Ripartenza: quali sfide devono affrontare le nostre aziende dopo il lockdown

Dove eravamo rimasti

Siamo entrati nella cosiddetta Fase 2, dobbiamo tornare ad essere “liberi” in modo responsabile dato che per salvare non solo la società ma soprattutto l’economia bisogna dimostrare impegno, positività e costruttività. Le imprese, lentamente, stanno iniziando a riprendere la loro attività, adoperandosi per osservare le misure necessarie di riapertura e i protocolli governativi, successivi alle misure di isolamento e chiusura delle attività imposte dall’emergenza sanitaria del Covid-19.

Un momento difficile, che vede ogni attore economico alle prese con quanto necessario fare per anticipare, interpretare le esigenze e le preoccupazioni dei clienti in termini di salute e risvolti economici.

Chi è imprenditore – piccolo o grande che sia – si trova, oggi più che mai, a difendere la salute dei propri lavoratori, ovvero, deve difendere la propria azienda e, di conseguenza, l’economia.

Ci troviamo in una fase “cruciale”: il Paese deve dimostrare di essere in grado di garantire la tenuta economica e sociale; ognuno di noi deve assumersi le proprie responsabilità, adottando le misure di prevenzione necessarie e più adeguate al proprio settore di attività.

Fase 2 – in salita

La Fase 2 si presenta in salita: non risulta semplice ed economico adeguarsi alle misure di protezione e distanziamento sociale in conformità ai protocolli siglati dal governo.

Le aziende si trovano a far fronte a disposizioni varie che dettano regole: riorganizzazione degli spazi e degli orari, riconsiderazione degli strumenti contrattuali, sanificazione, modalità nuove di accesso al luogo di lavoro, monitoraggio delle condizioni di salute dei lavoratori per individuare chi sia “positivo” e quindi “contagioso”.

Nel mare magnum delle varie comunicazioni e disposizioni, in un’ottica di gestione del rischio e garanzia della continuità operativa, sarebbe auspicabile, ove possibile, osservare alcune regole di buonsenso e ponderata razionalità, quali:

  • garantire una stratta collaborazione tra tutti gli stakeholder, inclusi i sindacati, in modo tale da garantire partnership reattive ed efficienti tra aziende e lavoratori;
  • costituire gruppi aziendali responsabili della prevenzione, adeguatamente formati;
  • costituire rapporti organici con istituzioni sanitarie di prossimità (e adattare quelli con l’INAIL) per il monitoraggio periodico dello stato di salute del personale;
  • rimanere sempre in contatto con le autorità sanitarie locali per la gestione dei lavoratori “positivi”;
  • effettuare campagne di misure di igiene, sanificazione e programmi di protezione, dotando il personale di dispositivi individuali e facendo rispettare le misure di distanziamento;
  • implementare procedure di modalità di accesso ai luoghi di lavoro impiegando, ove possibile, anche le tecnologie “intelligenti” disponibili sul mercato.

Dubbi e incertezze

Settori come quello alberghiero, della ristorazione, delle costruzioni e della manifattura devono ripartire per recuperare quanto perduto in questi mesi, ma saranno in grado di rispettare le misure del protocollo? Avranno ricevuto adeguate informazioni? saranno in grado di far fronte alle regole varate dal governo i vari luoghi di lavoro in genere e, in particolare, i locali di ristorazione (taluni con spazi ristretti sia in sala sia in cucina, dove le norme igieniche sono quasi impossibili da rispettare)?

Chi controllerà tutto ciò? Chi salvaguarderà i lavoratori e i clienti?

Tutto rischia di implodere, dinanzi a situazioni che sembrano non avere soluzioni. Le aziende, in generale, ma soprattutto le PMI, sono destinate a diventare un animale a rischio d’estinzione, incapaci di accedere alla liquidità per la tortuosità delle pratiche documentali delle procedure di accesso al credito ed ai sussidi messi a disposizione del Governo.

Come risalire i “gironi dell’Inferno pandemico”

Pensiamo al titolare di una piccola impresa che decide di riaprire e si trova ad affrontare, per usare una metafora dantesca, i vari “gironi dell’Inferno pandemico” per riuscire ad accedere almeno all’antepurgatorio, dato che Purgatorio e tantomeno Paradiso costituiscono traguardi troppo ambiziosi e poco verosimili.

