Riunione: rito e strumento per le imprese

Riunioni e clima organizzativo: un tema sottovalutato

Lo scopo di questo articolo è dimostrare che la qualità delle riunioni correla con il clima e con altre variabili, fino ad arrivare alla reputazione di un’organizzazione. In altri termini, riunioni pianificate e gestite male peggiorano la performance organizzativa e possono ridurre l’appetibilità di un ambiente lavorativo.

I primi paragrafi riassumono i legami che, per logica, fanno ipotizzare che cattive riunioni possono portare a fenomeni apparentemente non correlati, come la “Great resignation”.

Nei paragrafi successivi vengono presentati i risultati di un’indagine che ho proposto ai miei contatti Linkedin. Sebbene su piccoli numeri, le risposte ottenute sono coerenti con l’ipotesi che la qualità delle riunioni abbia una rilevanza superiore a quanto si immagini.

Nell’ultimo paragrafo illustro un rimedio per ridurre la sofferenza organizzativa derivante da interazioni professionali scadenti; passi concreti per migliorare le riunioni rappresentano una cura “olistica” per le imprese.

Branco e sopravvivenza

Dalla notte dei tempi i nostri antenati sono vissuti in branco, poi in tribù, l’unione di varie famiglie.

Per molti mammiferi, ominidi compresi, la sopravvivenza era impossibile senza un gruppo. La vita solitaria diminuiva le possibilità di trasmettere il proprio DNA, prima priorità di ogni essere vivente.

Nella nostra genetica, nel linguaggio, nei simboli, c’è un patrimonio plasmato in milioni di anni. È istintivo, per i bambini, cercare altri bambini. Per essere accettati bisogna comprendere il funzionamento e le regole sociali. Questione di vita e di morte, ma anche di salute. Chi vive da solo ha più possibilità di ammalarsi[1].

Il gruppo valuta i singoli, e i singoli valutano il gruppo

Ogni organizzazione decide, dopo valutazioni più o meno sensate, chi includere e chi lasciare fuori. Specularmente chi viene ammesso valuta il contesto che lo ha accolto.

Dalle modalità di interazione, dalla gerarchia, dai simboli e dal linguaggio emergono impressioni sul funzionamento organizzativo; viene percepita e valutata una prospettiva professionale e di vita.

La prima riunione è un’esperienza emotivamente carica, come il primo giorno alle elementari.

Con la testa o con la pancia, in modo più o meno consapevole, cerchiamo un nostro spazio. Le cifre ancestrali della logica interattiva sono state identificate da Omero, fondatore insuperato della Psicologia Sociale. Alleanze, conflitti, sopraffazione, seduzione, umiliazione sono mattoni della dinamica umana.

Drammaturghi antichi e moderni hanno portato in scena l’interazione umana nella versione tragica e in quella comica. Con il “tragico” Fantozzi la commedia è atterrata nell’Italia del lavoro.

Dalla Polis alla psicanalisi

La piazza è una caratteristica delle città italiane ed europee. Nelle assemblee, i Greci, fondatori della cultura europea, si confrontavano per prendere decisioni.

Una comunità umana è matura quando, grazie a regole di convivenza, traduce divergenze in decisioni.

La democrazia può piacere o meno, ma l’assemblea degli Ateniesi, replicata nella Roma repubblicana e nella Firenze tardomedievale è un archetipo della nostra civiltà.

Furono i democratici Ateniesi ad inventare dialettica e retorica, coltivate dai Romani e poi dai Medievali. Anche l’etica è nata, guarda caso, in quel contesto.

Per Aristotele la politica è la scienza più alta, non per nobiltà ma per complessità. La politica sfida la mente umana a coniugare storia, logica, etica, scienza della natura. La complessità della materia aveva convinto il filosofo greco dell’impossibilità di trovare la costituzione perfetta. Le organizzazioni umane possono solo procedere per approssimazione.

