Sostenibilità: comportamenti e cultura organizzativa
Sostenibilità e cultura
La sostenibilità si sta imponendo con sempre maggior forza come priorità dei governi, delle comunità locali, delle imprese. Se il campo mediatico rivolto al grande pubblico è più attento al tema dei cambiamenti climatici come conseguenza delle attività umane, altri temi, come quello delle energie e delle risorse rinnovabili, dell’inquinamento delle acque, del suolo e dell’atmosfera, sono spesso lasciati agli addetti ai lavori.
Negli anni ’80 è stata definita la sostenibilità come una condizione in cui si utilizzano le risorse presenti facendo in modo che le generazioni successive ne possano godere ugualmente. Si trattava, quindi, di una sostenibilità “intergenerazionale”. Oggi si tende a pensare che la sostenibilità abbia anche una declinazione “intragenerazionale”, in quanto lo sviluppo sostenibile non è possibile se non c’è un’equa distribuzione di risorse al momento dato.
Infatti, l’Agenda ONU 2030 introduce molti nuovi risvolti di tipo sociale, non presenti nei precedenti Millennium Goals. Fra questi, l’obiettivo 10 rimanda alla necessità di ridurre l’ineguaglianza all’interno e fra le nazioni. La comunità internazionale ha fatto progressi significativi in tal senso, tuttavia, l’ineguaglianza persiste e rimangono grandi disparità di accesso alla sanità, all’acqua potabile, all’educazione e ad altri servizi.
Si è pensato a lungo, infatti, che uno sviluppo, per essere sostenibile, dovesse basarsi su tre aspetti (come si dice, tre “pilastri”):
- quello ambientale, il cui capitale naturale riguarda gli ecosistemi, le risorse naturali, la biodiversità, etc.;
- quello economico, il cui capitale economico riferisce a ciò che viene prodotto dagli individui;
- quello sociale, in cui il capitale umano traduce i valori di ogni individuo come parte della società.
I tre terreni venivano considerati ugualmente importanti e si intersecavano tra di loro in spazi di differente significato, laddove l’intersezione di tutte e tre le realtà indicava lo spazio dello sviluppo sostenibile. Ancor oggi, qualora uno dei pilastri prevalga sugli altri, si realizza uno squilibrio che mina la sostenibilità (ad es., quando un’organizzazione presta attenzione al solo ritorno economico).
Successivamente, si è fatta largo l’idea che, senza un ulteriore ingrediente, gli altri tre non riescano a stare assieme in modo efficace. Si parla, quindi, del “quarto pilastro” culturale. Si intende con ciò che la cultura, con la sua capacità di testimoniare o orientare i modi di pensare, le scelte e le azioni, sia un po’ come il motore di uno sviluppo sostenibile.
Non solo, a dare impulso a un nuovo sviluppo sostenibile si è aggiunta un’istituzione di grande influenza come quella papale, con l’enciclica Laudato sì, e i numerosi studi che ne sono seguiti, volti a evidenziare, come sostiene il prof. Becchetti[1], che «una società che contrappone soltanto i due principi della libertà e dell’eguaglianza, dimenticando la fraternità, rischia paradossalmente di diventare una società disumana».
L’etica, quindi, come fondamento senza il quale non si può raggiungere la sostenibilità.
Secondo lo sguardo più attento dei ricercatori dell’Università di Jyvaskyla, in Finlandia, la cultura può essere letta in base a diverse punteggiature in rapporto alla sostenibilità:
- può venire intesa come il quarto pilastro (culture in, cioè la “cultura nello sviluppo sostenibile”);
- oppure assumere il ruolo di mediatore degli altri tre pilastri (culture for, cioè la “cultura per lo sviluppo sostenibile”);
- ancora, divenendo il fondamento su cui si basa la sostenibilità (culture as, cioè la “cultura come sviluppo sostenibile”).
Anche l’ONU attribuisce rilevanza all’aspetto culturale, al punto tale che la sua Agenzia per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, l’UNESCO, ha stilato un documento corposo per gli indicatori tematici sulla “Cultura 2030”, il cui obiettivo è quello di supportare e integrare gli indicatori globali concordati all’interno dell’Agenda 2030 per misurare il contributo della cultura all’attuazione nazionale e locale dei 17 SDG’s.