L’imprenditore, spinto dallo spirito di iniziativa, dalla tipica resilienza e creatività italica di fronte alle emergenze – che lo ha reso famoso nel mondo – non vuole arrendersi e cerca, in qualche modo, di risalire i “gironi”. Eccolo intraprendere il percorso “iniziatico”, in quanto si è trovato immaturo dinanzi al Covid-19 e ora deve superare le prove, i.e. le misure del protocollo, per essere riconosciuto idoneo e dimostrare la propria “dignità” alla società.

Inizia, così, la caccia a disinfettanti, guanti e mascherine (sperando di trovarle), senza dimenticare l’ardua ricerca dell’”algoritmo perfetto” per garantire il distanziamento tra i tavoli/scrivanie, postazioni di lavoro; ricerca dei produttori di pannelli in plexiglass e lotta con i tempi di attesa, senza aver il tempo di capire quali siano le linee guida del settore e le indicazioni operative.

Ma non basta: gli imprenditori devono altresì affrontare la prova più ardua: il confronto con una burocrazia esasperante che dovrebbe essere evitata in questo momento di crisi unico e che, invece, purtroppo risulta “amplificata”, intendendo per burocrazia, una volta per tutte, non solo la maggiore o minore efficienza del personale pubblico, ma soprattutto la farragine delle norme applicative.

Si tratta spesso di “enigmi da svelare”, riferiti a disposizioni che dovrebbero essere redatte in modo tale da garantirne un’univoca interpretazione per evitare disattese e soprattutto “contrordini” che contribuiscono a disorientare. Inoltre, la modalità di comunicazione risulta, nel lessico burocratico, ulteriormente contorta linee guida a livello locale e regionale, che devono raccordarsi con le disposizioni governative, le circolari dell’Istituto Superiore della Sanità e dell’Inail.

Si evidenzia, pertanto, la necessità di una lingua “comune e semplificata” delle disposizioni, considerando il fatto che investire in sicurezza, anche in termini economici, non è secondario, soprattutto ora, dato che ciò che fa maggiormente paura è la “non prevedibilità” dell’evoluzione dell’economia (spesso, per un “cavillo” burocratico viene negata una qualsiasi forma di sostegno ed all’imprenditore non resta che arrendersi e chiudere l’attività).

Stato e imprese: non perdiamoci di vista

Cosa non sta funzionando? Il Governo sembra incapace di ovviare alla situazione in cui versano le aziende e, ad oggi, gli “antidoti” adottati si rivelano poco incisivi a combattere il “virus sanitario ed economico”. Si auspica che future misure possano risolvere il problema della tempestività con cui le risorse devono arrivare al sistema produttivo, in modo tale da evitare le drammatiche “ondate” di crisi aziendali e perdite di posti di lavoro.

Gli imprenditori sono sempre più preoccupati e aumentano, col passar del tempo, la scarsa fiducia nelle istituzioni e la triste presa di consapevolezza che possono solo contare sulle proprie capacità.

Il governo non dovrebbe dimenticare che dalla difesa e tutela delle PMI dipende il futuro della nostra economia e del benessere della gran parte delle famiglie italiane. È necessario, oggi più che mai, avere un piano di interventi di medio-lungo periodo. in modo tale da contrastare il declino economico, ristrutturare le aziende e renderle più resilienti alle “tempeste” contingenti e future. È altresì auspicabile proseguire nel processo di digitalizzazione e garantire la flessibilità e l’adattabilità delle organizzazioni, assicurandosi che il Governo attui una politica economica efficace per i mesi a venire.

A che punto siamo con il “rilancio”?

È necessario un vero e proprio “rilancio” a livello Paese, in modo tale da permettere alle nostre aziende – filiere comprese – di sopravvivere e ritornare a crescere per affrontare il mercato nazionale e internazionale.

Il Governo deve essere in grado di comunicare con chiarezza, in modo tale che si instauri una reciproca fiducia tra chi governa e chi fa impresa.

Il decreto di 55 miliardi di euro, da poco varato, è composto da 464 pagine e 260 articoli ed è stato definito come il “Decreto Rilancio”. In realtà, più che a rilancio, siamo di fronte all’ennesima manovra assistenzialista, incapace di porre soluzioni alla situazione contingente. L’ennesimo “antibiotico” che non guarirà il “Paese malato”. Un tentativo di accontentare tutti ma, in realtà, niente di risolutivo per il futuro. Si ritiene che saranno necessarie settimane prima che studi legali e studi di commercialisti capiscano come districarsi e capire, passando per procedure farraginose e lungaggini, ad esempio, come funzionino realmente i fondi istituiti per settori e classi sociali, le decine di soglie di accesso a detrazioni e agevolazioni, fino ad arrivare all’oggetto misterioso del contributo a fondo perduto.