Da allora, storici come Tucidide, filosofi come Hobbes, teorici della politica come Machiavelli, scrittori come Melville, psicologi come Freud si sono misurati con le dinamiche dei piccoli gruppi e delle grandi organizzazioni statali.

Le scienze sociali nelle imprese

Nel secondo dopoguerra le scienze psicosociali hanno rilanciato l’interesse per le dinamiche interattive. La fisica era diventata, dopo Newton, la scienza di riferimento. L’influenza del positivismo ha condotto le scienze sociali ad individuare ricorrenze nelle interazioni umane. L’idea era di seguire la fisica nella ricerca delle leggi che spiegano il comportamento dei singoli e del gruppo.

Il conflitto, la motivazione, la leadership sono diventate oggetto di studio. Sono nate teorie e modelli, con sperimentazioni disegnate seguendo il paradigma della fisica.

La psicologia sociale ha raggiunto l’apice della notorietà negli anni ’80, quando università e imprese collaboravano per analizzare problemi e testare metodi[2].

Il sapere in rete

Con Internet, la cultura delle imprese pesca da nuove fonti, gli influencer e l’informatica.

Nell’epoca del Deficit di Attenzione, l’interesse ad approfondire ha lasciato il posto al copia-incolla. Le frasi di un Guru sono accessibili in rete, fruibili con poco sforzo da chi vive davanti ad un video.

La psicologia sociale si è rintanata nelle università e le imprese vivono di mode, gestionali e app. Aziende di informatica propagandano Software che “risolvono i problemi di Gestione del Personale”. Ci si aspetta di dare ordine al fattore umano tramite algoritmi che supportino valutazioni della prestazione[3]. La diffusa illusione della meritocrazia dimostra che gli anni ’80 sono ormai preistoria.

Strumenti User friendly: fare prima di comprendere

Negli ultimi 50 anni due strumenti hanno rivoluzionato le imprese e i comportamenti. Il telefono e il computer, nati con un’identità propria, si sono progressivamente fusi. L’impatto è stato enorme sulla possibilità di immagazzinare e trasferire dati, di connettere le persone, di aumentare la potenza di calcolo.

La giornata delle persone è stata rivoluzionata. Si dedica un’enormità di tempo al computer, a rispondere alle e-mail[4], a preparare slides, a compilare templates.

Grazie alla visione di Steve Jobs l’informatica mette tutto a disposizione di tutti. La tecnologia touch-screen si trasferisce gradualmente dai navigatori satellitari agli strumenti per presentare in pubblico e ai gestionali HR. L’evoluzione dei comportamenti è enorme.

Le riunioni hanno fortemente risentito dell’introduzione di tecnologia. Presentare tramite slides a partecipanti che ascoltano con il PC aperto è la nuova normalità.

Ad accelerare la transizione tecnologica ci ha pensato il più piccolo organismo della terra, che non è neppure considerato un essere vivente. Il Covid-19 ha aumentato drasticamente il tempo che passiamo al computer.

La percentuale di riunioni diventate video-call è decollata. Una ricerca ha rilevato che un partecipante invia mediamente tre e-mail per ogni ora di riunione.

Quanto siamo preparati ad affrontare le nuove modalità di interagire?

Se confrontiamo una riunione di 50 anni fa con una Video Conference post-covid comprendiamo che il cambiamento è epocale.

In riunione tutto converge

Il funzionamento del gruppo dipende da molti fattori, tra i quali la capacità dei Capi di dare direzione, di organizzare, di motivare e coinvolgere.

Riunioni ben gestite e fruttuose sostengono la fiducia, motivano, coinvolgono.

La riuscita di una riunione dipende da pianificazione e comunicazione, le due discipline manageriali critiche; un Leader in riunione si gioca la reputazione, nel bene e nel male.

