Smart Working nel quadro regolamentare e organizzativo di riferimento: una vera opportunità per dipendenti e collaboratori di aziende, P.A. e studi professionali – Parte I
Premessa
Possiamo proprio dirlo.
In epoca Covid-19, molto è cambiato nel nostro modo di pensare, di vivere, di relazionarci e di lavorare. E lo smart working, incentivato a livello governativo in particolare nella c.d. “fase di lockdown”, è stato protagonista di un nuovo modo di concepire spazi e tempi di realizzazione del lavoro.
Ora che la fase emergenziale (c.d. fase 1) è finita, il lavoro da remoto permane in molte realtà organizzative come misura di prevenzione e contenimento da/di nuove possibili situazioni di contagio. Misura scelta e/o fortemente raccomandata peraltro da protocolli sanitari e documenti tecnici Inail.
Peraltro, a fronte dei sondaggi[1] realizzati durante la fase più calda della pandemia, il mondo del lavoro oggi è diviso su due fronti quanto al c.d. lavoro agile.
Da un lato ci sono coloro che, terminata la pausa estiva, ritengono opportuno e necessario tornare alle modalità tradizionali di lavoro c.d. in presenza; ossia con attività del lavoratore da espletarsi presso la sede fissa del datore di lavoro, sia essa l’Azienda, l’Ufficio o lo Studio. Dall’altro lato, vi è chi, di contro, vorrebbero fare della “modalità a distanza” resa possibile dalle nuove tecnologie digitali, la formula ordinaria e stabile dell’organizzazione del lavoratore moderno.
Anche sul piano regolamentare, gli esperti del diritto del lavoro sono divisi in due fazioni.
Da un lato abbiamo gli esperti giuslavoristi che ritengono che la normativa esistente in materia di lavoro agile già del 2017, possa essere mantenuta come parametro regolamentare, vista la sua flessibilità applicativa alla contrattualizzazione sia individuale che collettiva. D’altro lato c’è, diversamente, il fronte di chi richiede la riformulazione dello Statuto dei lavoratori e un più ampio intervento legislativo che riguardi non più solo il lavoratore dipendente ma altresì il professionista titolare di partita IVA, per un radicale, nuovo e più esteso inquadramento ad hoc dello smart working.
Quale che sia la vs. posizione, cerchiamo in questo breve contributo di fornire un inquadramento giuridico ed organizzativo della materia, che è certamente in divenire posto che – terminata l’attuale fase di transizione (c.d. fase 2), in cui ancora il lavoro agile reso possibile dalle nuove tecnologie applicate all’organizzazione del lavoro si connota come opzione da privilegiare a fini di tutela della salute pubblica – nella fase 3 si richiederà, tanto al settore pubblico che alle aziende, di affrontare in modo diverso il tema del rapporto di lavoro in Italia.
1. Smart Working – prime evoluzioni regolamentari della materia
Un primo tentativo di inquadramento giuridico del c.d. lavoro agile risale alla proposta di L. n. 2014 del 29 gennaio 2014, “Disposizioni per la promozione di forme flessibili e semplificate di telelavoro”[2], che configura lo smart working come “modalità di lavoro innovativa, basata su un forte elemento di flessibilità, in modo particolare di orari e di sede”.
L’esigenza dell’istituto deriva dal progredire delle nuove tecnologie applicate all’organizzazione moderna del lavoro e dall’esigenza di dare vita ad uno strumento alternativo al telelavoro. Modalità di lavoro a distanza quest’ultima detta, che “non tiene conto dell’evoluzione degli strumenti tecnologici a disposizione ed espone l’impresa interessata all’utilizzo di questa modalità lavorativa a costi e rischi troppo elevati, ad es. in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.”
Inoltre, la proposta di legge del 2014 configura lo smart working come strumento e non come tipologia contrattuale, allo scopo di renderlo utile a tutte le diverse tipologie di possibili lavoratori che svolgano mansioni compatibili con il lavoro a distanza, anche in maniera orizzontale: ossia prevedendo il lavoro a distanza solo alcuni pomeriggi alla settimana e/o tre ore al giorno e/o tutte le mattine etc., a seconda dell’accordo raggiunto tra datore di lavoro e lavoratore, volta per volta. Soggetto al quale viene peraltro lasciata ampia libertà di auto – organizzarsi, a patto di garantire alla parte datoriale l’impegno nel portare a termine gli obiettivi prestabiliti entro le scadenze previste.
In merito al luogo di lavoro in modalità agile nelle previsioni della proposta di lavoro, il lavoratore è libero di organizzarsi presso la propria abitazione, altre sedi aziendali, spazi di co-working, luoghi pubblici, presso clienti o fornitori e/o ovunque. Non necessariamente quindi lo smart working, come originariamente concepito, deve configurarsi esclusivamente nella formula, lato lavoratore, “io lavoro da casa”.