Non vi sono all’interno del “Decreto Maggio” – che, pur se considerato da alcuni come il “salvagente”, utile per superare la “tempesta”, dal momento che tanti rischiano di affogare, per molti è il minore dei mali – quelle declamate norme di semplificazione, di sburocratizzazione e di sblocco dei cantieri, necessarie in un momento così eccezionale e critico. Non è stata contemplata, per cominciare, una legge delega al Governo per la riforma generale del fisco in modo da alleviare la situazione delle imprese e garantire maggiore operatività al sistema previdenziale e bancario. Siamo davanti a troppe riforme strutturali mancate, rinviate a un periodo di maggiore “stabilità”, che hanno evidenziato la mancanza di coraggio di un Governo che si limita a reiterare i soliti slogan: “aiuteremo tutti, non lasceremo indietro nessuno, capiamo la rabbia, ma gli italiani sapranno mostrare, ancora una volta, le loro virtù civili e lo spirito di coesione nazionale”.

Il pericolo è che la rabbia degli attori coinvolti potrebbe prima o poi degenerare e manifestarsi con forza sino a sfociare in disordini sociali.

AAA “pozione magica” cercasi

La buzzword del momento è una visione e un approccio diverso della politica, che sappia governare con lungimiranza e con buon senso e si avvalga di professionisti competenti e concreti.

Sono necessari massicci investimenti produttivi, anche di natura pubblica, favorendo le partnership pubblico-privato che sono al momento ostacolate dal blocco di procedure ostative e dai mancati sgravi fiscali, in modo tale da facilitare un nuovo sviluppo e una necessaria ripresa.

Non dimentichiamo che il “rilancio” transita anche per l’innovazione, soprattutto quando è necessario superare una crisi economica globale senza precedenti.

Le PMI, per le proprie caratteristiche intrinseche di flessibilità e capacità di adattarsi dinamicamente alle evoluzioni del mercato – anche se stremate in questo momento e senza speranza di vedere, a breve, l’orizzonte di una nuova “terra promessa” – possono rappresentare la leva della ripartenza economica. Tuttavia, per fare ciò, sono fondamentali azioni immediate ed efficaci a sostegno delle imprese e dei livelli occupazionali: liquidità, abbattimento del cuneo fiscale, rinvio tasse, fondo perduto e sblocco degli investimenti per riavviare i cantieri. Solo se le aziende producono il nostro Paese potrà risollevarsi.

Prendere per mano le PMI

Importante che le PMI comprendano che è giunto il momento di affidarsi, se non già presenti all’interno dell’organizzazione, a figure manageriali esterne come Risk & Business Continuity ed Innovation Manager in modo tale che, dopo un’approfondita analisi e la misurazione del loro stato “febbrile”, siano in grado di supportarle per attuare quei cambiamenti “culturali” necessari per renderle più efficienti, flessibili, agili e pronte ad affrontare le future sfide. Si tratta di fornire un supporto mirato a valutare meglio la strategia di una ripresa strutturata, per rispondere reattivamente a un mercato erratico come quello contingente.

In questo particolare momento è altresì auspicabile che le varie associazioni di settore di Risk & Business Continuity e Innovation Management si mettano a disposizione delle imprese – fungendo da veri e propri “coach” e, con pragmatismo, prendano per mano le nostre PMI preparandole a giocare la loro “partita” più importante. Bisogna fare squadra, superare l’individualismo imprenditoriale e i silos del corporativismo; anche i consulenti devono avere un approccio diverso, più ravvicinato, “scendere” dal piedistallo, “sporcarsi le mani” e, con calibrato buonsenso, supportare in modo agile e flessibile le nostre PMI e le parti più esposte della loro filiera per far ripartire il Paese.

Conclusioni

I rischi, fino ad oggi, sono stati affrontati dalla maggior parte delle imprese con leggerezza; ci siamo affidati, da italiani, alla nostra “buona stella”, alla nostra capacità di “rimbalzare”. Di fatto, ora facciamo i conti con la mancata gestione del rischio e della continuità operativa, come se non fossero fattori insiti nella nostra quotidianità.

Come tanti “struzzi” abbiamo nascosto la testa sotto la sabbia per non vedere la tempesta che si stava delineando all’orizzonte, sminuendo il grande valore della capacità di essere preparati al rischio ed alla salvaguardia della continuità operativa, relegando – frequentemente – le funzioni, a ciò delegate, ad un ruolo marginale nell’ambito delle organizzazioni.