Un ulteriore studio di grande successo[2] definisce delle condizioni propedeutiche senza le quali non è possibile immaginare uno sviluppo sostenibile e il raggiungimento della sostenibilità: si tratta del “modello della ciambella” (doughnut economics), nel quale all’interno dello spazio sicuro ed equo in cui può prosperare l’umanità vengono soddisfatti tutti i bisogni di ogni persona (cibo, acqua, alloggio, lavoro, sanità, istruzione, giustizia, etc.), salvaguardando simultaneamente il mondo vivente dal quale dipendiamo, cioè, i nove confini planetari del tetto ecologico che non possiamo sconfinare. È uno studio che offre una semplicità di visione rispetto alla complessità del mondo in cui viviamo e in cui un ruolo fondamentale è giocato dalla capacità di investire in cultura per coltivare un nuovo disegno dell’economia, dell’uomo economico e di ciò che serve all’umanità: una cultura rigenerativa e distributiva, per raggiungere la quale è necessario un nuovo framework culturale in cui vi sia una propensione al cambiamento, all’interdipendenza, alla riconoscenza sociale, alla collaborazione e alla creazione di network relazionali.
Culture organizzative e leadership
Anche a livello di singole organizzazioni, ci si rende conto che la cultura organizzativa è decisiva nel perseguire obiettivi legati alla sostenibilità.
Il tema delle culture organizzative è da anni oggetto di analisi e interventi; e – come molti esperti hanno sottolineato – la leadership è uno degli aspetti chiave per indirizzare la cultura organizzativa.
Tutti i principali standard in tema di ambiente (ISO 14001), sicurezza (ISO 45001) e responsabilità sociale (ISO 26001, SA8000) sottolineano l’esigenza della partecipazione e del coinvolgimento della leadership aziendale e di ogni collaboratore a ogni livello, con competenza e consapevolezza.
Ad esempio, nella norma ISO 14001, che mette a fuoco i sistemi di gestione organizzativi per l’ambiente, la direzione viene esortata all’impegno e alla leadership in diversi punti dello standard, come al paragrafo 5 che recita “L’alta direzione deve dimostrare leadership e impegno nei confronti del sistema di gestione ambientale”. Nella gestione del sistema occorre “intraprendere azioni per acquisire le necessarie competenze” (paragrafo 7.2) e assicurare anche ai diversi ruoli consapevolezza degli aspetti ambientali (paragrafo 7.3). Al paragrafo 5.1 si dice che la direzione supporta gli altri ruoli gestionali nel dimostrare come attuare la propria leadership nelle rispettive aree di responsabilità.
La leadership ha un ruolo chiave, inoltre, nell’incrementare la soddisfazione sul lavoro dei propri collaboratori e gli ultimi studi scientifici in materia evidenziano che la job satisfaction genera voluntary workplace green behaviour (VWGB): le organizzazioni che hanno una politica ambientale strategica devono riconoscere lo stretto legame con la job satisfaction, la job performance e la retention, attività nelle quali la leadership detiene le leve per la loro gestione e il loro miglioramento (cfr. nota 1 nei Riferimenti bibliografici).
Un interessante studio inglese (cfr. nota 2 nei Riferimenti bibliografici) categorizza, inoltre, i leader che decidono di affrontare obiettivi sostenibili in 5 gruppi di competenze.
Nei 5 gruppi emergono le competenze necessarie per raggiungere obiettivi sostenibili, come evidenziate nella tabella: il vision thinker, il change agent, l’inclusive operator (questi ultimi 2 gruppi sono quelli che impattano maggiormente in senso positivo sull’efficacia degli obiettivi di sviluppo sostenibile), l’ethically oriented e, infine, il results driven.
