Slowbalization
Introduzione
In un articolo apparso nel 2019 sulla rivista britannica The Economist sul potenziale rischio di un profondo mutamento delle caratteristiche e della cadenza della globalizzazione, veniva messo in evidenza come il ritmo dell’integrazione economica nel mondo già presentasse segni di rallentamento a causa dall’azione di una serie articolata di variabili. Tra i vari possibili scenari che venivano descritti, uno in particolare faceva riferimento al processo di “Slowbalization”. Il termine era stato coniato dallo studioso olandese Adjiedj Bakas nel 2015, per descrivere l’azione di tutti quei fattori e meccanismi che agivano come “pressioni” in contro-tendenza alla globalizzazione.
È innegabile che l’attuale situazione di estrema emergenza causata dalla pandemia da Coronavirus si sia trasformata in pochissimo tempo in uno dei fattori principali di pressione contro le spinte e le tendenze alla globalizzazione: anzi si può affermare senza tema di smentita che il Covid-19 è attualmente il principale fattore che ha inceppato la globalizzazione.
Ciò pone numerose domande per la previsione di scenari futuri all’interno di una nuova normalità, con rilevanti ripercussioni per l’economia mondiale, i sistemi economici e produttivi nazionali e regionali, le singole imprese, l’occupazione, le comunità. Il rimescolamento totale delle carte sul tavolo della globalizzazione molto probabilmente produrrà pertanto dei cambiamenti sostanziali su molti modelli e approcci gestionali dei settori produttivi, ma anche della dimensione della ricerca scientifica, dello sviluppo tecnologico e della produzione e condivisione di innovazione.
Insomma, fra i vari scenari che si delineano per il cosiddetto next normal, si potrebbe prospettare anche un’eventuale slowbalization?
Scenari possibili
Il rallentamento generalizzato degli scambi internazionali, il blocco dei flussi di persone e merci, la dilatazione dei servizi digitali su tutti i livelli, lo smart working, l’incremento del commercio online e delle consegne a domicilio, ecc… sono gli aspetti forse più appariscenti di queste settimane della pandemia da Coronavirus sul versante economico. Tutto ciò sta producendo anche mutazioni nel comportamento e negli stili di vita delle persone modificando quindi molti pattern sul versante della domanda. Allo stesso tempo il versante dell’offerta ha subìto altrettante profonde trasformazioni anche come modalità di adattamento ad uno scenario così peculiare e senza precedenti di cui al momento non si riesce ancora a delineare i contorni e le caratteristiche. C’è da domandarsi quanto profonde possano essere queste trasformazioni, ovvero se, passata la fase dell’emergenza, non ci troveremo di fronte una realtà completamente mutata: la nuova normalità.
In sostanza sorgono molti quesiti su quali saranno nel medio-lungo periodo le conseguenze e gli effetti di questa “shut economy”, ovvero un’economia dove prevalgono massicciamente le attività on line con una sensibile contrazione dei contatti diretti fra persone, dove sono venuti a galla tutti i limiti dell’allungamento notevole delle filiere produttive (con la presenza di fornitori anche a migliaia di chilometri di distanza) e della delocalizzazione che avevano contribuito ad un’accelerazione eccezionale degli scambi commerciali a livello planetario. Si tratta inoltre di un’economia in cui siamo stati costretti da un virus ad abbassare notevolmente le emissioni di gas serra come mai avvenuto prima, mettendo in evidenza anche l’inconsistenza delle misure adottate finora in materia. La conseguente netta riduzione dell’inquinamento potrebbe far pensare ad esempio all’adozione nel futuro di misure ambientali decisamente molto più drastiche con un ripensamento circa l’effettiva percorribilità delle politiche economiche che si concentrano sulla produzione basata sullo sfruttamento di combustibili fossili e l’esplosiva crescita delle esportazioni (per le materie prime primarie, i prodotti agricoli e zootecnici e quelli industriali).
La shut economy potrebbe quindi essere una condizione più o meno lunga caratterizzata da contrazioni nei flussi di persone e di merci portando quindi a una slowbalization forzata: il mondo pertanto potrebbe entrare in una fase di “rallentamento” caratterizzato da una crescita più lenta o contrazione nei volumi del commercio, degli investimenti diretti esteri e dei flussi di capitali.
Gli scenari che si prospettano per il futuro appaiono quindi legati ad alti livelli di incertezza (senza considerare l’elevato livello di ansia presente nella società nel suo complesso come eredità pesante dell’emergenza Coronavirus), profondi cambiamenti tecno-economici, rinnovate relazioni stato-mercato, nuovi modelli e stili di vita e nuovi problemi di sicurezza. In breve il cambiamento dello scenario globale prospetta l’ipotesi tutt’altro che remota di rimodellare il mondo come lo conosciamo. In questo ambito non è nemmeno da escludere una fase di “disordine mondiale” in cui le frammentazioni cui stiamo oggi assistendo rischiano di sclerotizzarsi alimentando una competizione conflittuale su larga scala con pesanti ripercussioni sui sistemi economici e produttivi.