Le modalità con le quali la Leadership conduce il gruppo possono essere direttive, partecipative, familiari. I valori reali emergono nell’agire, nelle modalità con le quali i capi gestiscono i collaboratori. Non sempre la realtà rispecchia il decalogo aziendale.

La riunione come strumento

In riunione si condivide una cultura tramite simboli, racconti, linguaggio; nell’interazione si plasma l’identità di un gruppo.

Al contempo la riunione è uno strumento, una sorta di macchina che trasforma input in output. Ogni interazione produce un risultato, una decisione, un piano di azione, uno stato emotivo.

I partecipanti interpretano quanto accaduto e diffondono il loro punto di vista tramite il passa-parola. Alla pausa caffè oppure tramite chat si esprimono apprezzamenti e critiche al riparo del radar dei capi o del dipartimento HR. La differenza di percezione tra chi prende le decisioni e chi le subisce è sempre più ampia[5].

Ogni riunione ha un impatto, positivo o negativo, sulla credibilità e sulla fiducia nell’organizzazione e nei capi, che si definiscano Manager o Leader non conta.

Una riunione porta valore o lo disperde, nessuna interazione è neutra.

Mode anglosassoni ed estraniazione

A partire dal secolo scorso il mondo delle imprese ha importato, a ritmo crescente, metodi e terminologia anglosassone, in particolare dagli Stati Uniti.

Man mano che l’inglese diventava la lingua ufficiale del Business, Vision, Mission, Leadership, Team Building, Coaching, sono diventati termini di uso comune.

Programmi nati per testare la tenuta di un Team destinato a lunga convivenza su una stazione orbitante oppure metodi per gestire un reparto militare in “born out” sono stati rivisti e rivenduti alle imprese.

Manager, venditori, contabili e tecnici si sono cimentati nel rafting o nell’orienteering. Il Team Building è entrato nel calendario aziendale, al pari della cena di Natale.

Da una banca all’altra, da una multinazionale alla successiva, programmi “Spray and Pray”, hanno distribuito modelli comportamentali, terminologia, illusioni. La lingua inglese si declina con equivalenze improbabili, dove il lavoro da remoto diventa “Smart working”.

Grandi dimissioni: un fenomeno che cerca una spiegazione

Proprio quando l’inclusione diventa l’ultima moda, sembra che le persone non ne vogliano sapere di sacrificarsi sull’altare del lavoro. La progressiva disaffezione, culminata nel fenomeno definito “Great Resignation”, è rilevata da indagini su grandi numeri e descritta in centinaia di articoli[6].

La progressiva scissione tra l’idealizzato mondo dell’azienda perfetta, guidata dal Leader illuminato, e la realtà quotidiana, costellata di situazioni incomprensibili e farraginose, si è tradotta in disagio ed estraniazione.

Cosa spiega tutto ciò? Quali sono le cause?

Non ci sono più i giovani di una volta

Cresce oggi la richiesta di bilanciare lavoro e vita privata, di avere maggiore indipendenza, di ridurre l’orario di lavoro, di realizzarsi nella vita privata.

Da cosa deriva la ridotta disponibilità delle persone a “dipendere”, ad accettare una paga in cambio di ore in ufficio. Poiché la genetica umana non è cambiata negli ultimi anni, bisogna cercare nell’ambiente.

La spiegazione più diffusa è che sia in corso un epocale cambiamento nella cultura delle nuove generazioni, che sarebbero meno disponibili a sacrificarsi, ad investire nel lavoro. È una spiegazione tautologica, ovvero che non spiega.

Il taglio moralistico che si esprime nel “non ci sono più i giovani di una volta”, indica la provenienza di tale idea. Dai tempi di Catone il censore, solo chi comanda ha il potere di divulgare la propria verità. I giovani non hanno voce né peso politico.

Ai congressi dedicati alle Risorse Umane parlano i Direttori e quelli che godono dei privilegi del sistema, non le “vittime”. E’ normale che la disaffezione alle imprese sia imputata a fattori esterni all’impresa.

