Quando la leadership “delira”. Spunti per evitare che accada
Noi guardiamo alla leadership considerandola positiva, una posizione desiderabile, un obiettivo – guidare o influenzare gli altri incoraggiandoli a seguire una direzione – da perseguire con tenacia. Una meta da raggiungere. La leadership però ha un ordito assai intricato e i fili che la compongono, scrive Barbara Kellerman della Harvard University, “sono difficilmente separabili l’uno dall’altro”. A guardare bene dentro questa sorta di stato di grazia, l’essere leader, degno di suscitare la nostra invidia verso chi consideriamo tali, la leadership ci appare dipinta in chiaroscuro, perché “talvolta esercitiamo il potere, l’autorità e l’influenza con modalità che si rivelano dannose”. Ecco allora che la leadership diventa “cattiva”. La strada del comando, in effetti, lo sappiamo bene per esperienza, è lastricata di tanti ciottoli fastidiosi che segnalano altrettante trappole. Se si conoscono, però, le trappole possono essere evitate. Per questo è bene allenare tutti i sensi, per avvistarle in tempo lungo il percorso o, quantomeno, quando ci capiterà di cadere in una di esse, per riuscire a liberarci e riprendere il cammino.
Desideri, volontà, responsabilità
Le trappole in cui possiamo cadere, nascoste e ammantate da un affascinante tessuto costellato di desideri e seduzioni, non sono nemmeno poche. I desideri come si sa li subiamo, non ne siamo in realtà responsabili, anche se poi spetta solo a noi decidere come comportarci, se seguirli oppure tacitarli. Quando in ragione della nostra condizione umana, che è costruita sulla forza dei suoi limiti e preda di pulsioni, non riusciamo a creare un giusto distacco tra le seduzioni e noi stessi rischiamo di andare fuori strada e perdere la rotta. Può capitare. Può capitare che non si riesca a liberare l’intenzione di evitare la trappola facendola diventare “volontà”. Ma la volontà, che si fonda su pensiero e coscienza, va conquistata lungo un viaggio che dura tutta la vita. Quando non riusciamo a creare il giusto distacco tra desiderio e noi stessi ci succede di cadere in uno stato di disorientamento divenendo “deliranti”. Quando si de-lira si esce dal solco (lira), ci si allontana dalla giusta via e la semina sarà una “cattiva semina”. Capita al leader quando cade nella trappola del delirio di onnipotenza. Quando succede dimentica di essere una persona con un ruolo (che lo limita assegnandogli finalità e responsabilità) e di far parte di una comunità organizzata dove insieme con noi c’è l’altro, i colleghi, i collaboratori, gli stakeholder. Quando de-liriamo vuol dire che abbiamo perso la nostra libertà. È quando ci pare di avere tutto sotto controllo che in realtà non ne abbiamo più. È quanto capitato a un leader autorevole e riconosciuto che a un certo punto si accorge di aver perso la felicità. In un percorso di coaching si rende conto di aver perso anche la capacità di riconoscere le emozioni nella sua vita, scomparse nel nulla. Capisce che tutto è cominciato quando ha iniziato a “danzare con la competizione” che gli ha fatto perdere la testa. Voleva essere il primo in ogni cosa, progetto dopo progetto, azienda dopo azienda. Prigionieri di qualche desiderio o seduzione, infatti, non siamo più capaci di vedere altro, come cavalli con i paraocchi che ci fanno perdere la vista d’insieme e degli altri. Siamo caduti in una trappola, nella rete di un incantesimo. Quante volte ci capita? È l’esperienza umana di ciascuno di noi. Piero Ferrucci, psicoterapeuta e filosofo, scrive: “Emozioni, pensieri, eventi, ruoli, sensazioni, tutti hanno il potere di ipnotizzarci, di farci entrare in un mondo fittizio e fallace”. Non è un dramma, è la nostra natura umana. Ecco allora che ci vengono in aiuto consapevolezza e volontà. Per questo dobbiamo continuamente seguire un nostro personale programma di allenamento per scoprire come fare a evitare le numerose trappole che la ricerca di leadership e il suo esercizio ci procurano.
