Organizzazione Informale ed Enterprise Social Networks
Organizzazione formale e organizzazione informale
Sarà capitato a tutti di sentirsi presentare l’organizzazione di un’azienda a partire dall’organigramma e poi scoprire che il modo con cui l’azienda opera nella realtà non assomiglia molto all’organizzazione come ci è stata descritta.
In particolare, questa situazione appare evidente nelle emergenze o, in generale, nelle situazioni di stress in cui le cose debbono essere fatte bene e in fretta. In questi casi il management consente alle persone di lavorare in deroga alle norme (“…non ti preoccupare, prima risolviamo il problema e poi sistemiamo la burocrazia…”); in queste situazioni le persone si rivolgono direttamente e al di fuori degli schemi aziendali a colleghi (e spesso, in ottica di azienda estesa, anche a fornitori o partner) con cui hanno lavorato bene in passato e che sanno essere in grado di affrontare e risolvere, presto e bene, il problema o l’emergenza.
Non diciamo quindi niente di nuovo se affermiamo che in ogni comunità organizzata, e quindi anche in ogni azienda, coesistono due forme di organizzazione: quella formale, progettata e gestita dai responsabili della comunità, e quella informale fondata sulle relazioni tra i partecipanti e che con esse nasce e, soprattutto, si modifica giorno dopo giorno (figura1).
Il sistema di relazioni sociali che risulta è quindi formato dalla combinazione delle relazioni gerarchiche e delle relazioni lavorative che nascono dalle pratiche formalizzate (le procedure, che sono cosa diversa dall’organizzazione formale e che di solito la attraversano) così come dalle attività quotidiane meno formalizzate o non formalizzate per nulla (figura 2).
È dalla combinazione di questi sistemi di relazioni che dipende il funzionamento reale dell’azienda.
Come nascono le relazioni informali (e perché sono inevitabili)
In azienda le relazioni informali, buone o cattive, sono ineliminabili perché, oltre a comprendere le relazioni personali (amicizie, simpatie, …), nascono, come detto sopra, dai processi e dal funzionamento quotidiano dell’azienda stessa.
L’organizzazione reale nella sua operatività, oltre che dai rapporti gerarchici, è definita infatti anche e soprattutto dalle attività che avvengono al suo interno: processi (attività codificate, pianificate e ripetitive), progetti (attività pianificate ma estemporanee), attività connesse all’esistenza di comunità professionali, attività varie (es. riunioni, gruppi di lavoro, …).
Tutte queste attività hanno in comune una cosa: implicano dei momenti di interazione tra i partecipanti e la presenza di un oggetto dell’interazione che è assegnato dall’azienda ed è quindi di interesse aziendale ma che è anche in qualche modo di interesse dei partecipanti, in quanto al corretto compimento delle attività su di esso sono collegati interessi più o meno espliciti: bonus e premi, progressione di carriera, riconoscimenti formali o informali. Gli oggetti dell’interazione (in letteratura “social objects”) sono ad esempio oggetti fisici: i contratti verso fornitori o clienti, le specifiche di un prodotto, ordini e fatture etc… ma anche le singole decisioni.
A seguito dell’interazione sui “social objects” aziendali, si genera una relazione tra i partecipanti di tipo positivo o negativo in funzione:
- dell’utilità percepita dei contributi dei singoli per il raggiungimento dei rispettivi obiettivi aziendali e personali;
- della qualità dell’interazione: competenza, rapidità di risposta, disponibilità, …
Quindi, ogni volta che le persone lavorano assieme per svolgere un’attività aziendale o per produrre qualcosa, si genera oppure si modifica una relazione sociale (figura 3).
Ogni collaboratore, svolgendo il proprio lavoro, costruisce così un portafoglio di relazioni funzionale allo svolgimento, nel modo migliore (almeno dal suo punto di vista), dei propri compiti in azienda e quindi al raggiungimento dei propri obiettivi lavorativi, personali e di carriera.
L’insieme di questi portafogli di relazioni va sotto il nome di capitale sociale dell’azienda, concetto che comprende ed estende il concetto di capitale umano.
Conoscere e gestire il capitale sociale
La necessità per il management di conoscere e (perché no?) utilizzare il capitale sociale per il governo e il buon funzionamento dell’azienda è stata presa in considerazione, più o meno esplicitamente, da diverse scuole di pensiero manageriale.