La questione del futuro ordine mondiale è quindi un nodo critico perché si connette alla straordinaria complessità delle trasformazioni cui stiamo oggi assistendo in questa difficile e delicata fase di “disturbo trasformativo” in cui siamo attualmente immersi.
Verso la slowbalization?
Siamo tutti ben consapevoli della drammaticità dell’attuale scenario economico sia a livello micro che macro: un volume molto consistente di perdite economiche generali, una percentuale rilevante di posti di lavoro a rischio, elevato indebitamento, erosione delle capacità di ripresa dopo l’emergenza, ecc… Tutto questo è in gran parte conseguenza diretta della minaccia globale creatasi con la pandemia da Covid-19.
Nello stesso tempo, quello a cui stiamo assistendo è l’avvio di un critico rimescolamento globale delle carte sul tavolo da gioco dell’economia mondiale con l’attivazione di profondi processi di cambiamento che ci vengono imposti da questa stessa pandemia. L’intero sistema economico e finanziario mondiale è infatti scosso dalle radici, ma anche molti semplici modelli legati alla vita quotidiana delle persone sono sottoposti ad una sensibile revisione. Il cambiamento degli stili di vita quotidiani quanto è profondo e quanto sarà duraturo? Che tipo di impatti sta generando per la determinazione delle future routine e stili di vita all’interno della nuova normalità?
Quando i modelli socio-economici cambiano i sistemi che li supportano, gli interessi, gli orientamenti e i mercati cambiano insieme alle relazioni industriali, agli approcci di business, alle traiettorie tecnologiche, ecc. Dopo la risoluzione della fase acuta di questa crisi, è probabile che si sviluppino nuove tendenze, prodotti e servizi a partire dallo sviluppo e produzione di tecnologie e servizi tecnologici, dall’uso di queste tecnologie, dallo sviluppo e impiego delle innovazioni.
Già in queste settimane notiamo come un risultato pratico sia il fatto che, almeno per molti di noi, si debba assistere a uno spostamento delle attività faccia-a-faccia verso piattaforme virtuali. Molte persone si stanno in qualche modo abituando alle interfacce online per condurre affari, fare acquisti, fornire e usufruire di programmi educativi e impegnarsi in una più ampia gamma di attività sociali. Per un numero non indifferente di persone la quarantena ha rappresentato un momento in cui è stato necessario alfabetizzarsi digitalmente, nonostante magari non lo si avesse voluto fare finora. Bisogna adattarsi, volenti o nolenti alle mutate condizioni. Insomma ci sarebbe da pensare che lunghi periodi di quarantena creano una nuova domanda o meglio nuove forme di domanda da parte dei consumatori, mentre le persone affrontano le esigenze di isolamento.
Tuttavia tutto questo si innesta all’interno di un quadro di riferimento totalmente fluido e imprevedibile. Le incertezze e le misure innescate dall’emergenza Covid-19 infatti vanno piuttosto chiaramente in una direzione anti-globalista dell’economia, oltretutto esasperata in alcuni contesti da sentimenti nazionalisti, a spese di quello che potrebbe essere definito internazionalismo liberale che ha retto finora il processo di globalizzazione. È evidente che una de-globalizzazione dell’economia mondiale in quanto tale è sostanzialmente impensabile. Questo perché il ruolo delle tecnologie e dell’innovazione nelle comunicazioni è tale da semmai trasformare il processo di globalizzazione in un “oggetto” completamente diverso. La nuova slowbalization potrebbe presentarsi come un mix peculiare di iper-globalizzazione e de-globalizzazione con elevati livelli di competizione internazionale sul versante delle alte tecnologie, un ridimensionamento della produzione transnazionale e un ricorso ad aggressive politiche commerciali, fiscali e finanziarie per attrarre posti di lavoro e investimenti. La globalizzazione-slowbalization potrebbe delinearsi pertanto come una grande fase di trasformazione a causa dei cambiamenti tecnologici e a sua volta imporrà grandi cambiamenti nella dimensione dello sviluppo ed impiego delle tecnologie e delle innovazioni, con un’ulteriore ascesa dell’economia della conoscenza e dell’economia digitale.
Un’accelerazione tecnologica fa sorgere però molte domande sui rischi derivanti dalle minacce al funzionamento dei mercati liberi che questo stesso profondo cambiamento tecnologico potrebbe sollevare. Lo sviluppo di strutture di mercato oligopolistiche in questo ambito, in cui una manciata di società ad alta tecnologia acquisteranno una posizione dominante, potrebbe esasperare le tensioni e le problematiche già oggi in atto nei settori dell’intelligenza artificiale, machine learning, Internet delle cose, genomica, robotica, big data ecc. Quindi, se da una parte il mondo potrebbe avviarsi verso una fase di slowbalization, il settore delle alte tecnologie potrebbe inoltrarsi contemporaneamente all’interno di un’economia digitale estremamente avanzata in una fase di “Globalizzazione 4.0” proprio nel momento in cui l’economia mondiale si trasforma a causa della mutazione delle catene di approvvigionamento globali e di una depressione economica diffusa.
