Lo State of the Heart dell’Intelligenza Emotiva
L’Intelligenza Emotiva (IE), ovvero la capacità di far dialogare la parte razionale e la parte emotiva del nostro cervello al fine di prendere decisioni intenzionali e sostenibili, rappresenta un set di competenze essenziali per navigare nella complessità del mondo di oggi. Le ultime ricerche ci confermano che è un fattore chiave per migliorare l’efficacia personale e professionale, le relazioni, il benessere e la qualità della vita. La buona notizia è che l’IE si può allenare, ciò significa che incrementandola, verranno influenzati positivamente i fattori di successo appena citati. Affinché raggiungere questo risultato c’è bisogno però di impegno, metodo e tempi dedicati, cioè di un esercizio costante. Sappiamo bene come il COVID-19 abbia colpito l’Italia e il mondo in generale in maniera potente, impattando significativamente sulle nostre vite. Come ha influito la pandemia sulla nostra capacità di utilizzare ed allenare queste competenze socio emotive?
Recentemente è stato presentato l’ultimo State of the Heart relativo al triennio 2018-2020. Si tratta del report in cui sono evidenziate le diverse tendenze dell’IE sia a livello internazionale che italiano, che Six Seconds produce periodicamente e rende disponibile gratuitamente al grande pubblico.
Il focus è rivolto in particolar modo all’impatto sulle competenze socio emotive al termine del primo anno di pandemia, al fine di osservare e dare un’interpretazione collettiva ai meccanismi di reazione che abbiamo messo in atto davanti a questa minaccia globale.
L’analisi dello State of the Heart si basa su un campione di 20.160 persone provenienti da 129 paesi, casualmente estratto da una popolazione di indagine di 127.645 individui. Il campione è equilibrato per area geografica di provenienza, età e sesso ed include anche altre categorizzazioni, come il ruolo professionale, la tipologia di azienda, ecc. I dati raccolti sono costituiti dagli esiti della somministrazione del Six Seconds Emotional Intelligence Assessment (SEI), questionario psicometricamente validato, riconosciuto dal Consortium for Research on Emotional Intelligence in Organizations (CREIO) ed utilizzato a livello internazionale per rilevare l’intelligenza e la performance emotiva individuale e di gruppo.
Lo studio ha primariamente rilevato che l’Intelligenza Emotiva, fattore determinante per affrontare le avversità degli ultimi anni, in tutti i paesi considerati è purtroppo in declino. L’andamento della curva crescente del periodo pre-pandemia appare drasticamente discendente nel 2020. I punteggi dell’IE descrivono atteggiamenti più riflessivi e prudenziali, accanto però ad una diminuita connessione verso gli altri. Ciò può comportare da un lato una maggiore tenenza all’isolamento, dall’altro un minore utilizzo dell’immaginazione verso la ricerca di possibili alternative, fondamentali soprattutto se si pensa al fatto che i punteggi di IE predicono oltre il 50% della variazione dei risultati di performance.
Riportiamo brevemente alcuni risultati dello studio che possono fornire degli spunti utili per fare alcune riflessioni e raffronti sulle esperienze che viviamo quotidianamente in ambito personale e professionale.
Dai dati globali raccolti si evince che relativamente alle competenze socio emotive totali ed il genere, la situazione complessiva risulta statisticamente la stessa per femmine e maschi, mentre nelle sotto-competenze si rilevano ampie variazioni. Ad esempio, le donne risultano avere punteggi più alti in termini di consapevolezza e prudenza e gli uomini presentano punteggi più elevati nel gestire le emozioni in modo proattivo.
Focalizzando sul genere femminile in relazione con il ruolo professionale e l’Intelligenza Emotiva, si è globalmente riscontrata una correlazione diretta tra lo sviluppo di carriera e l’aumento delle competenze socio emotive totali. In particolare, le donne manager sembrano ottenere punteggi più alti del 6,1% rispetto alle impiegate; tale percentuale si incrementa ancora del 2,6% nel caso di donne che svolgono funzioni di alta dirigenza. Naturalmente, questo andamento globale evidente per i punteggi di Intelligenza Emotiva totale, acquista maggiore specificità analizzando i dati relativi alle singole competenze che compongono il costrutto e osservando le diverse realtà regionali.
Relativamente ai singoli domini, una considerazione generale molto interessante riguarda due competenze: “saper navigare le emozioni” e “far crescere l’empatia”. Nei punteggi medi si osserva che la prima tende ad aumentare e la seconda a diminuire nel caso di avanzamento di carriera da parte delle femmine e non dei maschi (come si evince dalla figura 01). Questo dato registra un cambiamento di atteggiamento delle donne quando si trovano in posizioni di leadership e apre la riflessione verso la ricerca delle ragioni sociali ed emotive di tale cambiamento: Aspettative culturali aziendali? Emulazione di modelli maschili preesistenti? Abbandono dell’immagine stereotipica della donna accudente?
