“Stare insieme”: una opportunità per il successo organizzativo
“Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia.”
(da Lettera ad una professoressa, -don- Lorenzo Milani)
I vantaggi di “stare insieme”: la comunità di pratica
Per il fatto di essere occasione per mettere a fattor comune storie, linguaggi, routine, sistemi di attività, valori, l’esperienza definita comunità di pratica rappresenta l’espressione massima di quel processo collaborativo in grado di generare condivisione di modalità di azione, ma anche interpretazione della realtà. Essa quindi risulta utile a promuovere, da un lato, l’incremento dei saperi dei singoli; dall’altro, l’attivazione di azioni concrete d’identificazione dei ruoli: azioni che si dimostrano essenziali soprattutto nelle circostanze i cui sia necessario un cambiamento organizzativo. Al successo di questa forma aggregativa contribuisce certamente lo “stare insieme” giacché consente una interpretazione condivisa della realtà: passaggio che rende particolarmente positiva la formazione degli individui interessati, che risultano maggiorente disponibili a intraprendere e seguire percorsi di aggiornamento/ampliamento delle proprie conoscenze[1].
Nate attorno a interessi di lavoro condivisi – in genere problemi comuni da gestire e risolvere in condizioni d’interdipendenza cooperativa – le comunità di pratica rappresentano forme di negoziazione implicita tra gli attori organizzativi, che hanno come effetto la realizzazione di legami capaci di determinare quella intesa che alimenta lo stare insieme con regolarità, riuscendo a porre in secondo ordine i vincoli organizzativi di tipo gerarchico, che sovente rendono farraginosi le fasi dei programmi di formazione generando barriere comunicative tra i diversi ruoli[2]. Ma c’è di più: le comunità di pratica hanno il pregio di irrobustire il senso di appartenere ad un “unicum” professionale finalizzato a conseguire obiettivi condivisi quando non addirittura comuni. Queste comunità, pertanto, come esposto nella figura, risultano vocate a generare apprendimento organizzativo, atteso che le persone che ne fanno parte – costituendo nel loro insieme una organizzazione informale all’interno di organizzazioni formali più ampie, articolate e complesse – riescono a condividere esperienze che assurgono quasi alla funzione di “cassetta degli attrezzi”.
I partecipanti alle attività delle comunità di pratica, infatti, con il loro apporto accrescono il senso d’identità professionale e realizzano una rete di relazioni e di contatti che certamente può condurre al concreto rinnovamento delle organizzazioni di riferimento dei soggetti interessati in quanto incrementano i saperi dei singoli. Dunque le comunità di pratica vanno riconosciute quali significative ed efficaci risorse per l’aggiornamento professionale dei partecipanti che in esse apprendono quello che serve e non quanto venga loro imposto.
Comunità di pratica e formazione
La formazione che si sviluppa attraverso l’incontro di coloro che costituiscono una comunità di pratica sembra soddisfare l’esigenza dello empowerment oriented, giacché incanalando il trasferimento delle conoscenze verso lo sviluppo delle risorse integrali della persona genera auto direzione dell’apprendere[3] e contestualmente stimola la responsabilità delle persone al lavoro. Ciò in quanto lo “stare insieme” per confrontarsi restituisce centralità all’individuo attraverso la valorizzazione del dubbio e della ricerca di significato come costanti, che caratterizzano ogni esperienza umana (di vita e di lavoro).
Fare formazione ricorrendo alle comunità di pratica – ancor dipiù nel caso che esse operino in via telematica – inoltre, si prospetta capace di alleviare ogni possibile fatica sia nell’apprendere che nel mettere in atto le conoscenze condivise, soprattutto allorquando diventasse possibile superare i limiti della episodicità delle iniziative formative assumendo come stabile il format del lavorare come “unicum”. Lo strumento telematico, coniugato alla metodologia della comunità di pratica , infatti, se pure nella consapevolezza che la facilità della partecipazione alle comunità di apprendimento in rete non produce necessariamente qualità dei messaggi, appare utile a rafforzare la mission dei soggetti che hanno scelto di aderirvi e rende la formazione dei diretti beneficiari patrimonio sociale, che oltre a contribuire a elevare la qualità delle organizzazioni diviene leva strategica per la vita del Paese e dei suoi cittadini[4].
E ciò ancor in misura maggiore laddove il ricorso alla telematica si potesse concretizzare in un vero e proprio network (anche attraverso le possibilità di personalizzazione e di relazione offerte dal Web) sia per favorire il senso di appartenenza e di responsabilità dei singoli sia per accrescere motivazione spingere a un impegno nel mantenimento di contatti finalizzato a fare perdurare le condizioni favorevoli all’apprendimento[5].