Un alibi protegge chi comanda, ma non predispone soluzioni.

Alla luce dei cambiamenti radicali avvenuti negli ultimi anni è molto più sensato ed economico indagare all’interno delle imprese. Lo scopo non è cercare un colpevole ma individuare una causa.

La qualità della vita lavorativa peggiora: un’ipotesi da verificare

Un fenomeno nuovo, un cambio di tendenza, va spiegato con una causa nuova.

Il fenomeno nuovo è la disaffezione al posto di lavoro, correlabile con il declino di:

  • qualità della vita professionale;
  • piacere di recarsi al lavoro;
  • fiducia nel Management;
  • clima relazionale.

La novità più rilevante del contesto organizzativo è la massiccia introduzione di tecnologia informatica.

Bisogna ora comprendere come tale novità si traduca in nuovi comportamenti, nuovi valori, nuova visione del lavoro.

La cultura strumentale al centro di una civiltà

Nei musei sulle antiche civiltà troviamo manufatti: gli utensili.

Archi, aghi, vasellame indicano come si viveva.

Nei gruppi umani la competenza nell’impiego degli strumenti è un fattore critico. Una tribù di cacciatori che non sanno utilizzare le armi per la caccia è destinata a scomparire.

Nessuno vorrebbe lavorare in un laboratorio artigiano dove cacciavite e martello sono usati al contrario, senza logica.

La competenza strumentale definisce linearmente la qualità di un ambiente di lavoro.

L’impiego approssimativo degli strumenti chiave ha una ricaduta diretta sull’appetibilità di un posto di lavoro.

La riunione, fisica e virtuale, è uno strumento di impiego frequente, ad alto impatto emotivo, per la quantità di tempo assorbito e per l’importanza dei risultati.

Riunioni di qualità scadente riducono la motivazione e la fidelizzazione del personale.

5 quesiti al mio network Linkedin

Nei precedenti paragrafi ho esposto un’ipotesi. Per verificarla a livello preliminare, ho postato in Linkedin 5 domande mirate a comprendere quanto ancora contino le riunioni, quanto siano importanti per la salute del gruppo, dell’impresa, della squadra?

Ecco i risultati ottenuti da una media di poco più di 30 rispondenti per quesito.

Quesito 1:

Negli ultimi anni è aumentato il lavoro da remoto. Nella tua percezione come sono cambiate le riunioni?

  • aumentate, di migliore qualità – 21%
  • aumentate, di peggiore qualità – 68%
  • diminuite, di migliore qualità – 4%
  • diminuite, di peggiore qualità – 7%

Quesito 2:

La qualità delle riunioni influenza, in negativo o in positivo:

  • L’efficienza funzionale – 57%
  • Clima interno – 30%
  • Fidelizzazione del personale – 0%
  • La reputazione dei Manager – 13%

Quesito 3:

La qualità di una riunione dipende, a tuo parere, soprattutto da:

  • Obiettivi e agenda – 36%
  • Relazione e presentazione dati – 2%
  • Gestione delle interazioni – 31%
  • Capitalizzazione del risultato – 31%

Quesito 4:

La capacità di definire obiettivi e agenda, di gestire l’interazione e di capitalizzare il risultato delle riunioni, nella Tua impresa è:

  • Strategica/fondamentale – 43%
  • Importante – 35%
  • Utile – 9%
  • Non rilevante/non necessaria – 13%

Quesito 5:

Nella tua organizzazione negli ultimi 2 anni si è investito (formazione, mentoring, etc…) per il miglioramento delle riunioni?

  • molto, è una priorità – 9%
  • con programmi mirati/specifici – 17%
  • poco, non è una priorità – 35%
  • per nulla – 39%

Sintesi dell’indagine

Sebbene su un campione ridotto, le risposte ottenute confermano l’ipotesi formulata nei primi paragrafi.

