Se l’empatia diventa un obiettivo

“E allora possiamo dirci che l’empatia è fondamentale, ma anche quando riusciamo ad esercitarla, e ne siamo giustamente orgogliosi perché non è stato facile, dobbiamo resistere alla tentazione di adagiarci nella convinzione di aver fatto la nostra parte, per il “solo” fatto di essere stati empatici”.

Massimo Cali, L’empatia è fondamentale ma non è sinonimo di essere buoni, ilsole24h.com, 24.11.2020.

 

Nella mia esperienza d’aula, ogniqualvolta chiedo a un gruppo di Teleseller qual è la qualità che ritengono indispensabile per chiudere con successo la trattativa con il cliente, affermano: “L’empatia”.

Questa è la tipica risposta, insomma, e lo è che siano risorse già operative oppure che abbiano appena fatto il loro ingresso in azienda.

Se poi chiedo” Che significa per voi essere empatici? Mi fate un esempio di empatia?” molti replicano così:

-“Capire le esigenze del cliente”;

-“Ascoltare il cliente”;

-“Dare fiducia al cliente”;”

-“Far sentire al cliente che si è dalla sua parte”.

Ugualmente accade se faccio la stessa domanda a un Team leader o a un Manager.

In questi casi le risposte spaziano da “Capire le esigenze …” a “Dare fiducia … ” fino a “Far capire che si è sulla stessa barca”.

Da queste esperienze personali, certo non significative statisticamente eppure alquanto numerose ed omogenee (in passato ho ricevuto risposte simili da Operatori del Volontariato e Assistenti Socio-sanitati), si deduce come vi sia una rischiosa confusione intorno al concetto di empatia.

Premesso che qui con questa denominazione si intende “mettersi nei panni dell’altro restando nelle proprie scarpe”(definizione -a mio avviso- tra le più coerenti pur non avendo io chiare informazioni sulla fonte) quando si genera la mescolanza tra empatia e fiducia oppure tra empatia e ricerca del consenso, essa finisce con l’essere intesa come obiettivo ultimo ed unico della relazione. Vale a dire che, abbracciando questa prospettiva, venditore, team leader, manager, o altro genere di professionista che operi nell’ambito delle relazioni interpersonali, potranno dirsi:

“Basta che io sia empatico e sarò un bravo venditore … un team leader efficace … un manager capace”.

L’empatia, o quel che si ritiene che essa sia, finisce con il diventare allo stesso tempo origine ed esito della relazione stessa.

Certamente essere empatici è un requisito essenziale. Negli scambi professionali così come in ogni rapporto significativo. Il fatto è che essa non costituisce né una premessa né uno scopo, bensì è “solo” uno strumento, certamente di indubbia utilità, ma che resta comunque uno tra gli arnesi di cui dotarsi per giungere al traguardo.

L’empatia, dunque, da sola non basta a fare della performance un successo: deve essere accompagnata da conoscenze, competenze, strategie, supporti materiali. Strumenti altrettanto necessari e a volte in grado di sopperire ad una carenza di empatia.

Inoltre, quando comprendere l’altro è considerato l’obiettivo finale ovvero lo scopo stesso della relazione, allora è forte il rischio di sfociare nella compiacenza o, per meglio dire, nella sim-patia: con tale denominazione si intende mettersi sia nei panni dell’altro sia nelle sue scarpe. Ovvero: si comprende, sì, ma lo si fa perdendo di vista motivi e obiettivi della relazione. Con tutti i danni, per se stesso e per l’altro, che ne conseguono.

 

Articolo a cura di Alfonso Falanga

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