Lasciare la presa sugli altri
Un programma che ciascuno può costruire su misura scegliendo gli esercizi più appropriati tra quelli suggeriti. Tra questi, forse, merita un impegno particolare quello che ci aiuta a lasciare la presa sugli altri, sui nostri collaboratori. Una leadership è buona quando spende energia per far crescere chi ci accompagna nel lavoro, assecondando percorsi e progetti intesi a sviluppare autonomia. Cedere il passo e farsi di lato sono due movimenti necessari, anche se difficili. Un comportamento fruttuoso per far crescere chi ci sta vicino è quello che prende forma nello svuotare della nostra presenza il contesto di lavoro più che riempirlo in ogni modo, anche da lontano. Non è facile, bisogna però prestare attenzione a non cadere nella trappola che vuole farci credere che gli altri non ce la possano fare senza di noi. Dobbiamo piuttosto lasciare la presa e consentire di far fare agli altri l’esperienza dell’assenza (come la madre che si separa progressivamente dal figlio, direbbe lo psicanalista e scrittore Massimo Recalcati) che genera vita e autonomia. La leadership, quando è buona, non imprigiona la crescita degli altri imbavagliandone sogni e progettualità. Si ritrae sorniona e gode di quello che ha contribuito, con questo atto, a generare.
Oltre lo scambio economico
Tra le possibili esperienze di cadute che come leader possiamo fare c’è anche quella di essere attratti dalla particolare fascinazione che suscita in noi l’incentivazione. Talvolta concentrati nella marcia del nostro “io trionfante” pensiamo che si possa comprare tutto. Ma così non è, ci sono beni che non sono in vendita. Senza rendercene conto trasformiamo così la vita in un mercato dove è esposta tanta mercanzia in vista dai colori straordinari che si può comprare. Tutto diventa alla nostra portata, tutto si piega al nostro uso e ai nostri interessi. Anche gli altri e la loro volontà. Ci convinciamo con le lenti che indossiamo che ogni componente che agisce sul comportamento umano, come la motivazione per esempio, può essere ridotta e trattata all’interno di un semplice e poco esigente scambio economico. Ecco allora che l’incentivo (monetario) diventa necessario, non se ne può fare a meno, perché la motivazione viene appiattita solo sul piano del suo significato estrinseco e strumentale. Dimentichiamo così che una persona può essere motivata anche intrinsecamente. Succede quando una cosa, un progetto, un lavoro ci piace intrinsecamente, per quello che è. Punto. Come a dire che gli scambi sono ben più ricchi di quelli economici e possono avere diversa natura anche relazionale. Le parole d’altro canto si usurano nel tempo, possono essere stravolte e svuotate di significato, alla fine così ci troviamo con una realtà diversa. Èil caso della parola incentivazione che necessita di un programma di manutenzione straordinaria capace di restituirle il suo più autentico significato, liberandola da poteri impropri.
L’orizzonte di senso della leadership
C’è un suggerimento più potente degli altri utile a farci evitare di cadere nelle buche della leadership? Probabilmente quello di tenere sempre a mente, facendolo diventare un mantra, che la via da percorrere – forse non troppo comoda – è quella di diventare noi stessi stando insieme con gli altri. La leadership non ha un orizzonte di senso senza gli altri.
Suggerimenti bibliografici
- Piero Ferrucci, La nuova volontà, Astrolabio, Roma 2014
- Barbara Kellerman, Cattiva leadership. Quando il lato oscuro della natura umana prende il comando, Etas Libri, Milano 2005
- Massimo Recalcati, Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno, Feltrinelli, Milano 2015
- Michael J. Sandel, Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato, Feltrinelli, Milano 2013
Executive Coach e Consulente, docente di HRM & Organisation alla LUISS Guido Carli, Professor of Practice in People Management alla LUISS Business School, Presidente Fondazione Lavoroperlapersona (www.lavoroperlapersona.it)