Management in condizioni estreme: capacità e funzioni invece di gerarchie

Nella mia esperienza di lavoro sui mercati internazionali ho potuto vedere, in situazioni di crisi gravissime, come il management ha salvato le aziende cambiando le strutture e le modalità abituali del modo di dirigerle. Ho visto fare scelte che qui da noi troviamo soprattutto – certamente non solo, ma soprattutto sì- nelle pratiche di donne manager.

Si è vista tanto più la loro efficacia perché attuate in situazioni estreme di mercato e sociale. Penso ad aziende nella Grecia nel pieno della crisi, nella Slovenia con il tracollo seguito all’autonomia, nell’Ucraina e nella Russia in stato di guerra, di sanzioni, di ritorsioni. Osservandole nelll’insieme si possono cogliere i fattori del buon risultato.

L’innovazione è stata la strada inevitabile e urgente. Si è reagito subito, su tutti gli aspetti dell’azienda. Migliorare i prodotti e crearne di nuovi rispondenti alla nuova situazione. Cercare redditività in modi diversi dal business model abituale. Ridurre i costi di produzione ridefinendo i processi. Eliminare spese di status (uffici prestigiosi, auto…). Soprattutto, si è cambiato il modo di lavorare. Una totale revisione delle strutture e delle attività, verificandone la reale funzionalità. E’ stata tagliata la catena gerarchica. Eliminati i ruoli intermedi di capi e capetti. La piramide di ruoli gerarchici serve a distribuire un po’ di potere (e status), assicurando ai vertici il sostegno del middle managemen. Ma per la funzionalità aziendale è controproducente. Rallenta il processo decisionale, fa sprecare energia per definire chi deve fare che cosa, portando a occuparsi di carriera (anche per quote di potere risibile) invece che dei risultati. E’ stato ridotto anche il top management. Molte funzioni di vertice sono spesso non indispensabili (dov’è precisamente la differenza tra un General Manager e un Chief Operative Officer?).

Le persone sono state coinvolte nel processo di cambiamento. Ognuno secondo il proprio potenziale è stato chiamato a ricercare soluzioni, realizzarle e assumersene la responsabilità. No a compiti di routine, ma creatività e spirito ‘imprenditoriale’. Sono stati creati gruppi di lavoro per sviluppare nuovi business o modi di agire sul business corrente. Ogni responsabile è stato considerato un piccolo CEO, ma con la responsabilità estesa a tutto il gruppo. Le persone sono state sostenute con la formazione e motivate con ritorni economici. Questo è diventato il nuovo modo di gestire le attività. Servono capacità e funzioni invece di gerarchie. Si crea così una nuova cultura aziendale, orientata ad accelerare il processo di innovazione su tutti i fronti. processo che non richiede investimenti economici, ma molto investimento relazionale.

Si è anche dovuto ridurre il personale, per la forte contrazione del mercato. C’era però consapevolezza che il processo poteva funzionare se si capiva che dalle azioni erano nell’interesse comune. Nei casi di uscita dall’azienda si è posta molta attenzione ai destini di quelle persone (Per esempio, si sono scelte persone con possibilità di trovare lavoro altrove, o vicine al pensionamento, o che non avessero una famiglia dipendente solo da loro…). Per quanto possibile, si è cercato di non mettere nessuno in una situazione disperata. Queste aziende sono sopravvissute. Anche se le dimensioni di business sono state ridotte, l’attività è continuata con ritorni economici positivi. Quando questo processo ha dato i suoi frutti, lo stesso management era impressionato da come prima fosse normale lavorare con un’organizzazione rigida e pletorica. Da come il cambiamento fosse stato possibile mobilitando le capacità e la responsabilità di tutte le persone.

La necessità ha spinto a cambiare visioni manageriali consolidate. Il risultato non è stato solo la resistenza dell’azienda. Nessuno ha considerato quell’operazione come modo eccezionale di attraversare la crisi fino ad una normalizzazione. Quello è diventato il nuovo modo di lavorare e governare l’azienda.

La situazione del nostro paese è certo meno drammatica, ma grave comunque. E’ parte dello stesso scenario. Dunque possiamo trarne lezioni e orientamenti anche per noi ora. La crisi non significa solo una riduzione del business, è un cambiamento qualitativo delle condizioni: le situazioni ‘normali’ di prima non possono esistere più. Le solite prassi vanno guardate in modo critico. Ciò che ieri sembrava giusto e ragionevole oggi può non esserlo abbastanza o addirittura sbagliato. Ciò che è insolito richiede soluzioni insolite.

Le persone dell’azienda devono essere messe in grado di essere responsabili, autonome, capaci di agire sul momento. Anche questo è il ruolo di chi governa l’azienda. Con questa cultura l’innovazione si sviluppa non come processo eccezionale ma come nuovo standard lavorativo. Il persistere di una cultura arretrata può mangiarsi qualunque progetto di innovazione. Le soluzioni efficaci sono quelle che si lasciano emergere dalle situazioni, procedendo per tentativi: muoversi, cambiare, imparare, fare prototipi e poi rifarli, provare, provare ancora. Cercare modalità nuove senza certezze su dove si arriverà, senza pretendere di prevedere tutto.

L’innovazione è diventata indispensabile e non rinviabile, e deve essere diversa da come la si progettava prima. L’organizzazione deve cambiare sempre, perché continuo è il cambiamento in atto. E’ un orientamento manageriale che possiamo definire come leadership adattativarispetto alla realtà che cambia. Non un adattamento passivo, ma comprendere il contesto per agire e per influire su quel contesto.

Questo modo di guidare un’azienda -vedere criticamente i modelli abituali, cercare strade nuove più adatte alla realtà, far crescere autonomia e competenza delle persone, dare loro l’occasione di esprimere capacità, distribuire responsabilità, remunerare tutti perché tutti fanno i destini dell’azienda- bene, questo modo noi oggi lo vediamo venire più spesso dalle donne che dagli uomini. E lo vediamo realizzato nelle loro pratiche. Speriamo che non occorrano situazioni esteme perché la cultura manageriale ne capisca il valore e se ne appropri.

A cura di: Luisa Pogliana

Articolo pubblicato sulla rivista Leadership & Management – Gennaio/Febbraio 2016

Profilo Autore

Luisa Pogliana: per molti anni direttore di una staff in una grande azienda editoriale, è ora consulente di ricerca sui mercati internazionali. Ha fondato l’associazione Donnesenzaguscio, per la valorizzazione delle pratiche e dei pensieri innovativi delle donne nel management. Su questi temi ha pubblicato Donne senza guscio (2009) e Le donne il management la differenza (2012), entrambi presso Guerini.

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