Rinnovata attenzione al Capitale Umano nella recente normativa ISO

L’economia della conoscenza

L’economia della conoscenza, a partire da una trentina d’anni fa, ha avuto un ruolo crescente e sempre più determinante su tutti gli aspetti delle società sviluppate. A fare la differenza, anche economica, non sono più i muscoli, ma i cervelli. La conoscenza e la competenza sono diventate fattori critici. Sono diventati una sfida per i singoli, per le istituzioni preposte- scuola, università, formazione continua-, e per le Nazioni. Come conseguenza della sua importanza sullo sviluppo economico e sociale, il capitale umano (“l’insieme delle conoscenze, capacità, competenze e le altre qualità di una persona, che facilitano la creazione del benessere personale, sociale ed economico”) è, da molti anni, una problematica prioritaria per l’OCSE[1]. E’ la nuova ricchezza delle nazioni ed ha una caratteristica diversa dalle altre forme di capitale: più è abbondante, più cresce velocemente e in modo poco costoso. La sua importanza sta ulteriormente crescendo. Ha impatti economici, sociali, ambientali. Tocca tutto e tutti. Tutti gli impatti già ampiamente acquisiti si stanno velocemente accelerando con l’introduzione di sistemi di Intelligenza Artificiale, con le tecniche di potenziamento del corpo, con le biotecnologie, con la crescita esponenziale delle comunicazioni e l’utilizzo sempre maggiore di big data. La crescita del capitale umano costituisce uno degli aspetti più rilevanti del terzo millennio.

La centralità del capitale umano nell’attuale competizione tra nazioni

Il capitale umano di un Paese è l’insieme delle conoscenze e delle capacità produttive possedute dalla sua forza lavoro attraverso l’istruzione, la formazione e l’esperienza lavorativa. Ha varie componenti cognitive e non cognitive[2], che includono il sapere cosa, sapere perché, il sapere come, il sapere con chi. Investimenti in capitale umano producono innovazione, trasferimento di conoscenze, nuova formazione. Produttività, sviluppo e crescita dei Paesi saranno sempre più dipendenti dalla capacità di sviluppare il proprio capitale umano tenendolo costantemente allineato alle nuove esigenze e ai dirompenti sviluppi tecnologici.

La guerra per la competizione si sta allargando a tutte le dimensioni e a tutti i livelli e comporta, anche a livello di paese, scelte d’investimenti, di priorità, di consapevolezza e consenso.

La tecnologia sta trasformando le organizzazioni e rimodellando il mondo del lavoro a un ritmo senza precedenti. Il bisogno di nuove competenze cambia rapidamente. Il possesso delle competenze chiave richieste dal mercato diventa requisito necessario, ma, data la velocità dei cambiamenti, ciò che diventa fondamentale è la capacità/volontà di apprendere e soprattutto crescere in apprendimento. Secondo studi OCSE, se il tempo medio che ogni persona dedica all’istruzione aumentasse di un anno, il PIL per abitante aumenterebbe, sul medio periodo, tra il 4% e il 6%; in un altro studio relativo a 14 Paesi, ad un aumento dell’1% nei punteggi medi internazionali, corrispose un rialzo del 2,5% della produttività e del 1,5% del PIL pro capite.

Se il capitale umano diventa sempre più importante e determinante a tutti i livelli, occorre considerarlo, cioè inserirlo nelle priorità, misurarlo, favorirlo e incrementarlo. Non è esattamente quanto si sta facendo[3]. La Norma ISO citata nel seguito può aiutare le organizzazioni a tenerlo in maggior conto.

Come si colloca il Capitale Umano in una tassonomia del valore?

Può essere utile vedere come il capitale umano si inserisca in una delle molte possibili tassonomie delle componenti del valore[4] (fig.1).

Fig.1 – Una possibile tassonomia delle componenti del valore.

L’Italia

Come noto, l’Italia si situa agli ultimi posti delle Nazioni sviluppate su quasi tutti gli indicatori principali e su tutte le classi di età[5]; ma soprattutto l’Italia non sta investendo sul capitale umano, per cui sta crescendo il nostro divario rispetto agli altri. Ancora più preoccupante è la constatazione che non c’è conoscenza di questa situazione e consapevolezza delle implicazioni conseguenti. Non si sente il bisogno di recuperare urgentemente posizioni! Non ci si preoccupa che gli altri stiano correndo di più e che ciò sia determinante per il futuro del paese. Per citare un solo dato, la Corea del Sud forma e impiega più del doppio di laureati rispetto all’Italia (fig.2). Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha parlato di un “preoccupante e costante processo di desertificazione del capitale umano… destinato, se non corretto, a influire drammaticamente sul futuro e sulla capacità di innovazione e di virtuosa competitività delle nostre regioni (2015)”. La comunità scientifica condivide totalmente questo giudizio della situazione, ma non riesce a influenzare l’opinione pubblica e quindi a promuovere un vasto impegnativo piano nazionale di recupero, urgente perché si tratta di una sfida che implica tempi lunghi di adeguamento sia per le istituzioni sia per i comportamenti individuali.