Per quanto riguarda il tema della differenza di età in relazione alle competenze socio emotive, si è constatato che medi e grandi adulti ottengono punteggi più alti, e che a livello di competenze singole il trend tra generazioni diverse è notevolmente variabile a seconda del contesto sociale e più in particolare dell’ambiente professionale. Tra le altre cose, merita attenzione la tendenza generale di un punteggio di “ottimismo” ben al di sotto della competenza di “usare il pensiero sequenziale” da parte della generazione Z (i nati a partire dal 1997 sino al 2012), come fosse indice di un orientamento fortemente proiettato al ragionamento logico, ad azioni cautelative e non rischiose. Ciò suscita il quesito sulle incognite di tale atteggiamento in termini di leadership, in proiezione ad esempio del futuro di un’organizzazione.
Spostando l’attenzione dal panorama internazionale alla sola Italia, notiamo che i livelli medi di Intelligenza Emotiva sono inferiori a quelli globali. Il Direttore di Six Seconds Italia ed EQ Biz, Lorenzo Fariselli commenta: “Le analisi effettuate ci hanno ancora una volta confermato l’importanza dell’Intelligenza Emotiva nella performance e, purtroppo, l’immediata sofferenza delle competenze socio emotive in situazione di stress sociale. L’unica competenza che è rimasta stabile nel periodo 2019-2020 in Italia, all’alba del COVID-19, è ‘utilizzare il pensiero sequenziale’ ovvero quella che consente di valutare i rischi delle situazioni, facendoci agire con cautela. Questa competenza è assolutamente necessaria e tremendamente importante in situazioni emergenziali. Tuttavia, è bene sottolineare che non è l’unica dimensione che avrebbe potuto creare valore nel periodo preso in esame. Cali in competenze quali ‘comprendere le emozioni’, ‘empatia’ ed ‘ottimismo’, ci descrivono l’individuo come reattivo e propenso a chiudere la porta alle emozioni. Tutto questo, seppur in linea con la presenza di una minaccia esterna a cui fare fronte, ha reso mediamente difficile la possibilità di guardarci dentro, razionalizzare la nostra sfera emotiva, impattando così negativamente sul nostro equilibrio mentale ad oggi a livelli critici, come riportato dall’Istituto Superiore di Sanità. L’edizione italiana dello State of the Heart evidenzia quindi la strategicità di un allenamento costante delle competenze dell’Intelligenza Emotiva, poiché ci darebbe l’opportunità di trovare valore anche nelle emozioni spiacevoli e di costruire ponti relazionali utili a ridurre la percezione di solitudine ed isolamento”.
Una lente di ingrandimento sul nostro territorio: alcuni elementi di attenzione per le organizzazioni
Poco sopra abbiamo citato l’evidenza che relativamente alle competenze socio emotive ed il genere, le donne risultano avere punteggi più alti in termini di consapevolezza e prudenza, mentre gli uomini presentano punteggi più elevati nel gestire le emozioni in modo proattivo. Entrando più nel particolare sui dati relativi al nostro Paese, viene confermata questa tendenza globale, insieme all’evidenza di un punteggio maggiore statisticamente significativo nel “far crescere l’empatia” per i maschi rispetto alle femmine e nell’ “utilizzare il pensiero sequenziale” per quest’ultime rispetto ai maschi.
Questo dato oggettivo è interessante perché sembra non confermare l’idea di una capacità maggiormente empatica attribuita generalmente alle donne. Viceversa, laddove si ritiene più maschile la tendenza a sistematizzare, al ragionamento logico di tipo “se…, allora…”, ecco che si osserva un punteggio più elevato delle donne proprio nell’ “uso del pensiero sequenziale”, che lo stereotipo inquadra invece come tratto tipicamente maschile.
L’indicazione che si può trarre da questo risultato dello studio è quella di un possibile, diverso inquadramento del tema della differenza di genere in azienda. Uno sguardo che focalizza sulle qualità specifiche della persona e non tanto sulla determinazione di caratteristiche femminili e maschili – più legate agli stereotipi sociali. In questo modo, tutto ciò che emerge dall’individuo (come ad esempio l’ascolto, la capacità di relazionarsi, di prendersi cura, l’empatia, ed i valori che ad esse associati), lo si osserva in quanto potenziale personale di altissima qualità, che abbatte le barriere della categorizzazione in maschile e femminile. Capiamo bene come da questa prospettiva, il tema dello stereotipo di genere potrebbe non avere più presa, poiché considerando il valore ed il potere della singola persona, viene meno il rifarsi a dualismi del tipo donna-debole/leader-forte.
