Performance management related pay system

Gestionali e declino della funzione HR

I gestionali HR non convincono ma, allo stesso tempo, sembrano insostituibili. Nati con l’obiettivo di integrare la gestione d’impresa con l’amministrazione del personale, hanno condizionato negativamente l’evoluzione della cultura organizzativa. Con il passare del tempo le professioni HR, che avrebbero potuto diventare la linfa organizzativa, stanno ripiegando verso compiti compilativi.

I manager HR si stanno specializzando nell’impostare e nutrire i gestionali mentre cedono progressivamente competenze specialistiche, quali la valutazione e la scelta dei candidati nel processo di selezione.

La funzione HR si sta così incamminando in un cammino schizoide: da una parte Job Title evocativi quali “Talent Manager”, “HR Business Partner”, “Talent Acquisition”, “HR Budget Controller” fanno immaginare un mondo di servizi avanzati, dall’altra la progressiva perdita di fiducia da parte dei manager e dei dipendenti[1].

È urgente domandarsi quale sia la parte giocata dai gestionali nel determinare questa triste involuzione.

Sarebbero molto utili, se li usassimo bene…

Sulla carta l’informatizzazione della funzione HR, che veicola i dati in un unico sistema uniformando le valutazioni dei dipendenti, sembra la premessa per la meritocrazia.

Nei fatti, i risultati percepibili sono: la sensibile involuzione della cultura manageriale, l’aumento lineare dei contenziosi con i dipendenti, la crisi della leadership[2].

Nonostante ciò continuiamo a credere nell’utilità dei gestionali, che “sarebbero molto utili, se li usassimo bene…”

Ogni giorno compaiono annunci di lavoro per HR ove viene richiesta la competenza di Change Management, intesa come capacità di ottenere l’adesione dei dipendenti a prassi che non convincono.

Stante che manager e specialisti HR sono in possesso di intelligenza almeno pari agli altri esseri umani, spesso sono laureati e masterizzati, dobbiamo pensare che le infelici prassi in voga non siano frutto di incapacità individuale ma derivino da uno o più errori di sistema.

L’ipotesi più plausibile è che siano da sottoporre a disamina le modalità con le quali il Management By Objectives viene declinato nei sistemi informatici ai quali ci stiamo affidando per processare la Gestione del Personale.

Un sintetico esame della evoluzione delle premesse teoriche è indispensabile per riformattare i sistemi.

MBO: un approccio controverso

L’idea che un’organizzazione possa essere gestita fissando obiettivi e controllando le relative metriche è nota come MBO, Management By Objectives.

Si tratta di una filosofia che ha incontrato un enorme successo, in quanto:

a) permette di fare previsioni finanziarie. In un’epoca nella quale la maggior parte delle grandi imprese paga dividendi trimestrali, il metodo risulta funzionale al controllo amministrativo, orientando il management ad assicurare la generazione di utili.

b) permette di verificare la salute di funzioni, processi, progetti. La frequenza con la quale gli indicatori vengono controllati permette di valutare le strategie e di correggere le tattiche.

c) è facile da comprendere e difficilmente attaccabile. Le ricerche hanno dimostrato che gli obiettivi migliorano la performance[3], cosicché i perplessi sono sempre una minoranza priva di argomentazioni convincenti.

d) sembra la modalità più ragionevole per assegnare la parte variabile dello stipendio. Nonostante sia noto che i premi NON motivano, si spera di oggettivare il sistema premiante definendo indicatori misurabili.

Nonostante l’evidenza di storture nel comportamento dei top manager, con esiti drammatici per la sopravvivenza di imprese ed istituti di credito, la volontà di premiare a fronte del raggiungimento di obiettivi non viene discussa, al punto che per propagazione si è ritenuto possibile applicare la medesima logica a tutto il personale.

Maneggevolezza, comprensibilità e applicabilità del Management By Objectives hanno contribuito alla diffusione del metodo a tutte le funzioni e in tutti i livelli[4], e i software sono stati modellati in tale senso.

Eppure, già in epoca precedente all’introduzione dei gestionali, si era visto che la logica MBO declinata in modo maldestro generava perdita di talenti, contenziosi e altre situazioni problematiche[5].