Un secondo tentativo di inquadramento giuridico della materia risale prima a due anni dopo, con disegno di legge ricollegato al Patto di stabilità del 2016 e poi alla L. n.81 del 2017.
SMART WORKING – INTENDIAMOCI SUL CONCETTO E SULLE FINALITÀ |
Il lavoro agile è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato che trova la sua regolamentazione di base nella legge n. 81/2017; non è telelavoro[3] e si caratterizza per il fatto che la prestazione lavorativa, può essere resa dal lavoratore in parte all’interno e in parte all’esterno dei locali aziendali datoriali. Il relativo rapporto, fa dell’accordo individuale stipulato in forma scritta tra il datore di lavoro e il lavoratore, il caposaldo del lavoro agile. La finalità dello smart working è incrementare la competitività a vantaggio della produttività aziendale, al contempo facilitando il lavoratore nell’esecuzione della prestazione, con una modalità che agevola la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. |
2. Smart Working – l’inquadramento di cui alla L. n. 81/2017 (quadro di sintesi)
È del 26 maggio 2017 la L. n. 81/2007, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”[4], e i i cui artt. da 18 a 24 del Capo II sono interamente dedicati al lavoro agile, per una regolamentazione specifica di quanto segue:
- definizione di lavoro agile;
- forme dell’accordo tra datore di lavoro e lavoratore;
- potere di controllo e disciplinare del datore di lavoro;
- trattamento economico e normativo da garantire al lavoratore;
- sicurezza del lavoratore agile.
Di seguito una sintesi, riepilogativa e per macro argomenti, dei contenuti della legge di riferimento.
Quadro di sintesi degli artt. 18 -24, Capo II, L. n. 81/2017 sul Lavoro agile (alias Smart Working) | |
Finalità dello smart working | La legge ribadisce l’intento di incrementare la competitività e di agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, mediante la promozione del lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, e con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. |
Tempi e luoghi di lavoro a distanza | La prestazione lavorativa può essere eseguita in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. |
Strumenti tecnologici a disposizione del lavoratore | Il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa. |
Applicabilità dello smart working al settore P.A. | “Le disposizioni del presente capo si applicano, in quanto compatibili, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del dlgs. 30 marzo 2001, n. 165, e succ. mod., secondo le direttive emanate anche ai sensi dell’art. 14 della L. 7 agosto 2015, n. 124, e fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti” (cfr. art. 18 comma 3). |
Lavoratori che possono pretendere lo smart working | I datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile sono tenuti in ogni caso a riconoscere priorità alle richieste di formulate dalle lavoratrici nei 3 anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità previsto dall’art. 16 del TU delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al Dlgs. 26 marzo 2001, n. 151, ovvero dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità (cfr. art. 3, comma 3 L. 5 febbraio 1992, n. 104. |
Parità retributiva a tutto tondo nell’accordo di smart working | Il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui all’art. 51 del Dlgs. 15 giugno 2015, n. 81, nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda. (cfr. art. 20 comma 1). Gli incentivi di carattere fiscale e contributivo eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato sono applicabili anche quando l’attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile (cfr. art. 18 comma 4). |
Specifiche dell’accordo tra parte datoriale e lavoratore | Forma e contenuti: l’accordo richiede la forma scritta a fini di regolarità amministrativa e della prova. Diritto di riposo e disconnessione: l’accordo deve individuare espressamente i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro. Potere disciplinare e di controllo: l’accordo deve disciplinare l’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali nel rispetto di quanto disposto dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori e succ. mod.[5]. Sicurezza sul lavoro e informative: al datore di lavoro compete di garantire la salute e la sicurezza del lavoratore in modalità di lavoro agile, con obbligo di consegna al lavoratore ed al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali. Durata: l’accordo può essere a termine o a tempo indeterminato; in tale ultimo caso, il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a 30 gg., con regole in deroga per i lavoratori disabili (cfr. art. 1 L.12 marzo 1999, n. 68). Recesso: in presenza di un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato, o senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato. |
Diritto del lavoratore all’apprendimento continuo e alla certificazione delle competenze | Al lavoratore impiegato in forme di lavoro agile può essere riconosciuto nell’ambito di specifico accordo, il diritto all’apprendimento permanente, in modalità formali, non formali o informali, ed alla periodica certificazione delle relative competenze. |