Tutto questo presuppone l’ingresso in una nuova fase basata su progetti, strategie, modelli, approcci imprenditoriali completamente innovativi. L’essenza di questa dimensione imprenditoriale innovativa si concentra sulla possibilità di sbloccare, in un senso e significato molto ampio, le capacità e le potenzialità ancor oggi non sfruttate di raggiungere le persone e le comunità digitalmente e di fornire loro servizi ancora inesplorati e sottoutilizzati a elevato valore aggiunto. La valorizzazione della qualità della vita potrebbe divenire un essenziale core business rispetto alla valorizzazione di interessi finanziari, indipendentemente dalle conseguenze di salute globale o esseri umani, come è avvenuto sostanzialmente finora.
Conclusioni
In queste settimane i mercati mondiali stanno subendo degli scossoni drammatici, le catene di approvvigionamento internazionali sono in subbuglio, spingendo le imprese a trovare fornitori locali di materiali per mantenere in piedi la produzione. Il turismo si sta fermando perché i viaggiatori annullano i viaggi, le compagnie aeree sospendono i voli e gli hotel sono vuoti, i ristoranti costretti a chiudere. Eventi sportivi, concerti, spettacoli teatrali, mostre e altri eventi pubblici vengono annullati o rinviati. Fonti autorevoli avvertono che il prodotto interno lordo per molti Paesi si contrarrà, forse in modo molto significativo, nei prossimi mesi: questo è il caso dell’Italia. Siamo sempre più consapevoli che la pandemia stia creando le precondizioni per la generazione di conseguenze sociali particolarmente avverse.
Nel corso della storia, le epidemie hanno provocato all’umanità molte sfide, ma hanno anche portato con sé opportunità importanti di cambiamento, sia visibili che nascoste. L’emergenza da coronavirus ci dà il tempo di ripensare sui nostri stili di vita, le nostre priorità, i nostri schemi mentali e allo stesso tempo approcci e modelli di business. Questa stessa emergenza ci ha reso forse più consapevoli sul fatto che anche il più improbabile e non plausibile degli scenari può diventare reale. Anche per questa ragione su molti fronti ci siamo fatti trovare impreparati ed è per questa ragione che si creano oggi le condizioni per lo sviluppo di progetti imprenditoriali orientati a una maggiore resilienza dei sistemi produttivi, delle imprese e delle stesse comunità connessi a nuovi modelli di comunicazione che migliorano la collaborazione, lo scambio e condivisione delle informazioni, delle innovazioni e delle idee migliori, delle strategie economiche e delle tecnologie.
Come spesso accade dopo le catastrofi, le persone tendono a dimenticare rapidamente “come sono andate le cose”: non appena le circostanze lo consentiranno, si farà di tutto per incoraggiare le persone a far tornare tutto alla normalità come era prima.
Tuttavia da molto tempo si riconosce che i “disastri” e le catastrofi, soprattutto quando la scala delle loro tragiche conseguenze emerge con un ritmo relativamente contenuto ma costante, hanno la tendenza a catalizzare i processi di cambiamento sociale.
Sebbene le circostanze attuali rappresentino sfide uniche per predire il futuro, le nuove incertezze (sanitarie, ambientali, etiche, politiche, sociali, ecc…) alla fine determinano nuovi orientamenti di valore che sfidano l’essenza e il nucleo stesso del pensiero convenzionale sull’ordine economico. Questa emergenza ha in pratica reso reale l’idea stessa di una minaccia al sistema economico tradizionale che era sempre stata presentata come teorica, come un’eventualità possibile, probabile, ma non effettiva.
È impossibile oggi predire la profondità e la direzione della corrente che il cambiamento in atto ha intrapreso. Certamente si sono determinate profonde mutazioni produttive e turbolenze commerciali che fanno presagire i contorni ancora sfumati di un ordine trasformato. Solitamente si tratta di processi di cambiamento che in condizioni normali prevedono decenni per realizzarsi. Oggi invece siamo costretti a fare i conti con un meccanismo che si è messo in moto che è capace di progredire nello spazio di pochi mesi. Ci troviamo insomma davanti a un processo di industrializzazione sostitutiva in cui ci si allontanerà progressivamente dalla produzione ed esportazione di beni e servizi ad alta intensità di capitale e ad alta intensità di carbonio verso una produzione ad alta intensità di lavoro “knowledge based”, ecologicamente sostenibile, che privilegia la produzione e il consumo locale. Tutto questo anche per poter consentire un riassestamento e una riallocazione della base occupazionale.
Potrà sembrare paradossale ma, forse, bisognerebbe riconoscere che il COVID-19 è contemporaneamente un’emergenza per la salute pubblica e un esperimento in tempo reale per ridimensionare l’economia convenzionale sotto forma di una transizione al consumo più sostenibile e resiliente.
Articolo a cura di Carmelo Cannarella e Valeria Piccioni