La ragione per la quale le cose sono andate diversamente dal previsto è nella sottovalutazione di alcune criticità rilevanti, ad esempio:

a) La capacità di individuare obiettivi Smart è merce rara.

La maggior parte dei manager fatica a fissare obiettivi che siano concreti e allo stesso tempo coerenti con la strategia. Quando andiamo a verificare le pratiche correnti, osserviamo che solo eccezionalmente ci troviamo di fronte a obiettivi SMART, Ambiziosi, Temporizzati, Raggiungibili, Significativi (per il cliente!) e Misurabili, ciò che mina alle fondamenta tutto il processo di valutazione (Performance Appraisal).

b) I manager non vengono formati sugli elementi basilari del processo.

Ad esempio si ignora che l’attribuzione di obiettivi SMART è sensata solo per i dipendenti che abbiano una delega gestionale, mentre per gli specialisti della compliance (qualità, hr, finance, legal, sicurezza) e soprattutto per gli operativi (tecnici, amministrativi) metriche e indicatori devono basarsi su logiche differenti e specifiche.

c) Metriche e obiettivi influenzano i comportamenti, anche in negativo.

Le persone che sanno di essere misurate tendono a fare tornare i conti perdendo di vista ciò che garantisce il futuro dell’impresa. In particolare la pressione per il raggiungimento degli obiettivi genera comportamenti disfunzionali, con impatto negativo per la sicurezza, per l’immagine, per la salute. In Italia assistiamo al succedersi di grandi e piccoli disastri generati dall’orientamento agli obiettivi di breve termine, come emerge dai casi Parmalat, Calciopoli, Polcevera/autostrade.

d) Gli obiettivi limitano creatività e innovazione

Un venditore che raggiungerà i target di fatturato senza particolari sforzi può cadere nella tentazione, più o meno conscia, di ridurre il proprio impegno, anche per il timore di beccarsi un obiettivo troppo sfidante l’anno successivo. Per questo un recente articolo dell’Harward Business Review intitolato “The end of Bureaucracy”[6] propone di passare da “Incremental Goals” a “Leading Targets”. È l’inizio di un’evoluzione, ma quanto ci metterà il mondo del business a recepirla?

Common sense e fonti autorevoli

L’umanità ha prodotto più del 99,9% dei propri manufatti prima dell’invenzione della gestione del personale.

Poiché le ricerche mostrano una crisi di identità dei manager[7] è lecito chiedersi come la funzione HR stia supportando le organizzazioni.

Per il common sense manageriale le griglie di valutazione sono la premessa per un’impresa equa e meritocratica, ove premi e opportunità di carriera vengano assegnati con logica cristallina. Ci si appella quindi alla matematica, la scienza esatta, cercando di definire indicatori che vanno a comporsi in valutazioni mediate.

Non stiamo però andando nella direzione voluta, cosicché la letteratura specialistica mette in guardia in merito alle nuove pratiche HR.

Il più prestigioso manuale edito da Kogan Page sulla Gestione delle Risorse umane avverte che i sistemi “Performance related Pay are difficult to manage well”[8].

Il testo considerato più importante dalla Harward Business School per la gestione del personale sconsiglia a chiare lettere l’annuale somministrazione del pagellino ai dipendenti. [9]

Inefficacia dei sistemi HR “performance relatad pay”: le cause

“O ingegnosissimo Theuth, una cosa è la potenza creatrice di arti nuove, altra cosa è giudicare quale grado di danno e di utilità esse posseggono per coloro che le useranno”
Platone, Fedro, 273-e

A distanza di alcuni decenni dall’introduzione della filosofia MBO nella gestione del personale, possiamo affermare con ragionevole certezza che i sistemi che oggi vanno per la maggiore generano gravissime inefficienze.

La ragione principale consiste nel fatto che l’obiettivo di portare equità e meritocrazia nelle imprese è irrealistico quanto insensato.

È irrealistico in quanto, per uniformare le valutazione di due persone che hanno un diverso supervisore, dovremmo mettere in campo uno sforzo metodologico improponibile.

