Smart Working

Un articolo apparso recentemente su Bloomberg spiega come in questo periodo, causa la diffusione del Corona Virus, sia in atto il più grande esperimento di Smart Working mai realizzato al mondo. Il sociologo Domenico De Masi, da sempre promotore convinto di questa modalità di lavoro, ha ripreso la notizia anche per denunciare la debole crescita italiana. De Masi sostiene che il nostro ritardo non sia di tipo tecnologico ma culturale, imputando a una visione del lavoro arretrata, fondata sul controllo, la maggiore difficoltà nel far decollare lo Smart Working in Italia. Anche l’articolo di Bloomberg accenna a questa difficoltà e alla diffidenza dei manager per analoghe ragioni, citando tuttavia uno studio condotto su alcune aziende cinesi dalla Stanford University nel 2015 che rilevava aumenti della produzione del 13% nella condizione di telelavoro.

L’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel suo ultimo report del 2019, stima in circa 570mila il numero degli smart worker in Italia, in crescita del 20% rispetto al 2018. A fronte di questo risultato positivo, il report dell’osservatorio evidenzia un ritardo rispetto ad altre realtà internazionali, dato che diventa molto più consistente se ci si sposta dal mondo delle grandi aziende alle PMI e alla Pubblica Amministrazione, dove, nonostante la crescita, il numero dei progetti presenti è ancora scarso. Sono da registrare invece come pienamente soddisfacenti, le conferme rispetto ai più alti livelli di produzione, e una maggiore soddisfazione ed engagement da parte dei lavoratori coinvolti in questi progetti.

Il picco di crescita attuale, legato all’emergenza in corso, può senz’altro essere visto come un’opportunità, ma nello stesso tempo espone al rischio di far percepire lo smart working solamente come pura condizione di lavoro da remoto. Una più larga e stabile adesione a questa tipologia di lavoro, richiede invece una trasformazione organizzativa e culturale capace di generare una diffusa consapevolezza della profondità del fenomeno, che non può essere ridotta solo agli aspetti legati alla migliore efficienza. Non è difficile comprendere questo, se consideriamo che lo smart working è probabilmente solo uno degli aspetti più evidenti delle grandi trasformazioni che la rivoluzione digitale sta producendo nelle nostre vite. Per molto tempo lavorare ha significato recarsi in un luogo preciso, uno spazio fisico, che rappresentava un ambiente sociale di aggregazione capace nel tempo di generare “senso di appartenenza” e “idea di comunità.” Tutto questo avveniva in un tempo definito, scandito da rituali precisi che separavano il tempo del lavoro da quello delle relazioni sociali – private e di comunità – quello che con l’avvento della modernità verrà definito: “tempo libero”.

Ci si rende conto allora di essere di fronte a una svolta epocale, antropologica, che trasforma, dissolvendoli in larga parte, gli ancoraggi alla dimensione fisica del lavoro, quelli riferibili ai concetti di velocità, di spazio e di tempo. La dislocazione dei team in luoghi diversi, la destrutturazione dell’organizzazione temporale, il vorticoso aumento nella velocità dei sistemi di comunicazione, determinano un radicale mutamento delle relazioni all’interno delle organizzazioni. L’assenza di questi riferimenti, rimasti sostanzialmente immutati dall’inizio della rivoluzione industriale, genera spaesamento se non viene accompagnata da una diversa consapevolezza, fondata su nuove conoscenze e competenze.

Quali Competenze?

Il primo passo impone di rivedere la struttura della relazione tra le persone: da una logica gerarchica, basata sul controllo – spesso diretto, immediato, “a vista” – a una logica che fa leva sulla fiducia tra e verso le persone. È necessario passare da un’osservanza rigida della gerarchia aziendale, al valore delle competenze e all’idea di appartenere a un unico network professionale. Fare questo significa trasformare il paradigma gestionale, concentrare l’azione sul raggiungimento degli obiettivi, superando l’antico vincolo delle misure della performance, quali la presenza e il tempo. Per i manager diventa fondamentale imparare ad accettare che il collaboratore porti a termine il lavoro seguendo una sua strada, con risultati a volte anche più efficaci di quanto avrebbe fatto nella vecchia modalità. Un cambio di mindset che porta a riconoscere come un valore, accogliere e apprezzare modalità di lavoro diverse dalle proprie.

