Occorrono leader attenti al confronto con l’intelligenza emotiva

Nei primi anni ’80 dello scorso secolo, il governo Thatcher ha avviato un processo di riforma dell’amministrazione pubblica britannica al fine di incrementarne il tasso di efficienza e di efficacia. Per conseguire risultati concerti, quindi, è stata intrapresa una politica di riduzione del personale che si è sostanziata, in particolare, nella esternalizzazione di talune funzioni alle agenzie Next Steps, dotate di un certo grado di autonomia e amministrate da chief executive officers, spesso provenienti dal settore privato, direttamente responsabili nei confronti del ministro competente.

Anche il governo Major, succeduto a quello della “Lady di ferro”, ha inteso proseguire sulla strada dell’efficientamento ricorrendo – soprattutto nell’ambito degli incarichi direttivi – a forme di impiego flessibile ma, pure, adottando la politica dell’incentivazione delle persone al lavoro, sia attraverso processi di mobilità che di corresponsione di indennità correlate ai risultati conseguiti.

Nell’intento di eliminare i mali che affliggevano l’amministrazione britannica e disporre di personale dotato di alte competenze e di un bagaglio culturale comune e condiviso, inoltre, nel 1996 è stato formalmente istituito il Senior Civil Service – composto dai dirigenti di livello più elevato, a cui è stato affidato il compito di reclutare il personale dirigenziale (i consiglieri politici e gli amministratori più importanti) tenendo conto, in particolare della attitudine all’ascolto e alla comunicazione.

Questa tendenza alla ricerca di competenze specialistiche attraverso il decentramento del reclutamento è diventato il leitmotiv più grado di garantire, da parte delle amministrazioni, il mantenimento di elevati standard qualitativi. Per la selezione dei civil servants è fondamentale ancora oggi il ruolo svolto dalla Civil Service Commission, chiamata a monitorare il processo di reclutamento del management pubblico.

Volgendo lo sguardo al sistema del reclutamento dei dirigenti pubblici della vicina Francia, potremmo constatare come sempre più spesso esso avvenga ricorrendo agli Chargè de Mission, pubblicati sui maggiori quotidiani del paese.

Appare sintomatico come su “Le Monde” del 15 aprile del 2003 sia stato possibile leggere annunci come quelli de “la Ville de Meudon” (Dipartimento dell’Hauts de Seine nella regione dell’Ile de France, a sud-ovest di Parigi), de “la Ville de Nantes” (Dipartimento della Loira Atlantica e della regione dei Paesi della Loira), de “la Ville de Tuolose” (Capoluogo del Dipartimento dell’Alta Garonna-Midi Pirenei) con cui queste importanti città d’oltralpe, necessitando di ricoprire ruoli di manager nelle rispettive organizzazioni, abbiano proceduto con l’innovativo strumento dell’avviso pubblico: richiedendo tra l’altro quale requisito di base, oltre al possesso di competenze indirizzate ad assicurare il conseguimento di obiettivi legati alle politiche pubbliche, l’attitudine a curare gli aspetti relazionali del ruolo manageriale e la capacità di attribuire significato al lavoro.

Gli indirizzi del reclutamento della dirigenza dinanzi esposti dimostrano che le organizzazioni sensibili all’innovazione (particolarmente quelle operanti nei servizi pubblici) devono sviluppare “modelli di funzionamento fondati su una logica il più possibile organica e meno meccanicistica, centrata su una maggiore attenzione alle risorse umane” [1]. Ciò vieppiù allorquando si abbia consapevolezza che c’è necessità di “capi” dotati di “qualità nuove e diverse” per fronteggiare la “turbolenza e la maggiore competitività che le organizzazioni devono affrontare”[2].

Nella letteratura, infatti, si consolida il pensiero di quanti da tempo sostengono che il management abbia l’onere di garantire la gestione delle risorse delle organizzazioni con particolare riferimento al capitale umano, in quanto la “leadership è un particolare processo, di natura relazionale”[3].

In un mondo legato alla globalizzazione e alla mutevole affermazione dei mercati e dei bisogni, inoltre, ai manager viene richiesto un approccio concreto verso l’empowerment[4] per presidiare il cambiamento generando comportamenti che portino al conseguimento degli obiettivi ricevuti per la effettiva realizzazione della mission propria dell’organizzazione.

Questo ruolo di guida si identifica con l’azione di un leader.