È insensato in quanto, anche se riuscissimo a uniformare le valutazioni, non potremmo poi garantire equi trattamenti, visto che è il mercato del lavoro a stabilire le scale salariali di ogni professione.

Per immaginare una possibile evoluzione dobbiamo evidenziare ciò che ha condizionato la declinazione della filosofia MBO nei sistemi HR, ovvero:

a) Le persone seguono la strada più facile, non quella più economica.

Il processo di performance appraisal, perno del sistema, si risolve in incontri a scadenze fisse ove il supervisore fissa obiettivi per poi verificarli a distanza di tempo. Il processo non è guidato dall’esigenza di confrontarsi ma dalle scadenze dettate dal sistema, ciò che si traduce in incontri artificiali, vissuti come burocratici sia dal capo che dal collaboratore[10].

La compilazione della modulistica HR richiede un piccolo sforzo, soprattutto se paragonato al percorso necessario per acquisire competenze ampie e profonde come il coaching.

I manager compilano griglie e template per ottemperare ad una scadenza imposta, eventualmente mirando all’uovo oggi (l’aumento di stipendio per un collaboratore), piuttosto che alla gallina domani (la crescita del collaboratore).

b) Effetto Hawthorne. È una legge della fisica secondo la quale la misurazione di un fenomeno influenza ciò che si sta misurando.

I sistemi di performance appraisal modificano in modo significativo il comportamento dei dipendenti, che si orientano ad ottenere valutazioni positive, condizione per premi, miglioramenti della paga e possibilità di carriera.

La credibilità di tutti gli attori coinvolti, professionisti HR in primis, ne esce minata.

c) i sistemi premianti standardizzati non motivano.

I testi più autorevoli sottolineano la necessità di personalizzare gli incentivi[11] sia per motivare che per fidelizzare. Allo scopo sono necessari investimenti per elevare il livello culturale degli specialisti HR e del management, condizione indispensabile per poter personalizzare le relazioni con i dipendenti. Facile, quindi, farsi sedurre dalle sirene che promettono di risolvere i problemi di gestione del personale installando un software… e i risultati non tardano ad arrivare!

La misurazione della crescita professionale: dal buio alla notte

I processi di performance appraisal più evoluti distinguono la misurazione del raggiungimento degli obiettivi (goal) dall’analisi della crescita professionale.

È previsto che il supervisore faccia una disamina delle capacità/competenze del collaboratore assegnandogli obiettivi di crescita che verranno verificati alle scadenze preordinate, solitamente ad un anno.

L’analisi esita in una raffigurazione del gap delle competenze, che focalizza Manager e collaboratore sulle aree di debolezza[12], quando è universalmente noto che i piani di sviluppo vanno incentrati sui punti di forza.

Il supervisore diligente vedrà deteriorarsi il rapporto fiduciario con i collaboratori, che rimarranno deboli nei compiti ove soffrono. I manager, che già percepiscono gli adempimenti HR come burocratici, si convincono che la compilazione dei template è una potenziale fonte di guai, per cui si sceglie il copia incolla di frasi tanto innocue quanto generiche.

Senza contare che il processo di sviluppo non rispecchia le tempistiche tipiche imposte dal sistema. Mentre il collaboratore “low talent” non cresce nemmeno nei lustri, quello con il potenziale cresce in tempi brevissimi ma dovrà aspettare mesi o anni per vedere riconosciuto il livello professionale raggiunto.

Tutto questo accade in un contesto ove i supervisori, assorbiti dalla burocrazia e da compiti a scarso valore aggiunto[13], riportano una significativa riduzione del tempo dedicato ai collaboratori, fenomeno ancora più rilevante nelle organizzazioni ove siano previsti team di progetto e team cross-funzionali.

Ne esce un processo che finisce per uniformare valutazioni e retribuzioni: le persone che percepiscono di fare la differenza si incamminano in un percorso di frustrazione (vedi il caso riportato nell’appendice).

Sintesi: siamo ad un punto di svolta?