Una prospettiva nella quale una mente flessibile ed empatica diviene un requisito indispensabile per il successo. Entrare in relazione con chi lavora a qualche migliaio di chilometri dalla nostra scrivania e che potremo incontrare solo saltuariamente, richiede una elevata consapevolezza che può scaturire solo da precise domande. Bisogna essere disponibili e capaci di esplorare contesti sociali, processi cognitivi e stili relazionali, culture organizzative e personali diverse dalle proprie. Comprendere i valori, le motivazioni e le aspettative nei confronti del futuro.

Nello stesso modo, per riuscire a esplorare davvero ciò che sta mutando nelle organizzazioni attraverso lo scenario dispiegato dalla dimensione del Lavoro Agile, è utile chiedersi chi è lo Smart Worker? Quali sono le caratteristiche peculiari che lo distinguono dal lavoratore tradizionale?

Sicuramente ci troviamo di fronte a una persona con un forte senso di indipendenza e autonomia. Queste caratteristiche possono in larga parte coincidere con un bisogno e una aspettativa personale, ma devono poi essere declinate in doti di self-management, auto-organizzazione, autonomia decisionale, capacità di definire un contesto (un framework di riferimento in un mondo dai confini più labili), orientamento agli obiettivi e una forte responsabilizzazione sui risultati. Ed è abbastanza evidente che a fronte di queste caratteristiche, in particolar modo se lo smart worker è un dipendente, devono essere ridefiniti i classici concetti di delega e controllo. Si tratta di un aspetto determinante ma per nulla scontato, dal momento che la paura di perdere il controllo delle proprie risorse, resta come abbiamo visto, una tra le maggiori difficoltà segnalate che rischiano di rallentare lo sviluppo di questa nuova dimensione del lavoro.

Come superare queste resistenze? È necessario essere consapevoli che ci troviamo di fronte a un cambiamento culturale profondo e per nulla facile, ma la risposta a questo disagio non può che riguardare la dimensione della fiducia. La capacità di costruire relazioni basate su una reciproca fiducia diviene un elemento imprescindibile di questo mutamento, che deve avvenire attraverso una ridefinizione del tradizionale rapporto capo-collaboratore. Il collaboratore deve accettare, a fronte di una maggiore libertà, di elevare il livello di responsabilità, in particolare riguardo ai risultati. Il manager dev’essere capace di ridefinire il proprio stile di leadership, rinunciare ad alcuni dei classici privilegi legati al grado gerarchico e mettersi maggiormente in gioco sul piano della relazione interpersonale, che significa accettare di “scendere qualche gradino”, per confrontarsi in modo più informale e alla pari. Dovrebbe anche essere consapevole che tutto questo non è altro che l’inevitabile conseguenza dei cambiamenti avvenuti nelle relazioni sociali. La comunicazione non può prescindere dalle forme, e di fronte a modalità sempre più veloci, dirette, accessibili e informali, che hanno consentito di disintermediare (grazie agli strumenti digitali) molti dei rapporti nei quali siamo quotidianamente coinvolti, sono cambiati i comportamenti che le persone mettono in atto negli scambi di comunicazione, incluso il rapporto con l’autorità.

Interpretare in modo strategico lo scenario appena descritto significa essere capaci di creare un giusto bilanciamento tra le opportunità derivate dalla comunicazione in rete (indispensabile per lo smart working: veloce, diretta, informale), molto efficace a livello informativo ma poco adatta a gestire gli aspetti più complessi della relazione, con la componente “analogica”, la parte più antica della nostra comunicazione, fondamentale per gestire gli aspetti emotivo-relazionali, che è importante saper valorizzare in occasione degli incontri vis a vis, per team di lavoro che comunicano per la maggior parte del tempo a distanza.

I processi descritti sono già in atto in numerose aziende, per essere gestiti al meglio richiedono lo sviluppo di specifici programmi che dovranno essere particolarmente attenti a conciliare le richieste di efficienza che arriveranno dalle organizzazioni impegnate nei processi di innovazione, con i bisogni e le motivazioni delle persone coinvolte. Il mondo della formazione può giocare un ruolo importante in questo senso, consapevole del ruolo strategico che ha storicamente svolto nell’accompagnare e facilitare i processi di cambiamento rendendo comprensibili e accettabili i grandi mutamenti.

Articolo a cura di Massimo Berlingozzi – Partner di I&G Management

Profilo Autore

Partner di I&G Management, formatore e coach con trent’anni di esperienza, si occupa di gestione dei processi di cambiamento e di sviluppo del potenziale umano, ha collaborato con le più importanti aziende e società di consulenza in Italia.

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