Le riunioni sono ancora importanti per il funzionamento organizzativo, la qualità sembra essere in calo mentre aumenta la quantità. Le imprese investono pochissimo sulle competenze relative.

Le conseguenze di questo quadro sono facilmente immaginabili.

Collaboratori coinvolti in un numero crescente di riunioni di qualità scadente hanno un vissuto negativo, un legame meno solido con il posto di lavoro.

La qualità delle riunioni non è l’unico fattore ad incidere sul clima di un’organizzazione, ma è un ambito circoscritto e rilevante, sul quale si può intervenire con un eccellente rapporto tra costi e risultati. Riunioni più efficaci permettono enormi risparmi di tempo.

Ulteriori ricerche potranno confermare la correlazione tra qualità della riunione e impatto sulla vita lavorativa, ma già oggi abbiamo un quadro definito.

Già da oggi si può intervenire per ridurre un’area di sofferenza.

Un unico rimedio per curare riunioni e organizzazioni

I passi per curare le organizzazioni devono essere coerenti con l’analisi dell’inefficienza, presumibilmente specifica in ogni impresa.

Buona pratica è partire facendo il punto della situazione, anche per avere poi la possibilità di valutare i progressi fatti.

Nella fase di analisi bisogna cominciare a diffondere consapevolezza su alcuni punti:

  • la riunione è una vetrina delle competenze dei Manager;
  • il cattivo uso degli strumenti impatta sull’efficacia, sull’efficienza e sul clima interno;
  • la tecnologia, se usata in modo maldestro, non risolve ma amplifica l’incompetenza.

Dopo che il team si è convinto ad intervenire ha senso inventariare gli strumenti di uso comune. Quando le riunioni occupano una quota rilevante dell’agenda bisogna agire di conseguenza.

Comprare un corso sulla gestione delle riunioni non è il rimedio ideale. Calare dall’alto soluzioni non produce grandi cambiamenti, ce lo dicono i Guru del Change Management.

Bisogna coinvolgere le persone perché percepiscano l’area di sofferenza e prendano in carico il percorso, dove la disciplina del Feed-back è fondamentale. Una Learning Organization si nutre di miglioramento continuo, quindi di auto-valutazione continua.

Il percorso deve prevedere una crescita culturale di pari passo con una verifica dei progressi fatti.

La raccolta disciplinata dei riscontri oggettivi e soggettivi a valle di ogni riunione è il punto chiave.

I programmi formativi vanno mirati a consolidare linguaggio e modelli prima di aggiungere tools sopra i tools.

Il miglioramento delle riunioni, che si ottiene tramite una migliore pianificazione, si traduce in progresso nella cultura manageriale.

Investire sulla cultura delle riunioni significa promuovere una crescita del management.

Note

[1] National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine. 2020. “Social Isolation and Loneliness in Older Adults: Opportunities for the Health Care System”. Washington

[2] Vedi Renzo Carli, Rosa Maria Paniccia, Franco Lancia. “Il gruppo in psicologia” clinica Edizioni Carocci, 2000.

[3] Locke, E. A., Shaw, K. N., Saari, L. M., & Latham, G. P. (1981). “Goal setting and task performance: 1969–1980Psychological Bulletin, 90(1), 125-152.

[4] Enrico Franceschini, “Si lavora solo 11 ore la settimana. Sotto accusa mail e riunioni. Ecco tutti gli errori”, Repubblica, 12 aprile 2014.

[5] Emanuele Di Pasqua, “Se il capo non viene rispettato” Corriere Della Sera 8 ottobre 2007 sulla ricerca Harris Interactive condotta in USA su un campione di circa 3000 dipendenti.

[6] W.Johnson: “How to lose your best Employees”. Harward Business Review Apr. 2018
Jon Christiansen: “8 things Leaders Do that make employees quit” Harward Business Review Sept. 2019

Articolo a cura di Luigi Rigolio

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