acqua, per tornare all’esempio, frammentarlo nelle sue parti di idrogeno e ossigeno e studiarle disgiuntamente. Perché è a quello che affiora da quell’unità che dobbiamo guardare se vogliamo davvero comprenderne la natura. Cosicché il pensiero sistemico ha portato molte discipline, prima divise e in competizione tra di loro, a riunirsi e a collaborare in virtù della necessità di individuare nuove verità sull’uomo e sul suo funzionamento.

Questa collaborazione ha abbracciato, come spiegavamo, anche conoscenze relative ad ambiti come quelli filosofici orientali, in funzione dei risultati straordinari che queste pratiche yogiche sono state in grado di produrre nell’individuo e di cui oramai esistono innumerevoli testimonianze in molta letteratura scientifica.

Le filosofie che citavamo agli inizi, nonostante risalgano a un periodo molto antico della storia dell’umanità, conoscevano già questa organicità e hanno organizzato queste pratiche sfruttando proprio le interazioni tra i singoli sistemi e sottosistemi dell’intero complesso-corpo-mente umano. Avevano conoscenze delle funzionalità svolte da ciascun elemento (apparati, organi, etc.) sia quando in relazione con gli altri sia quando in relazione con l’unità psicofisica umana; informazioni sulla specificità di ognuno di questi elementi, sui legami, i meccanismi e le forze tramite le quali tutti questi erano tenuti assieme. Motivo per il quale sono state strutturate delle prassi in cui, in funzione della tipologia di persona e dei problemi da cui è afflitto, è possibile operare utilizzando diversi approcci. Partire lavorando sulla rigidità dei corpi, piuttosto che prediligere il respiro, scegliere altre vie dirette o indirette per arrivare alla mente o come più spesso è accaduto, operare attraverso una sinergia di tutte queste tecniche.

L’Occidente, oggi, dovrebbe avere l’umiltà e il coraggio di spingersi ancora oltre, cercando risposte anche in quegli ambiti che per ora, approcciando queste tecniche, ha scelto di ignorare per dogma, per pregiudizio o superstizione. Non fosse altro perché, data l’attestata validità scientifica di quanto ha già avuto modo di appurare in queste, potrebbero rivelargli aspetti della costituzione umana che la nostra scienza non ha ancora scoperto e che invece potrebbero aprire nuovi e fruttuosi percorsi di ricerca sui quali spingersi.

Il grande valore di queste pratiche per il completo sviluppo dell’individuo

Lo stress cronico è la risposta neurofisiologica a una realtà che ci sovraccarica di problemi, doveri, obiettivi, impegni, stimoli cui siamo tenuti a far fronte quotidianamente. Questa attivazione che coinvolge tutto il nostro organismo nella sua componente fisica, emotiva e mentale, quando è continuativa perché non riusciamo a “disattivarci” rilassandoci, porta al logoramento, allo sfinimento, all’indebolimento del sistema nervoso, immunitario e quindi a tutta una gamma di malattie e di sintomatologie che si avvicendano. Inoltre gli scenari sempre più complessi, ci impongono una forza d’animo e una distaccata obiettività di giudizio che non sempre è facile conquistare e purtroppo non sempre possiamo scegliere di cambiare il contesto che ci circonda, magari cambiando città, lavoro, stile di vita. A volte le situazioni ci obbligano, ci inchiodano a subire quella data condizione (pensiamo alla pandemia, alle guerre, alle crisi economiche con conseguenti riorganizzazioni o ristrutturazioni aziendali, etc.); altre volte è il prezzo inevitabile che ci tocca pagare in funzione del ruolo che rivestiamo o delle scelte che facciamo, come suggerito agli inizi di questo articolo. Possiamo però, come mostrato, cambiare il nostro modo di approcciare tutto questo abbracciando una disciplina del corpo e della mente, costituita di poche pratiche (il segreto non sta nella quantità di cose che si fanno ma nella qualità e serietà con cui si affrontano).