In riferimento alla differenza di età in relazione alle competenze socio emotive, anche nel nostro Paese è confermato il trend secondo cui la maturità è indice di maggiore Intelligenza Emotiva. Lo studio rileva che, mentre la generazione al di sotto dei 30 anni appare quella maggiormente sofferente in base all’andamento di tutte le competenze socio emotive, le altre generazioni prese nel loro insieme risultano complementari alla formazione di un profilo unico e complessivo di Intelligenza Emotiva. La generazione che va dai 30 ai 45 anni appare infatti più forte nell’area gestionale, mentre le fasce di età più alte riflettono maggiori competenze nell’area della consapevolezza e degli obiettivi di valore da conseguire a lungo termine. L’indicazione che si può trarre da questo risultato riguarda il tema della complementarità. Immaginiamo quanto sarebbe ricco un team formato da collaboratori di generazioni diverse. Ci prefiguriamo una squadra in cui si darebbe voce e spazio ad attitudini cognitive sia fluide che cristallizzate, a temperamenti più istintivi verso il problem solving e contemporaneamente più cauti e riflessivi verso l’analisi dei costi e dei benefici; avrebbero spazio visioni proiettate più a lungo raggio e allo stesso tempo più energiche verso il raggiungimento di obiettivi a breve termine.
Uno degli elementi su cui puntare affinché far comunicare efficacemente un team composto da generazioni diverse potrebbe essere il comportamento. Ciò significherebbe lavorare sulle dinamiche relazionali che si presentano all’interno di ogni contesto specifico e avvalorare le caratteristiche individuali dei lavoratori a tutti i livelli, affinché il comportamento in azienda non sia legato al pregiudizio e quindi potenzialmente discriminatorio. Per fare comunicare i diversi mondi che si celano dietro le differenze anagrafiche occorre quindi sviluppare quei fattori individuali che aiutano ad aprirsi alla comprensione dei vissuti dell’altro, che permettono di stabilire dei contatti più profondi e duraturi attraverso l’accoglienza e l’empatia, che favoriscono il guardare con positività e flessibilità il cambiamento organizzativo. Detto in altri termini, occorre allenare tutte quelle competenze che permettono di essere emotivamente più intelligenti.
Nello studio sono state anche poste a confronto diverse tipologie di ruoli professionali in relazione alle competenze socio emotive (vedi tabella 01). I gruppi analizzati sono stati quelli di: alti dirigenti, venditori, consulenti, liberi professionisti, imprenditori, impiegati, ricercatori, educatori ed in ultimo, studenti. Comparando i punteggi ottenuti sull’Intelligenza Emotiva sia totale, che declinata nelle singole competenze, sono emerse due polarità statisticamente significative: da una parte quella degli alti dirigenti con livelli più elevati di Intelligenza Emotiva e dall’altra quella degli studenti, con livelli più bassi. Ciò probabilmente può ricondursi al tema della differenza di età e di esperienza, che si palesa nella maggiore o minore maturità socio emotiva. Tendenzialmente, i livelli alti di Intelligenza Emotiva sembrano riguardare anche manager e venditori, categorie meno forti nell’ “usare il pensiero sequenziale” rispetto ai consulenti, liberi professionisti e imprenditori. Questi ultimi (consulenti, liberi professionisti e imprenditori) presentano punteggi medio alti e pattern di competenze socio emotive simili. I livelli più bassi di Intelligenza Emotiva coinvolgono invece impiegati, educatori, ricercatori e studenti.
Lo studio ha posto in rilievo, inoltre, che in tutte le professioni analizzate, la competenza sempre presente tra le prime quattro con la media più alta è la “motivazione intrinseca”. Viceversa, in area di sviluppo si riscontra la “comprensione delle emozioni” che nel modello Six Seconds di Intelligenza Emotiva rientra nel dominio della Self Awareness. Un calo in questa competenza potrebbe portare a non comprendere il significato di un sentire energico proveniente da una motivazione intrinseca forte e di conseguenza potrebbe bloccare la traduzione di questo sentire in azione. Saper comprendere le emozioni ci aiuta infatti ad accorgerci e a capire i nostri stati d’animo, ad esplorare il nostro mondo interiore. Ciò significa sostanzialmente chiedersi “cosa sto provando?” o “cosa sta provando l’altro?”, per comprendere quali sono le emozioni che sentiamo o che riconosciamo nell’altro, utilizzare questa informazione per aprirsi all’ascolto dei bisogni che sottende e intervenire con consapevolezza sul comportamento da mettere in atto. Saper comprendere e insieme riconoscere le emozioni è un passaggio essenziale per imparare a gestirle.
In conclusione, le analisi dello State of the Heart dell’Intelligenza Emotiva hanno fatto emergere alcune tendenze che descrivono il modo in cui ci siamo posti e presumibilmente ancora ci poniamo, di fronte alle avversità della pandemia e ci ha permesso di evidenziare degli elementi oggettivi che possono essere suggerimenti o stimoli per affrontare in ambito aziendale alcune problematiche tipiche, come ad esempio, il tema delle diversità di genere e generazionali. Nel suo insieme, la ricerca testimonia altresì il bisogno profondo e concreto di allenare le competenze dell’Intelligenza Emotiva a livello personale e professionale, in quanto fattori protettivi necessari per affrontare l’insorgenza di nuove e continue sfide.
Articolo a cura di Lorenzo Fariselli, Valentina Virciglio, Deborah Giovannoni e Ilaria Iseppato
Ilaria Iseppato, PhD in Sociologia e Coach con credenziali ACC-ICF, è Communication Manager di Six Seconds Italia e Program Manager per EQ Biz, la divisione corporate di Six Seconds Italia.