La conoscenza dell’organizzazione informale è, per esempio, uno degli obiettivi del “management by wandering around”, introdotto nell’”HP Way”, ed è parte della filosofia del “genba” nel lean management (vedi p.es. Toyota way).
Alla base di questi approcci si trova il riconoscimento del fatto che, fatta salva la buonafede, quando le persone usano il proprio capitale sociale personale per “cortocircuitare” procedure e gerarchie aziendali, molto spesso lo fanno per raggiungere prima e meglio gli obiettivi che l’azienda ha dato loro, la stessa azienda che impone regole e organizzazione spesso non funzionali, nella realtà, al conseguimento degli obiettivi assegnati alle persone.
Quindi l’unico modo a disposizione del management per gestire e migliorare le performance dei processi aziendali (kaizen) è andare sul posto dove si genera il valore, vedere se, come e perché le cose funzionano in modo diverso da come pensato in sede di definizione dell’organizzazione formale e intraprendere le azioni necessarie a livello dell’organizzazione e dei processi formali per allineare l’organizzazione formale al modo in cui le cose “funzionano davvero”.
Secondo questi approcci manageriali in un certo senso è l’organizzazione formale che si “adegua” al modo in cui funzionano le cose “nella realtà” e da esse impara e, sperabilmente, migliora.
Capitale sociale e digitalizzazione
Tuttavia, se le persone che partecipano ai diversi processi non sono tutte presenti nello stesso luogo fisico, ma operano per esempio da sedi diverse, è difficile osservarne le interazioni e complicato riuscire a individuare la struttura e la reale consistenza della rete informale.
Se poi gli oggetti dell’interazione (“social objects”) sono digitalizzati, grazie p.es. all’ERP, all’Intranet o, più in generale, a causa dell’adozione di uno spazio di lavoro digitale (“Digital workplace”), il luogo dell’interazione da fisico diventa digitale e inaccessibile all’osservazione diretta del management anche nel caso in cui le persone lavorino nella stessa sede o luogo fisico.
Nell’impossibilità di effettuare un’osservazione diretta, l’unico modo per avere un’idea dell’organizzazione informale o, meglio, per costruire una mappa della rete informale di relazioni è l’utilizzo di questionari più o meno periodici.
La compilazione e l’analisi di questionari (vedi p.es. quelli riportati in appendice al libro “The Hidden Power of Social Networks: Understanding How Work Really Gets Done in Organizations”) è tuttavia un’attività onerosa e difficile da ripetere frequentemente come sarebbe necessario per tener traccia dell’evoluzione della struttura informale al formarsi di nuove situazioni e/o a seguito di interventi micro o macro-organizzativi.
Se però le piattaforme tecnologiche utilizzate sono sufficientemente evolute, è possibile estrarre dai loro dati di utilizzo e praticamente in tempo reale tutte le informazioni necessarie a mappare e analizzare l’organizzazione informale, almeno per quanto attiene alle interazioni che avvengono on-line le quali, peraltro, sono destinate a diventare predominanti con la trasformazione digitale del lavoro.
Misurare la struttura informale per gestirla
In entrambi i casi, sia cioè che i dati sulle interazioni tra le persone siano raccolti tramite questionari o derivati dai dati di funzionamento delle piattaforme tecnologiche, è possibile, come vedremo in un prossimo articolo, misurare:
- la rete sociale nel suo insieme per avere un’idea della sua efficienza,
- la rilevanza del ruolo dei singoli partecipanti all’interno della rete.
Si tratta di tecniche note da tempo e applicate attualmente, per scopi di marketing, e su larga scala per l’analisi delle comunità on-line e delle interazioni sui social media.
A cura di: Alvaro Busetti
Alvaro Busetti opera come consulente free-lance e formatore. La sua vita professionale si è svolta nell’ambito dell’Information Technology con particolare riguardo agli aspetti progettuali e innovativi dal punto di vista organizzativo, applicativo e tecnologico. Ha svolto attività di conduzione progetti, coordinamento di unità produttive, attività di staff e supporto a livello Aziendale, di Gruppo e attività consulenziale per il top management del Cliente nel mercato dei Trasporti, Pubblica Amministrazione, Sanità, Industria, Servizi. Si è occupato di Intelligenza Artificiale, digital workplace e Office Automation, soluzioni Intranet, Sistemi multimediali, di Unified Communication e di Social Collaboration.