Assicurazione per infortuni obbligatoria | Il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali (i.e. tutela contro gli infortuni sul lavoro occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, nei limiti e alle condizioni di cui al terzo comma dell’art. 2 del T.U. delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al DPR 30 giugno 1965, n. 1124, e succ. mod., ove la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa/dalla necessità del lavoratore di conciliare esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza). Ai fini dell’indennizzo da parte dell’Inail non rileva né “il quando”, né “il dove” degli eventi verificatisi, ma solo “il come”, quale collegamento eziologico causale[6]. |
Note
[1] Le statistiche hanno riportato il dato dei mesi di marzo ed aprile di 1.827.792 lavoratori attivi in modalità agile nel mondo azienda cui si sono sommati oltre 2 milioni e mezzo attivi con analoga modalità nella PA nella fase di lockdown, quando prima dell’epidemia, in Italia ad applicare il telelavoro erano solo 221.175 persone. Con un numero di aziende italiane intervistate che hanno dichiarato di aver attivato lo smart working pari al 39% al Nord, 42% al Centro ed il 36% al Sud. Si stima peraltro che i numeri del lavoro agile saranno superiori cessata la fase emergenziale; con 6 dipendenti su 10 in smart working, contro il 46,19% degli attuali. L’Osservatorio del Politecnico di Milano nei mesi cruciali del virus ha registrato il dato secondo cui le imprese che già avevano modelli strutturati in Smart Working che prevedevano tra l’altro il lavoro per obiettivi hanno esteso l’ attività a tutti i dipendenti, riscontrando benefici e miglioramento sulla produttività. Secondo poi le statistiche di AIDP (Associazione dei dipendenti del personale) per i sondaggi realizzati nel periodo di lockdown in ambito PMI italiane: il 62% pensa ad una ri – progettazione delle norme sulla tutela della salute; il 22% prevede forti investimenti nelle infrastrutture informatiche; l’11% attuerà un potenziamento dello smart learning; il 55% prevede un significativo potenziamento dello smart working anche nei mesi a venire. Guardando infine alla dimensione più Internazionale del fenomeno smart working, si registra che: Fastweb e Vodafone, come molte banche e assicurazioni, hanno scelto di continuare a ricorrere allo smart working fino a a settembre 2020; Enel si avvarrà di tale modalità fino al Natale 2020; Facebook e Amazon hanno previsto il rientro dei lavoratori in presenza solo nel 2021; Twitter ha deciso che sarà sempre rimessa al lavoratore la libertà di lavorare da casa. Contro corrente Google, uica azienda leader convinta che il lavoro di squadra funzioni solo con i lavoratori in azienda; e che, già da dopo la fine del lockdown, ha quindi cominciato a richiamare i dipendenti per il rientro in ufficio (Fonte: M.PIZZIN, Smart Working solo andata, adesso c’è nel 97% delle imprese, Sole 24 ore, 13 maggio 2020).
[2] Strutturalmente la proposta di legge si articola sui seguenti contenuti: art. 1 – Oggetto e finalità; art. 2 – Volontarietà, durata e recesso; art. 3 – Diritti del lavoratore; art. 4 – Protezione dei dati, riservatezza e obblighi di custodia; art. 5 – Strumenti informatici; art. 6 – sul lavoro; art. 7 – Contrattazione collettiva; art. 8 – Incentivi.
[3] Il telelavoro di cui all’Accordo quadro europeo del 16 luglio 2002, recepito dall’accordo interconfederale del 9 giugno 2004, può essere inteso come un modo di lavorare indipendente dalla localizzazione geografica dell’ufficio o dell’azienda, facilitato dall’uso di strumenti informatici e telematici e caratterizzato da una flessibilità sia nell’organizzazione, sia nella modalità di svolgimento; non va tuttavia confuso con il lavoro agile, in cui la prestazione lavorativa è svolta senza una postazione fissa. Questa la definizione di Wikipedia: “Il telelavoro diversamente dal lavoro agile prevede che il datore di lavoro fornisca al lavoratore gli strumenti di lavoro e l’allestimento della postazione (con corrispondenti poteri di controllo) mentre nel lavoro agile il lavoratore ha ampia facoltà di scelta quanto a strumenti e modalità”. Di contro, dalla medesima definizione, il lavoro agile, chiamato anche smart working è nell’ordinamento italiano di cui alla L. n. 81/2017 “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche don forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.
Per entrambe le due diverse tipologie di organizzazione del lavoro a distanza non vi è obbligo legale per il datore di lavoro di pagare le utenze al lavoratore in remoto. Nella prassi del solo telelavoro, spesso la parte datoriale eroga una somma forfettaria per le spese; straordinari e notturno vanno pagati solo se richiesti dal datore di lavoro (i.e. nel lavoro agile, organizzato per obiettivi, il lavoratore è più libero di lavorare quando vuole; se sceglie di lavorare di notte, non si è in presenza di lavoro notturno e lo stesso vale per lo straordinario.