Inoltre, negli ultimi anni, sotto il peso delle congiunture economiche sfavorevoli, abbiamo eletto il “risparmio” alla base della gestione delle entità produttive. Era considerato un eccellente manager o dirigente colui che risparmiava tout-court e non colui che rendeva più efficiente l’organizzazione evitando gli sprechi ed “efficientando”, pur garantendo che il suo operare rispondesse a principi etici, ben consapevole del fatto che, a ogni azione, corrisponde una reazione, soprattutto in un mondo globalizzato che si fonda sulle interconnessioni.

Ora, la realtà ci ha posti di fronte a qualcosa di più vasto e inatteso e ci ha sorpreso disarmati: piani di emergenza scarsi o inesistenti, strutture inadeguate, materiali di scorta assenti. È necessario un cambio di paradigma, recuperando l’etica in modo tale da renderci consapevoli di quale sia il vero bene e quali siano i mezzi atti a conseguirlo; quali siano i doveri morali verso sé stessi e verso gli altri. Una centralità della persona e dell’ambiente in cui viviamo. La politica e le imprese devono imparare ora a rispettare questi fattori fondamentali e imprescindibili, pena l’autodistruzione.

Etica è osservare e valutare continuamente il mondo che ci circonda come singoli e come gruppo umano; cercare di identificare le minacce che incombono, misurare le nostre vulnerabilità, rispetto alle minacce e provvedere, per tempo, con azioni di mitigazione che devono essere attuate anche quando sembrano inutili e soprattutto dispendiose.

È etico preparare in anticipo i piani per la gestione dei rischi, senza dimenticare quelli della continuità operativa che garantiscono la ripresa di tutte le attività dopo un evento critico. Tutto questo costa, ovviamente, ma certamente meno di quanto costi un intervento di rimedio attivato sotto la pressione dell’urgenza.

Corsi e ricorsi storici: nel passato, meno informatizzato e automatizzato, tutto ciò era presente, seppure in modo semplice e non strutturato. Non era una questione di etica, bensì di buonsenso. Non bisogna essere preparati solo in caso di guerra: le organizzazioni devono essere pronti a reagire dinnanzi ad un evento improvviso, con l’obiettivo di proteggere le imprese, gli essere umani e il contesto in cui vivono. In passato sarebbe stato impensabile delegare ad un unico Paese terzo le forniture di determinati materiali o semilavorati; nessuno avrebbe ridotto – al minimo indispensabile solo per la gestione della quotidianità – il numero di letti nelle terapie intensive degli ospedali pubblici. In passato si era abituati a “prevedere”; purtroppo, il mantra degli ultimi decenni è stato “profitto, risparmio, ottenimento di risultati a breve termine”, senza tenere conto degli effetti nel lungo termine.

Il sistema economico e politico deve, ora, poter integrare l’idea di reciprocità e interdipendenza assoluta e totale, integrando, allo stesso tempo, il principio di bene comune. Pertanto, solo superando gli attuali schemi economici e politici eviteremo che si radicalizzino le differenze tra parti sociali e tra popoli, generatrici di inevitabili scenari conflittuali di ingestibile portata; in caso contrario il castello di carta, su cui sono costruiti i vari Paesi a livello globale, crollerà.

 

Articolo a cura di Federica Maria Rita Livelli

Profilo Autore

Certificata in Risk Management (FERMA/RIMAP certificazioni Iso 3100:2018) & Business Continuity (AMBCI Certification – BCI UK; CBCP Certification – DRI Usa), svolge consulenze in Risk Management & Business Continuity oltre ad effettuare un’attività di diffusione e di sviluppo della cultura della resilienza presso varie istituzioni e università italiane e straniere. Ricopre anche il ruolo di Academy Training Director presso BEDISRUPTIVE CONSULTING Srl.

Membro de: Comitato Direttivo e Scientifico di ANRA, BCI Italy Chapter Board; Comitato scientifico di CLUSIT ed Comitato tecnico per l’AI di CLUSIT; FERMA Digital Committee; diversi comitati tecnici UNI.

Speaker e moderatrice a convegni nazionali e nazionali è altresì autrice di numerosi articoli inerenti alle tematiche di Risk Management & Business Continuity, Cybersecurity e Resilience pubblicati da diverse riviste italiane e straniere. Co-autrice de: Report 2020-2021-2022 -2023 CLUSIT-Cyber Security e de “Lo stato in Crisi” ed. Franco Angeli.

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