Per un’altra storia di Welfare – Rinnovare i sistemi di Welfare attraverso percorsi aperti e partecipati
Come si evolvono i modelli operativi di welfare aziendale e territoriale per creare ambienti di lavoro e sistemi di convivenza civile più inclusivi e sostenibili.
“Serve un cambio di paradigma”: lo abbiamo letto e sentito dire tante volte in questi difficili anni di transizione verso nuovi modelli di gestione e di sviluppo.
Un’ espressione il più delle volte accompagnata da parole-chiave composte dal prefisso ri: ri-generare, ri-pensare, ri-prendere, ri-cominciare, ri-strutturare. Spie rivelatrici di un forte bisogno collettivo di rinascita nei diversi campi della vita sociale, culturale ed economica. La consapevolezza che gli attuali sistemi di governance non bastano più per fare quel salto necessario a mutare l’ambiente all’interno del quale ci muoviamo.
Un terreno di osservazione privilegiato sulla necessità di porre mano alle regole del gioco è rappresentato dal welfare aziendale, un’onda in piena, che sta vivendo una straordinaria stagione di popolarità, grazie all’affermarsi nel sistema delle imprese dell’equazione produttività e benessere, pur in un Paese dominato ormai da alcuni decenni da tassi di produttività dello ”zero virgola”.
I piani di welfare di natura contrattuale e aziendale si sono diffusi in questi ultimi anni con forte slancio, contribuendo ad aprire una prospettiva che passa dall’adozione di un nuovo paradigma di progresso orientato alla qualità della vita. I servizi forniti dall’azienda ai propri dipendenti al fine di migliorarne la vita privata e lavorativa vanno dal sostegno al reddito familiare e allo studio, al supporto alla genitorialità, alla tutela della salute, fino alle proposte per il tempo libero e le agevolazioni di carattere familiare.
Il ritorno massiccio alle pratiche di welfare aziendale, appare legato alla crisi degli ultimi anni che ha determinato, tra l’altro, una riduzione dell’ambito di intervento dello Stato sociale, oltre che un progressivo aumento dei bisogni sociali e una loro crescente differenziazione. Hanno iniziato a sviluppare progetti di welfare, prima su base volontaria e discrezionale e poi formalizzati in accordi sindacali, le grandi imprese, come Luxottica, Pirelli, Ferrero, Sea, che con il loro dinamismo hanno dato un positivo impulso ad azioni di rete sul territorio, a vantaggio anche di aziende medio e piccole.
La scalata inarrestabile del welfare aziendale trova, d’altra parte, un freno nelle tante complicazioni sul piano normativo e nei pregiudizi culturali ancora presenti nel nostro sistema economico- sociale. Politiche fiscali arretrate, che anziché facilitare gli operatori li obbligano a forzature interpretative allo scopo di replicare buone pratiche aziendali. Contraddizioni e conflitti tra normative fiscali e normative lavoristiche, che inibiscono e scoraggiano forme di negoziazione creativa sui piani di welfare. Per non parlare dei retaggi cultuali del passato, che alimentano sia la diffidenza dei lavoratori e dei sindacati verso l’impresa, sia la riluttanza degli imprenditori alla partecipazione dei lavoratori alla gestione e alle performance economiche dell’impresa.
Ma l’onda anomala non sembra fermarsi neppure di fronte a questi ostacoli. In attesa che venga risolto il trade-off tra unilateralità e bilateralità delle iniziative di welfare aziendale e si allarghi così il favor fiscale nei confronti delle misure di welfare, nuovi attori si stanno affacciando alla ribalta: associazioni datoriali, reti di imprese, enti locali, terzo settore, network organizzati. Per avviare una serie di sperimentazioni dirette a costruire nuovi schemi di welfare, che siano adattabili anche alle piccole e medie imprese, e possano essere fruiti in diverse aree territoriali. Con l’obiettivo di contrastare il rischio, insito nello stesso concetto tradizionale di welfare aziendale, di dare luogo a evidenti squilibri nell’applicazione delle misure: tra territori, tra imprese, tra lavoratori alle dipendenze e lavoratori autonomi. Un fenomeno di notevole portata che deve mettere in guardia, se è vero che in Italia il welfare si è sviluppato soprattutto a beneficio dei dipendenti di grandi e medie imprese, escludendo di fatto le realtà imprenditoriali minori, i cui lavoratori tuttavia nel nostro Paese costituiscono l’80% degli occupati.
Non solo, in tempi di precarietà diffusa, quando il contratto di lavoro diviene una base significativa per l’accesso a servizi di welfare e di protezione dai nuovi rischi sociali , la perdita del lavoro può generare effetti negativi non solo sul piano del venir meno del reddito da lavoro, ma può anche generare forme di disuguaglianza sociale.
Mentre su quest’ultima situazione l’unica riflessione da fare riguarda il ruolo indispensabile che deve continuare ad assolvere il “primo welfare”, per la sua funzione di sopperire alle esigenze delle persone indipendentemente dal loro status professionale, sugli altri squilibri si stanno via, via costruendo sul campo nuovi modelli operativi. In alcuni territori la strada che si sta scegliendo è quella della condivisione di risorse e di progetti tra gli attori locali pubblici e privati per implementare misure di welfare aziendale e interaziendale, che abbiano un impatto anche territoriale. Si tratta di nuove forme di collaborazione che prendono le mosse da strumenti di natura organizzativa e contrattuale, di recente applicazione e ancora scarsamente presenti nel panorama italiano, ma in grado di aprire interessanti prospettive di sviluppo possibile.