Si tratta nel complesso di dedicare pochi minuti al giorno alla propria persona, introducendo gradualmente pochi esercizi, considerandoli fondamentali al pari del mangiare e del dormire. La mindfulness può benissimo rientrare all’interno di questo programma, anche se per quanto ci riguarda preferiamo attingere direttamente alle tecniche meditative originarie, da cui questa è stata isolata. Meditazioni come Antar mouna, Ajapa japa, Vipassana sono un bene prezioso lasciato in eredità all’umanità e all’uomo di ogni tempo. Se uniti a Yoga Nidra e a qualche posizione yogica, con un minimo di attività fisica (anche mezz’ora di passeggiata a passo veloce intorno al palazzo dove abitiamo, come se stessimo in ritardo a un appuntamento), possono far accadere miracoli nella vita di una persona.

Il consiglio è di iniziare gradatamente lasciandosi guidare dal buon senso e ovviamente, documentarsi su qualche testo e poi affidarsi sempre a insegnanti esperti, capaci di valutare lo stato di salute della persona e di guidarla attraverso questi percorsi.

Gran parte delle tensioni e della sofferenza che proviamo nasce da un’errata modalità di porci davanti alla vita e a noi stessi.

Rivoluzionando il modo di approcciarsi a questa, seguendo una disciplina della mente, guarderemo ai nostri atti, ai nostri pensieri, alle paure, insicurezze, giudizi, prendendole per quello che sono: produzioni particolaristiche e arbitrarie di una piccola e fallibile mente sulle quali, anche solo attraverso l’auto-osservazione, è possibile svolgere un’attività critica, riflessiva, re-interpretandone e rivalutandone il senso e il valore. Il che porta la persona, dove possibile, a cambiare il proprio modo di guardare e dove no, a integrare determinati significati nel proprio vissuto, anche quando non può cambiare i fatti o fa fatica ad accettarli. Fortificati e rinvigoriti da un lavorio profondo che nel frattempo si svolge, come indicato, su tutti i sistemi del corpo per equilibrarne le risposte e immettere energia dove necessario.

Il che non significherà, ovviamente, non soffrire più o anestetizzarsi alla vita ma, al contrario, penetrarla più profondamente. Tutto ciò, difatti, come qualcuno ha erroneamente interpretato non rappresenta in nessun modo una fuga dalla realtà, ma al contrario ci consegna una chiave per esercitare un forte potere su di essa.

Dalla distanza che si verrà a creare, tra i nostri contenuti mentali (preoccupazioni, ansie, pregiudizi, punti di vista, etc.) e noi stessi, ci si predispone all’analisi, all’autoesame, allo studio, all’indagine, all’ispezione, all’esplorazione, alla riflessione su tutto ciò che ci caratterizza intimamente (paure, pensieri, emozioni, stereotipi, atteggiamenti, sogni, bisogni, aspettative, agire, etc.). Da tutto questo nasce l’azione equanime del leader e il controllo che questo esercita, sulla propria persona. Il quale a prescindere dalle preoccupazioni, pensieri o paure da cui è avvinto in quel momento, riesce a scovare la forza, la lucidità e la fermezza per fare non quello che gli viene più facile o che è più conveniente o preferibile, ma quello che è più giusto agire, dire, pensare in quel momento. Abilità che donerebbe al mondo una nuova dirigenza che finalmente non re-agisce agli stimoli cui è sottoposta, ma agisce. Una dirigenza in grado di governare le proprie risposte comportamentali, disciplinarle e sgrossarle in virtù di uno scopo più alto.

Tutto questo enorme raggiungimento passa attraverso una scuola o disciplina della consapevolezza. Queste filosofie realizzative non sono religioni, non c’entrano nulla con il culto rivolto a una divinità, ma sono a tutti gli effetti, una “scienza della mente” che basando le loro metodologie su una conoscenza profonda dei suoi meccanismi, permettono all’individuo di avversare, quando necessario, gli automatismi che dominano la dimensione cognitiva e affettiva, umana. Parallelamente di liberare il corpo dalle tensioni (fisiche, emotive, mentali) per ricaricarlo di vigore e nuove rinnovate energie.