Sia nel caso del settore pubblico sia del privato, vi è il dubbio che i buoni pasto debbano essere forniti dal datore di lavoro quando la prestazione è flessibile (i.e. smart working); vanno invece sicuramente dati se la prestazione è assimilabile al telelavoro.
Un infortunio sul lavoro è tale anche se avviene in casa, a fini dell’assicurazione Inail; e la responsabilità del datore di lavoro è più estesa nel caso del telelavoro, dato che – diversamente che nello smart working -, a lui compete di fornire postazione e strumenti al lavoratore.
[4] Legge sullo smart working pubblicata in GURI il 13 giugno 2017, n. 135.
[5] Ex art. 4 comma 1 dello Statuto dei Lavoratori, sono ammesse in ambito lavorativo l’installazione e l’utilizzo di apparecchiature tecnologiche e sistemi in grado di controllare l’attività lavorativa dei dipendenti a distanza (ad es. computer fisso o portatile, mobile devices, posta elettronica, accesso a rete privata e/o a Internet, SW funzionali all’HW necessari per elaborare la prestazione lavorativa) solo per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e a condizione che vi sia un previo accordo sindacale o – in mancanza – l’autorizzazione dell’Ispettorato territoriale del lavoratore. La parte datoriale è tenuta a un’adeguata informativa sulle modalità d’uso delle dotazioni e sulle misure di controllo applicabili. Resta ferma la possibilità per il datore di lavoro di attuare controlli difensivi (anche occulti) per verificare il compimento di possibili illeciti di cui vi sia sospetto e diversi dal mero inadempimento della prestazione, oltrechè controlli per esigenze investigative e di accertamento di infedeltà o false attestazioni (es. periodi di malattia). Sussistendo i requisiti di Statuto, sono ammissibili strumenti datoriali di controllo a distanza (quali impianti di videosorveglianza, webcam, sistemi di geo localizzazione, SW per il controllo in backgroung, filtraggio e tracciatura di operazioni con pc, tablet, tastiere etc., dotazioni per il monitoraggio degli spostamenti fisici del dipendente), a condizione che sia garantito il rispetto della normativa sulla riservatezza dei dati personali del lavoratore e che i controlli non siano massivi, prolungati, indiscriminati o invasivi.
Il quadro dispositivo di cui sopra non trova applicazione per gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, né per gli strumenti di registrazione di accessi e presenze (cfr. stesso art. comma 2).
Sempre a tutela del patrimonio aziendale, un cenno va fatto anche all’art. 98 del Codice della Proprietà Industriale che tutela le informazioni aziendali e le esperienze tecnico –industriali ivi comprese quelle commerciali, a condizione che: a) siano segrete (ossia che nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi non siano note o facilmente accessibili agli esperti/operatori del settore; b) abbiano una valenza economica valoriale in quanto segrete; c) siano sottoposte – da parte di persone al cui legittimo controllo sono soggette- , a misure ragionevolmente adeguate per mantenerle segrete.
[6] È bene rammentare che, a norma della Circolare Inail 2 novembre 2017 n.48, l’Inail tutela anche i rischi accessori all’attività lavorativa, purchè strumentali allo svolgimento della stessa. Tuttavia, gli infortuni eventualmente occorsi mentre il lavoratore presta la propria attività lavorativa fuori dai locali aziendali e nel luogo prescelto dal lavoratore sono tutelati solo se causati da rischio connesso alla prestazione lavorativa. Parte datoriale è sempre tenuta a presentare denuncia di infortunio all’Inail secondo il disposto dell’art. 53 del DPR n.1124/1965. Ove la mansione in modalità agile sia identica a quella del lavoro c.d. in presenza, il premio assicurativo da versare non subisce modifiche di sorta e continua ad essere calcolato sulla retribuzione effettiva.
Articolo a cura di Giovanna Raffaella Stumpo
Giovanna Raffaella Stumpo, Avvocato del Foro di Milano, Giornalista pubblicista, collabora con primarie Case editrici e Quotidiani per l’attività redazione specialistica e per discipline strumentali all’esercizio della professione. Formatore accreditato, in collaborazione con Università, CNF, Consigli dell’Ordine, Scuole di formazione, Associazioni ed Enti per svolge con continuità attività di docenza e di progettazione di corsi nell’ambito della formazione e dell’aggiornamento professionale continuo. Auditor 231/2001 e Valutatore SGQ ISO 9001, è Consulente per il settore dei servizi alle imprese: nella progettazione e sviluppo di SGQ – Sistema Gestione Qualità ISO 9001, SGI – Sistemi Gestione Integrati (Privacy, Qualità, Ambiente e Sicurezza), MOG – Modello Organizzativo Gestionale ex Dl. 231/2001, Reti d’impresa e/o collaborative; nel coaching alle PMI per progetti con finanziamento europeo (www.giovannastumpo.it)