Produttività nelle PMI: un tema sempre attuale
Tra i numerosi fattori che concorrono alla crescita di un economia ce ne sono alcuni che sono quelli tipici di un sistema articolato come un’azienda, dei quali quelli universalmente considerati di maggiore rilevanza sono: innovazione, internazionalizzazione e produttività.
Negli anni più recenti c’è stata e c’è ancora grande attenzione a temi legati all’internazionalizzazione, anche come naturale conseguenza della contrazione del mercato nazionale. Ancora di più si parla di innovazione, nelle aziende e non solo, è difatti tra gli obiettivi centrali anche dei programmi della UE di Horizon 2020, come testimoniano concretamente le risorse finanziare destinate ai progetti che la perseguono.
Il fattore della produttività, nei convegni, negli eventi a tema, non è altrettanto dibattuto e sembra, a torto, sia considerato meno importante rispetto al passato, o poco di moda. Perché se ne parla così poco, considerato la sua importanza, anche nei luoghi di lavoro? Una semplice verifica su internet fa emergere dei dati interessanti.
Digitando i tre termini per una ricerca su internet con il motore di ricerca Google emergono questi dati: Innovazione (19.000.000 risultati); Internazionalizzazione (2.320.000); Produttività (5.810.000) .
Il termine internazionalizzazione è di gran lunga il più presente a testimonianza di quanto l’argomento sia non solo discusso, ma anche proposto come soluzione strategica alle difficoltà delle aziende.
Rifacendo la stessa ricerca per i corrispondenti termini in lingua inglese emergono questi altri dati: Innovation (374.000.000 risultati); Internationalization (7.000.000); (Productivity (181.000.000).
Pur con tutte le cautele del caso nell’interpretare e trarre delle conclusioni da dati così grezzi emerge comunque una chiara differenza di ripartizione percentuale dei risultati, con la differenza più evidente in merito alla popolarità della produttività, che in inglese è rappresentativo del 32% dei risultati, ben al disopra del 21% della ricerca in italiano.
Facendo riferimento a dati statisticamente significativi, come quelli pubblicati da EUROSTAT emerge invece, dal confronto con altri paesi esteri, rispetto a molti dei quali le aziende italiane sono meno produttive, che l’attenzione al tema della produttività dovrebbe essere per le aziende italiane molto più centrale per accrescerne la competitività.
Più nello specifico dai dati EUROSTAT si rileva che la produttività del lavoro per occupato è aumentata, in termini reali, tra il 2004 e il 2014 in quasi tutti gli Stati membri dell’UE, ad eccezione di Grecia, Italia e Lussemburgo (2004-2012) dove è invece diminuita come dettagliato nella tabella dati successiva. Una prima considerazione sulla debolezza della gestione di un azienda italiana che non mette a centro delle sue priorità il miglioramento della produttività è ovvia: nell’economia globale, dove ci si confronta anche con paesi con costi del lavoro decisamente più bassi, non si può ambire ad essere competitivi se i costi orari, il costo del lavoro, che molto spesso sono più alti rispetto alla concorrenza internazionale non vengono compensati dalla maggiore produttività. La relazione è che in generale più una risorsa è onerosa e più essa deve in proporzione essere produttiva, generare valore ed output più performanti per poter competere.
La sostenibilità di un azienda poco produttiva può essere di breve periodo, può essere compatibile con economie ancora nelle prime fasi di sviluppo, poi è necessario migliorare costantemente, rapidamente e tradurre la curva di apprendimento in concreti vantaggi di produttività.
Le strategie e gli obiettivi delle aziende possono essere molteplici certamente, ma ci sono delle leve come la produttività, da perseguire comunque, con modalità diverse, in tutte le fasi del ciclo di vita di un prodotto o di un servizio e che sono da considerare come i fondamentali per un giovane atleta che si avvicina ad uno sport: devono essere la base su sui costruire.
Il concetto del miglioramento è la vera missione di un’azienda e difficilmente nel management si troverebbero pareri discordanti in proposito. Ci sono naturalmente diverse motivazioni che sono causa della inadeguata traduzione dei miglioramenti in risultati concreti di produttività. Uno di questi è la diffusa percezione nelle PMI che i vantaggi della produttività siano comunque non particolarmente rilevanti, che non siano portatori di particolari vantaggi di costi e quindi di competitività: una sottovalutazione che a volte discende dal valore assoluto dei numeri che per piccole imprese sono piccoli, ma non per questo percentualmente sono meno importanti dei grandi numeri per le grandi imprese.
Un fatto culturale, come lo è la percezione che migliorare la produttività sia una capacità intrinseca, ovvia e scontata di un azienda. Non è difficile assistere a giudizi esterni che per dafault attribuiscono alle aziende competenze assolute, non integrabili e non migliorabili dall’esterno, in particolare sul loro lavoro, sulle loro attività caratteristiche, sulle loro “core competences”.
Allo stesso tempo dall’interno delle aziende si può essere orientati a considerare il fattore della produttività come facente parte di un territorio non accessibile all’esterno, argomento considerato quasi sacro e trattato con suscettibilità, sul quale si ritiene che difficilmente si possa incidere e migliorare con competenze esterne. Anche se si afferma genericamente che tutto è migliorabile. Si perdono così delle opportunità, prima fra tutte quelle di soluzioni portatrici di positive contaminazioni con altri settori ed altri contesti aziendali. In proposito è opportuno sottolineare che la produttività non è una leva di miglioramento che si può utilizzare solo nei processi core, nella produzione del prodotto/servizio aziendale, che sono quelli più facilmente focalizzabili, ma che anzi molte opportunità sono proprio nei processi e nei servizi di supporto, nelle attività considerate, sempre più erroneamente nell’ottica dei prodotti/servizi e della valorizzazione dell’intangibile, poco influenti sulle performances dell’azienda.
C’è anche un aspetto di approccio, la grande maggioranza degli strumenti e delle metodologie nate nell’ambito del management provengono da contesti strutturati, da grandi imprese per le quali sono stati ideati, testati e sono diventati strumenti di gestione routinari. Il problema è che spesso vengono tal quali esportati verso le PMI che hanno altre peculiarità, altre priorità e possibilità di gestione alle quali gli strumenti, che non vengono adeguati, non sono applicabili.
L’approccio noto per perseguire questi obiettivi di produttività, nel tempo, è il miglioramento continuo. Esso ha trovato la sua sintesi nel mondo del management nel termine KAIZEN, cioè cambiamento (KAI) e meglio (ZEN).
Il termine fu coniato nel 1986 da Masaaki Imai, il quale in un intervento pubblico recente ha dichiarato che:
“Al mondo ci sono troppi che insegnano come cambiare, ma troppo pochi che sanno come fare. Esistono numerosi maestri che posseggono la conoscenza, ma che se poi vengono mandati nel reparto di un’azienda non sanno come risolvere i problemi: solo chi ha fatto sa come si fa”.
E questo è l’ultimo aspetto che segnalo, tra i tanti, che ostacolano il reale miglioramento continuo e della produttività.
A cura di Francesco Liguori, CMC Certified Management Consulting
Articolo pubblicato sulla rivista Leadership & Management – Marzo/Aprile 2016