Fig.2 – Quota della popolazione con educazione terziaria per varie nazioni e per due diverse classi di età. Fonte OCSE.

L’ISO, Organizzazione Internazionale per la Normazione, ha pubblicato recentemente uno Standard sul Capitale Umano, ISO 30414:2018 Human resource management -Guidelines for internal and external human capital reporting [6]Ne riportiamo una sintesi.

Che cos’è il capitale umano? Secondo la terminologia di queste Norme è “Il valore delle conoscenze, delle competenze e delle capacità collettive del personale di un’organizzazione”.

La misura del capitale umano facilita la capacità di un’organizzazione a gestire una delle sue più critiche risorse e rischi, le persone. Ricerche dimostrano che le organizzazioni che non gestiscono il loro capitale umano riducono la capacità di creare valore sostenibile e duraturo ottenuto tramite il loro personale.

Il documento, guidato dai principi dei diritti umani al lavoro[7] e accoppiato con la ISO 30408[8], stabilisce le linee guida sul reperimento, misura, analisi e reporting dei dati sul capitale umano.

La Norma elenca alcuni potenziali benefici ottenibili da un approccio standardizzato al reporting sul capitale umano, tra cui:

  • l’uso di dati condivisi e standardizzati che descrivono valori organizzativi in forme comparabili;
  • il miglioramento dei processi della Gestione delle risorse umane che supportano prassi favorenti positive relazioni con i dipendenti;
  • maggior conoscenza dei ritorni, finanziari e non, generati da investimenti nel capitale umano;
  • poter disporre di un reporting sui dati del capitale umano, accessibile e trasparente, migliora la conoscenza interna ed esterna del capitale umano di un’organizzazione e la sua valutazione e la sua attuale e futura performance.

La Norma, al punto 4 stabilisce gli aspetti del processo di reporting, illustra i principi guida, considera le metriche per usi interni ed esterni, per applicazioni micro, meso e macro, nonché gli strumenti e le procedure per la raccolta dei dati. Considera poi la struttura del reporting e la considerazione dei rischi. La tabella 1 presenta esempi di rischi nella gestione del capitale umano.

Il documento fornisce linee guida sulle aree fondamentali del Reporting sul Capitale umano:

  • etica e compliance;
  • costi;
  • diversità di genere, di età…;
  • leadership;
  • cultura organizzativa;
  • salute, sicurezza e benessere organizzativo;
  • produttività;
  • assunzioni, mobilità e turnover;
  • abilità e capacità;
  • pianificazione delle sostituzioni;
  • disponibilità della forza lavoro.

La tab. 2 (stralcio) mostra esempi di metriche per ogni area fondamentale, suddivise per organizzazioni di grandi e medio/piccole dimensioni.

La norma dedica poi una ventina di pagine, su 36 totali, per approfondire gli aspetti di ognuna delle aree considerate ed è completata da una ricca bibliografia.

L’Annex A contiene raccomandazioni per aziende di piccole/medie dimensioni;
l’Annex B riporta esempi quantitativi di report di capitale umano con una combinazione di metriche, espressi in dollari.

 

Note

[1] OECD 1998, Human capital Investment; OECD 2001, The Well-being of Nations. The role of Human and Social Capital; OECD 2007 B. Keeley, Le Capital Humain, Comment le savoir détermine notre vie.

[2] Una elencazione spesso citata delle componenti del Capitale Umano è quella utilizzata per la ricerca internazionale PIAAC-OECD. Altra classificazione, diversa, usata per rilevazioni annuali dei vari Paesi, è quella del World Economic Forum, Human Capital Report.

[3] F. Cornali, La Ricchezza Intangibile. Economia, Società e capitale umano nell’Italia contemporanea, Bonanno editore, 2016

[4] Da Summit, Intellectual Capital Value

[5] G. Mattana, Il capitale intellettuale italiano non sta tenendo il passo delle Nazioni di confronto– Qualità, n.ro 5 2018; per una diversa e più ampia panoramica sulla situazione italiana vedi F. Cornali, La Ricchezza Intangibile, citato sopra.

[6] Per la “misurazione” del capitale umano sono stati proposti numerosi metodi, ed approcci molto diversi tra loro. Nell’ambito dell’ISO TC 260 si è superato il necessario consenso del 65% per proporre questo metodo all’interno delle organizzazioni.

[7] ILO Declaration of Fundamental Principles and Rights at Work, http: //www .ilo .org/declaration/lang–en/index .htm

[8] ISO 30408, Human resource management – Guidelines on human governance.

 

Articolo a cura di Giovanni Mattana

Profilo Autore

Direttore Qualità del Gruppo Teletta, ampliò l’applicazione dei relativi metodi sia verso le tecniche che verso gli aspetti organizzativo- gestionali. Ne sono testimonianza il volume: G. Mattana, "Qualità, Affidabilità, Certificazione", 15 edizioni 1986-205, la pubblicazione di numerosi contributi tecnico-scientifici, la direzione del Corso C.N.R-GNSM su ‘Affidabilità e Fisica dei meccanismi di guasto dei Semiconduttori’, l’ammissione nella International Academy for Quality.

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