Progetti e performance

Che cosa rappresentano i progetti per un’organizzazione?
I progetti, o più propriamente l’impianto di Project Management, rappresentano la leva strategica attraverso cui si ha la possibilità di dare consistenza agli obiettivi e ciò consente di raggiungere i risultati che l’organizzazione deve perseguire.

Una domanda che sorge spontanea è: ma è vero che i progetti danno la possibilità di raggiungere questi risultati? Riescono a darne la garanzia?

Per rispondere mi voglio affidare a una ricerca che periodicamente viene fatta dallo Standish Group con il suo Chaos Report. In questo report vengono presi in considerazione decine – se non centinaia – di migliaia di progetti e ne vengono valutate le performance. Premettiamo che il contesto di riferimento è prevalentemente quello americano e il settore oggetto d’indagine è quello dell’Information Technology. Possono questi dati essere rappresentativi di un contesto più ampio? In considerazione del fatto che il mondo del Project Management è stato prevalentemente sviluppato in America e che i progetti legati all’Information Technology rappresentano un’importante percentuale dei progetti annualmente sviluppati, si può dire di sì. Anche se il mondo dell’IT utilizza tecniche e metodologie di sviluppo progetti che difficilmente potrebbero essere applicabili a contesti differenti, restano comunque informazioni valide che possono fornire utili indicazioni.

L’analisi condotta in 24 anni ha dato i risultati riportati nel grafico seguente:

I progetti che si sono conclusi rispettando correttamente tutti gli obiettivi (linea verde) hanno raggiunto la percentuale del 30%, partendo da una percentuale del 16%. I progetti che si sono conclusi senza rispettare completamente tutti gli obiettivi (linea blu) sono stati il 51% con un lieve miglioramento (53%). Infine, i progetti che non hanno rispettato nessun obiettivo (linea rossa) o che sono stati terminati prima della loro naturale conclusione sono stati il 19%, migliorando di 12 punti, dall’iniziale 31%.

Quali riflessioni possono essere fatte? Partiamo dai progetti che hanno soddisfatto parzialmente gli obiettivi. Il dato più preoccupante non è tanto l’alta percentuale quanto il danno che arrecano alle organizzazioni in termini di sforamento dei costi e allungamento dei tempi di realizzazione. Si parla di una percentuale media, per quanto riguarda gli extra-costi, del 190% mentre, per quanto riguarda i tempi, la percentuale media di sforamento è del 220%. Sono dati allarmanti, ma non sono gli unici. I progetti che raggiungono tutti gli obiettivi sono meno di uno su tre e quelli che invece falliscono su tutti i fronti sono uno su cinque. Sono risultati che neppure definire disastrosi riesce a rendere completamente ciò che le organizzazioni subiscono in termini di business.

Il perché di questo disastro può essere identificato solo nella mancanza di cultura di Project Management, aggravata dal fatto che gli strumenti per la gestione dei progetti non sono in costante e continua trasformazione. Se prendiamo in considerazione il mondo tradizionale di gestione, quello descritto dalla ISO 21500 “Guidance on project management” e dal PMBOK (Project Management Body Of Knowledge) del PMI (Project Management Institute), gli strumenti classici di pianificazione, come ad esempio il ‘cammino critico’ per la definizione della durata di un progetto, risalgono al 1957-58 e l’Earned Value, classico strumento di monitoraggio e controllo, anche molto utile per fare previsioni sull’esito finale del progetto, che può essere trovato in qualunque strumento di Information Technology di Project Management, è stato sviluppato nel 1913.

Per spiegare questa situazione può venirci in aiuto un’altra indagine fatta, questa volta, dal PMI. Nonostante non sia molto recente, essa riesce a fotografare con sufficiente precisione la realtà. La ricerca ha voluto analizzare la maturità delle organizzazioni, operanti in differenti settori di mercato, dal punto di vista delle aree di conoscenza in cui il PMBOK è stato strutturato (gestione di: tempi, costi, requisiti, rischi, comunicazione…). I risultati hanno posizionato agli ultimi posti la gestione della qualità e dei rischi. Se l’obiettivo della qualità, all’interno di un progetto, è soddisfare gli stakeholder attraverso un valido impianto dei processi di gestione dei progetti e se la gestione dei rischi consente di adottare tutte le misure necessarie per proteggere i progetti dall’insorgenza di eventuali rischi, possiamo renderci conto di come la gestione dei progetti sia già minata alle fondamenta. Senza un valido disegno dei processi e l’adozione di misure volte al contenimento di eventuali difformità tra quanto pianificato e quanto effettivamente realizzato i progetti sono già destinati al fallimento.

Negli ultimi anni altre due ricerche fatte dal PMI e dall’IPMA (International Project Management Association) hanno presentato dati allarmanti. La ricerca dell’IPMA evidenzia, nel quinquennio 2017-2022, un incremento delle attività progettuali pari al 41,2%, mentre quella del PMI prevede, nel decennio 2017-2027, una richiesta costante di 2,2 milioni nuovi project manager ogni anno. Credo che questi dati, oltre ad essere confortanti per quanto riguarda i project manager e la loro professione, siano altamente allarmanti alla luce delle performance che registriamo. Sempre più si avrà bisogno del supporto di strumenti e di strategie per la gestione dei progetti; ma le organizzazioni dovranno strutturarsi per migliorare le loro performance.

Siamo, purtroppo, già in ritardo. La richiesta di risorse e di conoscenze sta già registrando preoccupanti segnali di carenze infrastrutturali. Per poter migliorare strategie e strumenti abbiamo bisogno di partire dagli elementi base, costituiti dalla formazione, a tutti i livelli della scala gerarchica delle organizzazioni. Tutti saranno tenuti a fare formazione: dai vertici che dovranno diramare direttive e impostare la corretta cultura di Project Management a tutti i project manager e addetti alla gestione dei progetti al fine di appropriarsi delle giuste conoscenze tecniche per la pianificazione e la gestione quotidiana delle attività.

Ma questa formazione da chi dovrà essere erogata? Da varie società di consulenza e/o formazione o dagli istituti universitari? Non ha importanza chi possa erogare la formazione, l’importante è che le organizzazioni imparino a valutarne i contenuti in funzione delle proprie necessità. Troppe volte si è assistito all’erogazione di formazione in funzione del solo concetto di Project Management senza valutare l’effettivo beneficio che ne avrebbe potuto trarre l’organizzazione. Ricordiamoci anche che la formazione, in questo, come in altri contesti professionali, deve essere consistente: non sono sufficienti due o tre giornate di corso per fare di una persona un project manager. È un iter lungo e difficile, che impegna aziende e persone in un costante percorso di formazione nel tempo per raffinare conoscenze e competenze.

Se vogliamo avere successo, è necessario investire in cultura. Solo in questo modo saremo in grado di vincere le sfide del presente e prepararci per quelle future.

 

Articolo a cura di Antonio Bassi

Profilo Autore

Antonio Bassi, PMP®. Dopo aver dedicato 25 anni in aziende di natura bancaria, informatica, telecomunicazioni e della consulenza, approda in SUPSI (Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana), dove è docente di Project Management sia nella formazione di base che nella formazione continua. Responsabile del Master SUPSI in Project, Program e Portfolio Management. Presidente dell’Associazione di Project Management-Ticino (APM-Ticino).

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