Ognuno di noi è in lotta costantemente contro qualcuno, la vita, la sorte, gli altri, la società. Tutti cercano le soluzioni ai loro problemi fuori da se stessi, convinti che lì si trovi il rimedio o il nemico, l’ostacolo da abbattere. Pochi sono quelli che sanno vedere in quell’additare, la proiezione di un loro limite, di una loro frustrazione, di un loro pregiudizio, delle cose che temono di più, del loro attaccamento alle cose, la reiterazione automatica di un loro schema mentale. Pochissimi, tra questi, sono coloro che capito questo si adoperano, lavorando su se stessi, per ovviarvi. Questi ultimi avranno le chiavi del potere, della felicità, della forza e del successo nella loro vita, poiché tutti questi raggiungimenti passano attraverso le forche caudine della libertà dell’individuo, dalle prigioni e dai limiti invisibili della propria mente.

L’invito rivolto ai lettori è “provare per credere”.

Note:

[1] Sul tema abbiamo scritto questi articoli:

https://www.leadershipmanagementmagazine.com/articoli/un-modo-rivoluzionario-di-approcciare-la-leadership/

https://www.leadershipmanagementmagazine.com/articoli/costruire-la-propria-leadership-carisma-potere-e-identita-sociale/

https://www.leadershipmanagementmagazine.com/articoli/comunicare-la-propria-leadership/

https://www.leadershipmanagementmagazine.com/articoli/gruppo-e-leader-come-si-costruisce-il-noi/

[2] Per chi è curioso di avere più informazioni sullo Yoga, consigliamo un libro semplice, introduttivo e di facile consultazione, scritto da un grande studioso di queste tematiche: “Yoga, piccola guida per conoscerlo” di R. Castello (2012) Youcanprint. Si veda il link di seguito: https://www.centroparadesha.it/ude/yoga-piccola-guida

[3] https://www.treccani.it/enciclopedia/sistema-simpatico-e-parasimpatico_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/

[4] Per chi volesse conoscere nel dettaglio come funziona la nostra mente, rispetto ovviamente ai temi trattati, consigliamo il nostro libro “Project Manager. Fondamenti psicosociologici di leadership e comunicazione nella gestione dei gruppi di lavoro” di R. Mandolini (2021), Youcanprint

Letture consigliate:

Un ottimo testo introduttivo a tutti i temi trattati è quello curato dallo Swami Suryamani Sarasvati (2001). “Yoga e Stress. La Scienza dello Yoga per alleviare lo Stress”. Edizioni Satyananda Ashram Italia

Due testi più specialistici sulle pratiche yogiche, sono quelli di:

  • Swami Satyananda Saraswati (2002). “Asana Pranayama Mudra Bandha”. Edizioni Satyananda Ashram Italia
  • B. K. S. Iyengar (2003). “Teoria e pratica dello yoga”. Edizioni Mediterranee

Sui temi della Meditazione e su Yoga nidra, consigliamo:

  • Swami Sivananda (1950). “Concentrazione e Meditazione”. Edizioni Mediterranee
  • Swami Satyananda Sarasvati (1978). “La Saggezza dello Yoga”. Si legga il Capitolo 5 dedicato alla Meditazione. Edizioni Mediterranee
  • Swami Satyananda Sarasvati (2001). “Yoga Nidra”. Edizioni Satyananda Ashram Italia
  • Thich Nhat Hanh (1992). “Il miracolo della presenza mentale. Un manuale di meditazione”. Ubaldini editore
  • Kabat-Zinn J. (2018). “Mindfulness per principianti”. Mimesis

 

Articolo a cura di Romina Mandolini

Profilo Autore

Romina Mandolini Classe 1971, certificata Project Management Professional presso il Project Management Institute (PMI), la più importante associazione internazionale di Project Management. Lavora presso un’importante azienda di Telecomunicazioni italiana dove ha ricoperto diversi ruoli e maturato un’importante esperienza in termini di partecipazione e guida di progetti e gruppi di lavoro. Laureata in “Comunicazione, Media e Pubblicità” continua i suoi studi di indirizzo psicosociale al di fuori del mondo accademico ed è impegnata nella diffusione di queste conoscenze, nell’ambito professionale. È autrice di due libri, l’ultimo “Project Management, Fondamenti psicosociologici di Leadership e Comunicazione nella gestione dei Gruppi di lavoro. (2021). Sensibile allo sviluppo del potenziale umano, si è dedicata allo studio della Philosophia Perennis e in questo contesto ha approfondito lo Yoga e le diverse forme di meditazione.
Cura il blog https://www.leadershipcomunicazionegruppi.com/

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