In quest’ottica i sta realizzando il progetto Welfare-Net, nato su iniziativa dell’Ente Bilaterale Veneto e Friuli Venezia Giulia con l’obiettivo di valorizzare e monitorare tutte le esperienze di welfare innovativo presenti nelle province di Padova e Rovigo e, al tempo stesso, di promuovere un network di medie, piccole e piccolissime imprese interessate a sviluppare piani di welfare aziendale. L’iniziativa, che sta prendendo forma con il diretto coinvolgimento di imprese, enti bilaterali, enti pubblici e terzo settore, si articola in una sequenza di azioni volte alla creazione di una rete. Dalla mappatura dei servizi di welfare già attivi sul territorio, all’analisi dei fabbisogni dei lavoratori, in relazione all’età, al genere, alla mansione lavorativa e ai legami familiari e sociali, fino alla messa a punto di una piattaforma che possa dare un aiuto alle aziende nella definizione di progetti aziendali personalizzati. Attraverso il continuo confronto con l’azienda ed il monitoraggio delle proposte di welfare, sarà possibile strutturare un sistema di offerta variegato, che comprenda: servizi gratuiti erogati da enti bilaterali o pubblici, servizi convenzionati erogati dai soggetti della rete, azioni di riorganizzazione aziendale o di flessibilità degli orari di lavoro, servizi innovativi costruiti ad hoc dall’azienda sulle esigenze dei lavoratori.
I vantaggi potenziali derivanti dal modello a rete sono distribuiti su tutti gli attori coinvolti. Le aziende facenti parte della rete, attraverso i progetti di welfare aziendale, punteranno ad aumentare la loro competitività e produttività in termini di miglioramento del clima aziendale e del benessere dei lavoratori, oltre a creare maggiori sinergie con il territorio. Le organizzazioni di categoria e sindacali potranno sperimentare nuovi modelli di contrattazione di secondo livello.
Le organizzazioni del terzo settore potranno entrare in un mercato ad oggi ancora del tutto inesplorato. Infine, gli attori pubblici troveranno nel privato, sia profit che non profit, validi partner per integrare e rafforzare un’offerta di servizi di welfare altrimenti difficile da sostenere per la scarsità delle risorse disponibili. Un ulteriore vantaggio riguarda la creazione di start-up dedicate alla costruzione di nuovi servizi di welfare diretti a soddisfare bisogni sociali emergenti, rilevati come prioritari sul territorio: centri estivi e ludoteche per i bambini, consegna a casa della spesa di prodotti a kilometro zero, realizzazione di software per la gestione delle banche del tempo.
Un altro strumento per la diffusione più ampia di welfare è rappresentato dai Patti per lo sviluppo, che promuovono accordi tra le Parti sociali per la costituzione di sistemi territoriali condivisi. Il primo esempio è quello attuato nel 2011 da Unindustria Treviso che ha studiato in cooperazione con i sindacati della provincia un sistema di welfare territoriale, con l’obiettivo di definire per le aziende associate schemi tipo di accordi aziendali per settore merceologico.
Ulteriore opportunità per lo sviluppo di welfare per tutti sui territori è rappresentata dai bandi regionali che destinano risorse per il co-finanziamento di iniziative per la valorizzazione di pratiche di conciliazione famiglia-lavoro e di welfare.
Si è venuto così a creare un sistema complesso, che ha il suo fulcro nelle Reti Territoriali di Conciliazione,. chiamate alla redazione di piani di intervento e alla promozione di Alleanze locali, formate da soggetti pubblici e privati, con il compito di avanzare proposte progettuali e garantirne l’attuazione. I Piani di Azione territoriale presentati dalle Reti possono contenere sia misure di sostegno alle persone, per il ricorso a servizi di cura, sia incentivi alle imprese che introducono flessibilità organizzativa o interventi di welfare aziendale e interaziendale.
Il welfare si sta rivelando, quindi, a pieno titolo uno spazio di innovazione e sperimentazione su più livelli: le relazioni industriali e la contrattazione – nazionale, aziendale e territoriale-, le forme di collaborazione pubblico e privato, i modelli di corporate governance, i sistemi di convivenza civile.
A fronte di questo fenomeno, appare di grande urgenza l’introduzione di una normativa che introduca in modo chiaro vantaggi fiscali per quelle imprese che si impegnano nella costruzione di un nuovo welfare territoriale partendo da misure aziendali di flessibilità e servizi di welfare. Come assume importanza strategica monitorare e valorizzare l’innovazione presente nei contratti e negli accordi che si sviluppano nell’ambito del welfare, per sostenere un processo basato sulla diffusione di buone pratiche e sull’apprendimento.
A cura di: Marcella Mallen
Articolo pubblicato sulla rivista Leadership & Management – Luglio/Agosto 2015
Marcella Mallen, nata a Genova, sposata e madre di due figli, laureata in giurisprudenza, vive a Roma dove ha lavorato come manager HR in aziende a cavallo tra profit e no profit impegnate nella creazione e sviluppo d’impresa e del territorio. È stata Presidente del Centro Formazione Management del Terziario, attualmente è Presidente di Prioritalia.
Collabora con università pubbliche e private, in master ad alta specializzazione manageriale, in qualità di docente e componente di comitati tecnico – scientifici, è membro della Commissione ADI INDEX per il Design Sociale. Ha scritto articoli e pubblicazioni su tematiche di interesse manageriale ed è coautrice di “Effetto D. la leadership è al femminile: storie speciali di donne normali”.