L’estensione della filosofia MBO alla gestione del personale, combinata con l’informatizzazione del processo di Performance Appraisal, ha impattato fortemente sulla cultura e sui comportamenti all’interno delle organizzazioni.

Guardando al lato positivo, i gestionali hanno risposto egregiamente all’aspettativa di centralizzare l’amministrazione del personale, cosicché i costi sono apparentemente sotto controllo.

Specialisti e manager HR sono sempre più impegnati a manutenere e nutrire sistemi che orientano le persone al rispetto delle scadenze. Il processo di performance appraisal, snodo delle operazioni HR, si connota ormai come burocratico.

Il prezzo da pagare per mantenere in vita le prassi attuali è rilevante, in quanto comporta la dispersione dell’ownership e la riduzione dell’efficienza.

Le ricerche mostrano un’involuzione dei comportamenti dei manager nella gestione dei collaboratori. Il fenomeno è in parte attribuibile alle modalità con le quali si sono informatizzati i processi HR.

L’insoddisfazione per le attuali pratiche di gestione del personale è talmente diffusa, anche tra gli stessi specialisti HR, da rendere percepibile l’esigenza di cambiamento.

Conclusioni: come riaccendere la luce nella gestione del personale

La declinazione in ambito HR della filosofia MBO si è tradotta nell’installazione di gestionali che supportano il management a prezzo di enormi inefficienze.

Durante incontri ritualizzati si fissano obiettivi oppure si verifica il raggiungimento dei medesimi. Si tratta di momenti che raramente portano valore[14], più spesso frustrazione o incomprensioni.

Per correggere la rotta le possibilità sono due:

a) mantenere i sistemi attuali rinforzando la cultura manageriale.

Per correggere e riparare, è necessario mappare le cause delle inefficienze. Professionisti HR e manager devono conoscere i punti deboli del sistema e le scelte che generano guai e inefficienze.

L’obiettivo è una ricostruzione della cultura di Gestione del Personale che si tradurrà in linguaggio appropriato, ruoli centrati e utilizzo consapevole degli strumenti [15].

b) cambiare i sistemi HR.

Le organizzazioni che intendono attivare alternative percorribili dovranno abbandonare l’illusione di generare meritocrazia ed equità e orientarsi al pragmatismo economico, che mette al centro la sostenibilità e la prevenzione dei danni. Anche la tirannia del budgeting sulla Gestione del Personale va messa in discussione in quanto, in nome del controllo, si generano scelte antieconomiche e costi aggiuntivi, ad esempio causati dall’aumento dei contenziosi.

La necessità di controllare costi e profittabilità può seguire modelli alternativi basati sulla ownership e sull’orientamento a obiettivi strategici. Anche il ruolo degli specialisti HR va ridiscusso insieme a tutta la logica della Gestione del Personale.

Appendice: il caso di Catwoman e del Dottor Batman[16]

Nel marzo dell’anno 3000 il dottor Batman, sales manager, assume Catwoman, una venditrice per visitare i clienti in una zona ove il fatturato è in calo, ovvero le città di Gotham City e Atlantic City.

Nel mese di settembre, grazie al lavoro di Catwoman, le vendite riprendono a salire e il trend si conferma mese dopo mese.

Batman, confortato dal risultato decide di assumere un nuovo venditore cui affidare una parte della zona di Catwoman. A partire dal gennaio dell’anno 3001 la brillante venditrice si può concentrare su Gotham City lasciando Atlantic City al nuovo collega.

Vengono assegnati i target di vendita per il 3001 ad entrambi i venditori; a marzo la signora Catwoman va in congedo di maternità.

Nonostante il Pinguino non sembri talentuoso quanto Catwoman, in entrambe le città viene raggiunto il target di vendita ed entrambi i venditori prendono il premio.

È il momento di rivedere gli stipendi.

Il Manager HR, il Dr. Joker Cruscotto, informa Batman che i parametri della performance di Pinguino sono leggermente migliori per cui propone di dare un aumento a questo venditore. Come vedremo dall’evoluzione delle vendite, si tratta di un errore, in quanto è Catwoman la persona da trattenere.