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Categorie di Leader | Descrizione | Competenze |
Vision Thinker | Un leader che ha una comprensione interdisciplinare e visionaria, con una capacità strategica e un’abilità di prevedere il futuro e di perseverare nelle difficoltà | Esplora nuove e continue possibilità Sviluppa strategie Raggiunge gli obiettivi Fornisce intuizioni |
Change agent | Un leader disposto a sfidare punti di vista consolidati, a cogliere opportunità e ad abbracciare il cambiamento con ottimismo | Genera idee Sfida nuove idee Pensa positivamente Coglie le opportunità Convince le persone Abbraccia i cambiamenti |
Inclusive operator | Un leader inclusivo che comprende la motivazione degli altri, con un atteggiamento premuroso e un approccio collaborativo che genera fiducia nella sua leadership | Consolida i rapporti Valorizza le persone Comprende le persone Team working Dirige le persone |
Ethically oriented | Un leader orientato eticamente, determinato ad agire con integrità, con un approccio etico e che costruisce rapporti basati sulla fiducia | Interagisce con le persone Sostiene gli standard Trasmette fiducia in se stessi Responsabilizza le persone |
Results driven | Un leader orientato al risultato e all’azione, con una passione per l’apprendimento, con la capacità di ‘far accadere le cose’ e fiducioso delle sue decisioni | Sviluppa competenze Articola informazioni Prende decisioni Agisce Impressiona le persone |
Dalla cultura ai comportamenti
I comportamenti sono la parte visibile di fenomeni sociali e psico-sociali ben più complessi. I comportamenti hanno radici nell’individuo (le sue motivazioni, i suoi valori, le sue competenze, ecc.) e nel suo intorno sociale (interazioni con altri, collaborazione, comunicazione, ecc.).
Affinché i comportamenti e le decisioni siano orientati alla sostenibilità, svolge un ruolo importante la cultura organizzativa.
Anche se lo studio dei comportamenti di sostenibilità è un settore relativamente nuovo, vi sono diversi articoli scritti da ricercatori, accademici o consulenti che investigano sulle correlazioni tra le numerose variabili culturali aziendali. Non solo, alcuni studi dimostrano come la corporate sustainability performance sia strettamente correlata con gli aspetti culturali.
Ciò che caratterizza gli studi nel campo della sostenibilità aziendale è il fatto che per ragionare e raggiungere obiettivi in tema di sviluppo sostenibile, le aziende devono far maturare al proprio interno la consapevolezza sull’importanza degli obiettivi ambientali e sociali, in aggiunta a quelli economici: devono, cioè, favorire un contesto culturale appropriato per promuovere la sostenibilità, un set di valori condivisi, compresi e incorporati nell’organizzazione, relativi ai cambiamenti strategici per allineare la sostenibilità alle performance organizzative.
In conclusione, sebbene la cultura rimanga uno dei concetti più fragili nel dibattito accademico sulla sostenibilità, la strada è segnata: non è più immaginabile lo sviluppo sostenibile a tre pilastri, la cultura ricopre un ruolo strategico e, fortunatamente, l’Agenda 2030 lo evidenzia senza possibilità di fraintendimenti.
Note
[1] Docente ordinario di Economia, all’Università di Roma Tor Vergata
[2] L’economia della ciambella. Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo, di Kate Raworth, Edizioni Ambiente, Milano 2017.
Riferimenti bibliografici
- «A cross level investigation on the linkage between job satisfaction and Voluntary Workplace Green Behaviour (VWGB)», di AndreaKim, Youngsang Kim, Kyongji Han, 2018.
- «Behavioural competencies of sustainability leaders: an empirical investigation, Beth Knight and Fred Paterson, 2017
- «Culture, Development andSustainability: The Cultural Impact of Development and Culture’s Role in Sustainability», di Shina-Nancy Erlewein, 2017.
- «Assessment of corporate culture in sustainability performance using ahierarchical framework and interdependence relations», di Shamimul Islama, Ming-Lang Tsengb e Noorliza Karia, 2019
- «Culture in, for and as sustainable development. Investigating cultural sustainability»“, University of Jyvaskyla, 2015
- «The Measurement of Green Workplace Behaviors: A Systematic Review», di Virginie Francoeur, Pascal Paillè, Alexander Yuriev e Olivier Boiral, 2019.
- «Is sustainability knowledge half the battle? An examination of sustainability knowledge, attitudes, norms, and efficacy to understand sustainable behaviours», di Adam Zwickle et al, 2016.
- «Modeling predictors of restaurant employees’ green behavior: Comparison of six attitude-behavior models», di Yao-Fen Wang, 2016.
Articolo a cura di Carlo Bisio e Silvana Carcano