Tutti noi conosciamo il Cardinale Richelieu, artefice della politica di Luigi XIII in Francia e in Europa nella prima metà del XVII secolo, passato alla storia per le sue grandi doti politiche e di negoziatore. Pochi, però, sanno chi fosse Fraçois Leclerc du Tremblay che, dopo aver preso i voti per entrare nell’Ordine dei Frati Minori dei Cappuccini, prese il nome di Padre Giuseppe da Parigi.
Padre Giuseppe era uomo di grande cultura e di straordinaria capacità di “lettura” della realtà, che affiancò e consigliò il Cardinale Richelieu fino alla sua morte. Fu una figura determinante, oggi diremmo un executive coach, che seppe valorizzare le caratteristiche già straordinarie del Cardinale. Esattamente come allora, oggi i più grandi executive si affidano ai coach per crescere professionalmente e aumentare la loro capacità critica d’interpretazione del contesto nel quale operano. Per chi non abbia mai avuto modo di avvalersi di un executive coach, potremmo dire che si tratta di un professionista che sa come condurre metodologicamente un processo di pensiero a due, con l’intento di trarre dall’interlocutore il meglio dei suoi ragionamenti. Una sorta di maieutica post litteram. Avvalendoci dell’immancabile inglese, potremmo definirlo un Thought Partner, un partner di/del pensiero.
Cosa fa un executive coach? Vi sfida – o meglio, sfida il vostro modo di pensare – per cambiare i vostri paradigmi e i vostri presupposti. Ha le competenze e la formazione adeguate per interferire positivamente sui vostri modelli di pensiero e stimolare la vostra creatività. Il risultato di questo processo, ossia le idee che ne scaturiscono, è sempre completamente prodotto dal coachee e mai dal coach. Chi svolge questa professione si propone a imprenditori e manager come sponda per concepire e sviluppare attività quali:
Questo spiega perché la scelta del coach sia diventata più complessa. La domanda è: le aziende ottengono valore dall’intervento degli executive coach? Vi posso rispondere che la maggior parte delle aziende che hanno utilizzato il coaching, lo riutilizzano sistematicamente.
Ma quando funziona l’executive coaching? E da cosa si capisce? Per prima cosa è necessario che il C-level, o l’executive, sia fortemente motivato alla crescita e al cambiamento. Forzare le cose è inutile, anzi, è dannoso. Secondo punto, la chimica personale è fondamentale. Quindi, prima di scegliere un coach in via definiva, è bene verificare l’intesa con l’executive. Ma torniamo al primo quesito. L’executive coaching dimostra la sua utilità e, quindi, funziona se (e solo se) l’executive modifica oggettivamente il proprio approccio mentale al lavoro, con comportamenti che siano inequivocabilmente e oggettivamente reputati costruttivi e produttivi. Ma chi valuta i comportamenti e ne riscontra l’oggettivo miglioramento? Gli stakeholder dell’executive: i suoi superiori, i suoi colleghi e i suoi collaboratori. Sono i comportamenti che definiscono il livello della leadership di un C-Officer o di un executive. Le aree di sviluppo di competenze quali la capacità di delega, la comunicazione, la motivazione, il problem solving, ecc. si risolvono sempre in una maggiore efficacia relazionale.
Non si tratta di “modificazioni di maniera” o di stile, ma di autentici salti di qualità nell’interazione con gli altri. Ciò di cui un executive ha bisogno non è una semplice opinione, ma di qualcuno che lo stimoli a divergere dai percorsi di pensiero che segue da sempre. Sì, perché trovare soluzioni innovative significa inventarle. La difficoltà consiste nel coordinare creatività e metodo, innovazione e praticabilità delle idee, visione e sequenza delle azioni utili alla sua implementazione. Quindi, per ottenere il massimo da un executive coach sono fondamentali la libertà e il senso di sicurezza. Non si tratta di un brainstroming, ma più di qualcosa che assomiglia a una jam session tra due musicisti.
Spero che quest’articolo possa esservi di qualche aiuto nello scegliere il vostro coach, che sarà anche la vostra eminenza grigia. A proposito, sapete perché si dice eminenza grigia? Perché il Cardinale Richelieu – per il colore della veste – era definito eminenza rossa, mentre il suo coach Padre Giuseppe da Parigi – per il colore del suo saio – eminenza grigia.
Articolo a cura di Giuseppe Andò
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