Affinché l’aumento vada alla persona giusta, ovvero Catwoman, devono esserci le seguenti condizioni:

a) Batman ha affiancato i venditori comprendendo chiaramente che Catwoman ha più talento.
b) Batman ha il coraggio di chiedere l’aumento per Catwoman ed escludere il Pinguino dall’aumento.
c) Jocker Cruscotto capisce il ragionamento di Batman e lo difende di fronte al Doctor Octopus, Direttore HR.

Cosa avviene? Batman si accorda con Jocker Cruscotto per assegnare l’aumento al sig. Pinguino, sostenendo che Catwoman, se venditrice veramente valida potrà dimostrare nei prossimi anni il proprio valore ed avere l’aumento. La logica di Batman è “Portiamo a casa un aumento per Pinguino fintanto che c’è la possibilità…”.

Quando Catwoman rientra dalla gravidanza scopre che Pinguino, che non gode della sua stima, ha ricevuto un aumento. Dopo pochi giorni riceve un’offerta dalla concorrenza cosicché Batman è costretto a chiedere alla direzione HR un aumento di stipendio straordinario per trattenerla, senza peraltro riuscirci.

La cosa più grave è però che il Pinguino si rivela un venditore scadente e, causa l’aumento di stipendio, rimane agganciato al ruolo per molto tempo, danneggiando Batman, l’impresa e se stesso, visto che perde altri due anni in un ruolo per lui sbagliato (alla fine, licenziato, fonderà un’organizzazione per distruggere il mondo).

Dal caso Batman impariamo che le valutazioni che derivano da un cruscotto possano orientare il management verso scelte sbagliate e, soprattutto, disperdere l’ownership del processo[17].

Un cruscotto di performance deve supportare l’analisi piuttosto che orientare le scelte, altrimenti la leadership si trasferisce dal management agli strumenti gestionali[18].

 

Note:

[1] Patty MC Cord, Come Netflix ha reinventato la gestione delle risorse umane, HSBR, gen-feb 2014, ed italiana.

[2] Emanuele Di Pasqua, Se il capo non viene rispettato, Corriere Della Sera 8 ottobre 2007 (sulla ricerca Harris Interactive condotta in USA su un campione di circa 3000 dipendenti).

[3] Locke, E. A., Shaw, K. N., Saari, L. M., & Latham, G. P. (1981), Goal setting and task performance: 1969–1980. Psychological Bulletin, 90(1), 125-152.

[4] R. Kreitner, A Kinicki, Comportamento organizzativo, Apogeo, 2008, pag 169.

[5] CFR Buckingham e Cofmann, Primo: rompere le Regole, Baldini & Castoldi. L’edizione italiana è introvabile da anni…!

[6] Numero di nov.-dic. 2018.

[7] Ricerca OD&M/Job 24, Il sole 24 ore, 2006.

[8] M. Armstrong, Human Resource Management Practice, Kogan Page, 2006.

[9] Buckingham & Coffman, Primo: rompere le regole, Baldini e Castoldi, 2001.

[10] John Beeson, Why you didn’t get that promotion, Harward Business Review, June 2009.

[11] M. Armstrong, Human Resource Management Practice, Kogan Page, 2006.

[12] CFR Buckingham e Cofmann, Primo: rompere le Regole, Baldini & Castoldi, Introduzione.

[13] Ricerca Summit sull’efficienza dei manager. Fonte: Panorama, dicembre 2004

[14] Angela Herrin, Take the lead of your next review, Harward Management School Newsletter, April 2008.

[15] L. Rigolio, Dall’Homo Faber allo User Aziendalis; come imparare velocemente a governare i vantaggi dell’innovazione. Leadershipmanagementmagazine.com, novembre 2018.

[16] Qui di seguito un caso esemplificativo delle situazioni descritte nell’articolo.

[17] In proposito Gary Hamel, Michele Zanini, The end of bureaucracy, HBSR, nov. 2018, pag. 51.

[18] Abbiamo proposto in vari contesti il termine “Toolcracy” per definire la nuova era ove il potere degli strumenti gestionali sembra aver sostituito la leadership umana.

 

Articolo a cura di Luigi Rigolio

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