Il ruolo del management
Il successo di ogni organizzazione e la realizzazione di eventuali processi di cambiamento investono il ruolo del management dal momento che ad esso compete essere vincente esercitando una funzione di guida che, attraverso l’adozione degli strumenti di valorizzazione delle persone al lavoro[6] metta gli altri membri della organizzazione in grado di lavorare proficuamente.
Da qui la necessità che per rendere vincente lo “stare insieme” le organizzazioni siano guidate e popolate da leader adattivi che riconoscano anche l’importanza della fiducia nei rapporti interpersonali e, lungi dal sentirsi sicuri di non sbagliare mai o che gli altri saranno sempre all’altezza delle aspettative, vivano nell’accettazione dell’incertezza, dei rischi e delle debolezze, protesi verso il successo e pronti a superare qualsivoglia crisi[7].
A questi dirigenti si chiederà di esprimere quella leadership che, per quanto attiene alla formazione del personale, sappia promuova iniziative adeguate ad una platea di persone al lavoro più ampia possibile, senza dimenticare che la crescita del soggetto e le potenzialità evolutive presenti nell’ambiente lavorativo sono strettamente connesse[8].
Dal momento che l’organizzazione è un sistema (vivente) la presenza di leader adattivi potrà certamente permetterle di rispondere alle sollecitazioni verso il cambiamento nella consapevolezza che la modifica di un sotto-sistema ha ripercussioni, più o meno prevedibili, su altri sotto-sistemi[9]. Ogni organizzazione, quindi, andrà presidiata da un processo dinamico in grado di produrre idee; in altri termini, è necessario che il management (nella metafora dell’organo, la testa) dia spazio alla creatività, che Bertone sostiene essere l’abilità di pensare fuori dagli schemi, arrivando a conclusioni nuove e funzionali, adatte a risolvere un problema o cogliere una opportunità[10]. Un manager adattivo, dunque, ricorrendo alla creatività sarà in grado di utilizzare la più potente fonte di energia e di motivazione non soltanto per conseguire gli obiettivi dell’organizzazione, ma pure per dare spazio all’affermazione professionale e alla crescita di tutte le persone che sono nell’organizzazione e che vivono relazioni e rapporti interpersonali[11]. Di tutta evidenza quindi il vantaggio che deriverebbe ove l’adattività del management riuscisse a coniugare lo spirito d’iniziativa (la creatività) con il metodo formativo delle comunità di pratica, in quanto genererebbe flessibilità verso la produzione delle soluzioni possibili per ogni problema.
Note
[1] Cfr. Kolb A.Y., Kolb D.A., On becoming a Learner: the Concept of Learning Identity. CAEL Forum and News, 2009.
[2] Si veda Wenger E., Communities of practice – Learning, meaning, and identity, Cambridge University Press, 1998.
[3] Bochicchio F., Di Sabato T., Apprendimento e cambiamento nelle organizzazioni, Libellula edizioni, Tricase, 2018.
[4] Bochicchio F., Di Sabato T., Complessità organizzativa e risorse umane, Libellula Edizioni, Tricase, 2011.
[5] Scala C., Società, formazione e tecnologie emergenti tra auto- ed eterodirezione, FOR • Rivista per la formazione, n. 85, 2010.
[6] De Giosa V., Di Sabato T., Cambiare le organizzazioni, Libellula Edizioni, Tricase, 2015.
[7] Sono propri del leader adattivo, in particolare, “l‘intelligenza emotiva” (vale a dire la capacità di cogliere sentimenti ed emozioni delle persone al lavoro per rispondere alle preoccupazioni degli altri con empatia); “la risoluzione dei problemi” (i leader adattivi si propongono di risolvere i conflitti per pervenire a un risultato reciprocamente vantaggioso).
[8] Bochicchio F., Convivere nelle organizzazioni, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2011.
[9] Oggero L., L’organizzazione è una metafora, Franco Angeli, Milano, 2004.
[10] Bertone V., Creatività aziendale, Metodi, tecniche e casi per valorizzare il potenziale creativo di manager e imprenditori, Franco Angeli, Milano, 1993.
[11] De Giosa V., Di Sabato T., Le organizzazioni di successo, Youcanprint, Lecce, 2020.
Articolo a cura di Tommaso Di Sabato
Docente presso la Scuola di Alta Formazione della UNINT- Roma e Collaboratore del Consorzio Interuniversitario sulla Formazione – Torino.
Già Direttore vicario della Ripartizione Risorse Umane di UNISALENTO e Professore a contratto dei Corsi di Laurea in Scienza dell'Amministrazione - Facoltà di Giurisprudenza di UniTELMA – Roma.