Da una tale convinzione discende che il processo di leadership può ben descriversi come quell’influenzamento interpersonale capace di imprimere “direzione” ai lavoratori verso i compiti definiti e assegnati e, persino, di fare assumere consapevolmente ruoli di responsabilità fino all’assolvimento, anche, di funzioni di controllo.

Peraltro, dal momento che, rispetto alle variabili del sistema, il clima organizzativo subisce condizionamenti e pressioni, al leader viene richiesto anche di assorbire l’ansia che si diffonde nell’organizzazione; cosicché egli si dovrà adoperare affinché siano assicurati ordine e guida, in riferimento agli obiettivi da conseguire, garantendo la performance richiesta.

L’azione di leadership, pertanto, deve sostanziarsi nel compito gestionale dei sistemi di significati, paradigmi, linguaggi e culture comuni.

Per questo al management è chiesto di intervenire sui gruppi, smuovendoli, sino a stimolarli, con particolare intensità e frequenza e trasferendo a quanti ne facciano parte, in particolare, sentimenti positivi, capaci di liberare quanto di meglio ogni persona possa assicurare[5].

Da quanto innanzi discende che al leader è chiesto di sostenere il confronto dell’intelligenza emotiva con la razionalità, che incrementa l’efficienza organizzativa, utilizzando le proprie abilità nella comunicazione.

Soddisfatto questo presupposto, i leader potranno coniugare la ratio – intesa come la risposta degli uomini alla complessità (ratio = razionale, dotata di senso, logica ecc.) con la necessità di cambiamento.

Ciò prospetterà un manager capace di evitare lo stress; egli assolverà così alla funzione di “progettista” del benessere organizzativo, garante dell’organizzazione nella creazione di punti di riferimento attorno ai quali si aggregano coloro che operano nell’organizzazione, con la prospettiva e l’intenzione di cambiarla (permettendo di superare le condizioni di incertezza connotate dalla complessità).

Insomma, occorre che il leader sappia andare oltre la concezione secondo cui le persone vanno considerate esclusivamente come costo o risorse da amministrare, annettendo, per converso, alla leadership il compito di guida degli individui impiegando un’intensa disponibilità a farsi permeare in una relazione di scambio, una contaminazione. Il leader così ha il compito mettersi al servizio della riuscita altrui, incoraggiando l’apprendimento e la circolazione del sapere al fine di promuovere e potenziare la volontà di affermazione e di responsabilizzazione del singolo: sicché si potrà sostenere che un buon leader è quello che gestisce il conflitto in modo costruttivo, proponendo soluzioni adatte al gruppo, salvaguardando le relazioni personali e cercando di mantenere la giusta distanza fra le persone e i problemi.

Essere leader, allora, necessita della capacità di condivisione, di ragionare insieme, di confrontare esperienze ed emozioni attraverso la motivazione e la delega, che rappresentano strumenti fondamentali per creare quel clima di fiducia necessario a fronteggiare i cambiamenti volti al successo di un’organizzazione.

 

Note

[1] V. De Giosa, T. Di Sabato, Cambiare le organizzazioni, Libellula, Tricase, 2015, p.117.

[2] Ivi, p. 129.

[3] F. Bochicchio, T. Di Sabato, Apprendimento e cambiamento nelle organizzazioni, Libellula, Tricase, 2018, p. 242.

[4] Il concetto di empowerment indica sia l’adeguamento all’ambiente sia la promozione del vantaggio competitivo. Il “leader empowering” non pone se stesso al vertice del proprio gruppo, ma tenta in tutti modi di persuadere e convincere l’altro a fare ciò a cui resiste (Cfr. C. Picardo, Empowerment, Cortina, Milano, 1995).

[5] Per un approfondimento sull’impatto dei leader sui processi motivazionali dei subordinati si veda: R.J. House, T.R. Mitchell, Path-goal Theory of Leadership, Contemporary Business, 3, 1974.

 

Articolo a cura di Tommaso Di Sabato

Profilo Autore

Docente presso la Scuola di Alta Formazione della UNINT- Roma e Collaboratore del Consorzio Interuniversitario sulla Formazione – Torino.
Già Direttore vicario della Ripartizione Risorse Umane di UNISALENTO e Professore a contratto dei Corsi di Laurea in Scienza dell'Amministrazione - Facoltà di Giurisprudenza di UniTELMA – Roma.

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