Sei tipologie di leader da non scegliere mai
Selezionare un leader è complicato. Non basta avere la professionalità per valutare conoscenza e competenze tecniche, bisogna aver acquisito l’abilità d’inquadrare lo spessore complessivo della persona. È la sua personalità a dover emergere dalla valutazione, non solo “ciò che sa fare”.
Si può addestrare un giovane talento ad acquisire i contenuti necessari per svolgere un certo lavoro, ma non gli/le si potranno mai trasferire quelle qualità che si acquisiscono attraverso un percorso interiore di centratura di sé stessi rispetto a valori e principi faticosamente identificati. In quest’articolo non voglio proporvi l’elenco delle caratteristiche del “bravo leader” ma, piuttosto, elencarvi le tipologie umane e di leadership dalle quale guardarsi in fase di valutazione e selezione di un leader.
Il leader che perde, sempre
Fatti, non parole (in inglese put-up or shut-up). Niente sa di scarsa leadership come la mancanza di prestazioni. Nessuno è perfetto, ma i leader che falliscono costantemente, qualche problema devono averlo. Se è vero che gli insuccessi aiutano a crescere, una storia di continui fallimenti indica una patologica incapacità di apprendere dagli errori. Eccovi una banalità: chi ha costantemente sperimentato il successo in ruoli di leadership ha molte più possibilità di ripetersi. Se è vero che le aziende intelligenti riconoscono il potenziale, è altrettanto vero che premiano e cercano le prestazioni. Quindi, coltivate il talento, ma assicurativi leader di successo.
Il leader “so tutto io”
C’è una frase, di origine anglosassone, che si è diffusa negli ultimi 10 anni tra i leader mediocri, eccola: “Dimmi qualcosa che non so”. È un’espressione offensiva per chi la riceve e squalificante per chi la pronuncia. I migliori leader sono perfettamente consapevoli di quanto non sanno e ascoltano, pazientemente, le persone con le quali lavorano, anche se esprimono concetti che non rivoluzionano il pensiero aziendalistico.
Un leader non ha bisogno di essere (o sentirsi) la persona più intelligente nella stanza ma avverte, costantemente, il desiderio di imparare dagli altri. Una delle caratteristiche dei grandi leader è la loro insaziabile curiosità. Se un leader non è estremamente curioso di conoscere ogni aspetto della sua organizzazione, credetemi quando vi dico che ci sono enormi problemi all’orizzonte.
Il leader egocentrico patologico
Il leader egocentrico si sente sempre al centro degli avvenimenti. Non concepisce il suo ruolo come un ruolo di servizio, ma, al contrario, si aspetta che tutto e tutti siano al servizio del suo ruolo. Ovviamente, relega tutti i suoi collaboratori a ruoli marginali e non condivide le informazioni che gli servono per coltivare il proprio senso di potere e indispensabilità (presunta).
Un’eccessiva abbondanza di ego, orgoglio e arroganza allontana la fedeltà e la stima dei propri collaboratori; il che, tradotto, significa che non si è più il loro leader, quindi non si è più nulla.
Il leader che non sa comunicare
Se un leader, costantemente, non è capito dai suoi collaboratori, semplicemente non sa comunicare. E un leader con scarse capacità di comunicazione ha, certamente, vita breve nella sua posizione.
I grandi leader sanno comunicare qualsiasi cosa a chiunque. Sono ascoltatori attivi, pensatori fluidi e sanno gestire qualsiasi conversazione, modulandone sapientemente i toni e il tenore.
Il leader che non investe sul proprio team
I leader non pienamente impegnati a investire in coloro che guidano falliranno.
I migliori leader sostengono la loro squadra, si integrano nel gruppo che guidano e si offrono quali mentori e coach dei loro collaboratori. Un leader che non investe le proprie energie per far crescere il proprio team è un leader mediocre, che incentiva la mediocrità di chi lavora con lui/lei.
Il leader che vuole vincere da solo
I veri leader si assumono la responsabilità degli errori e attribuiscono il merito dei successi alla loro squadra, anche perché sanno (o dovrebbero sapere) che sono misurati sulle performance delle persone che lavorano con loro e non sulle loro personali performance.
Un leader che cada in questo equivoco è del tutto fuori strada.
Bisogna tenere a mente che la scelta di un leader non impatta solo sui risultati aziendali del breve periodo ma, condizionando la cultura aziendale, ha ricadute dirette sui risultati di medio-lungo periodo; anche dopo che il leader di turno abbia lasciato l’azienda che ha aiutato a crescere, o che – al contrario – ha contribuito ad affossare.
Articolo a cura di Giuseppe Andò
Giuseppe Andò svolge dal 2000 la professione di C-level & Executive Coach. La sua formazione lavorativa e professionale concilia l’esperienza vissuta al vertice di alcune delle più importanti multinazionali dell’editoria e della comunicazione (General Manager McGraw-Hill, General Manager Pearson), con la fondazione e direzione delle prime realtà strutturate in Italia per l’executive coaching (Studio Income srl, Fineo srl). Nel 2017 consegue tutte le certificazioni MG Sakeholder Centered Coaching e dal 2019 è coach associato Marshall Goldsmith. Dal 2018 è Board Member di EMCC Italia (European Mentoring and Coaching Council). La sua formazione scolastica e universitaria concilia i valori umanistici (liceo classico e laurea in filosofia a indirizzo epistemologico - Milano) con le necessarie competenze tecniche specifiche (laurea in economia indirizzo aziendale - Bologna).