Strategie di leadership per le persone al lavoro non più giovani

Nel suo “de Senectude”, che prende spunto dalla favola mitologica del troiano Titone, il retore e filosofo latino Cicerone smentisce che la vecchiaia distolga l’uomo dalla vita togliendogli vigore fisico e privandolo delle gioie e delle passioni. Di tutti i paragrafi del suo panegirico sulla età matura colpisce particolarmente il paragone utilizzato per confutare l’affermazione che “i vecchi non sono adatti all’attività politica”, in quanto “somigliano al timoniere che “in navigazione non fa nulla, dato che altri salgono sugli alberi, altri corrono su e giù sui ponti, altri svuotano la sentina dall’acqua, mentre lui, tenendo la barra del timone, se ne sta in risposo, seduto a poppa!”[1].

L’acuto esempio dell’autore permette di dare il giusto rilievo al vantaggio apportato alla organizzazione del lavoro dalla competenza e dalle qualità delle persone in età matura, che gli indicatori statistici oggi pongono alla frontiera dei 45/50 anni, e stimola a prendere in considerazione le possibili strategie di leadership per utilizzare al meglio le persone al lavoro non più giovani.

Metodiche ancora più urgenti se si pensi al sensibile innalzamento della speranza di vita della popolazione italiana[2] – come effetto dei successi conseguiti dalla scienza medica – o si prendano in esame i più recenti dati resi noti dall’ISTAT riguardo a “La situazione del Paese”.

L’Istituto Nazionale di Statistica, infatti, nel RAPPORTO relativo al 2019[3] ha ipotizzato che nell’anno 2050, a fronte di un calo complessivo della popolazione dai 60,4/60,3 milioni di abitanti (tra il 2019 e il 2030) ai 58,2 milioni, si determinerebbe in Italia un consistente consolidamento del fenomeno dell’invecchiamento demografico. Per effetto di quanto innanzi, secondo ipotesi più o meno ottimistiche, la quota di ultra65enni sul totale della popolazione potrebbe ulteriormente aumentare – tra 9 e 14 punti percentuali – rispetto al livello del 2018 (pari al 23 per cento) facendo registrare un calo di circa dieci punti percentuali dell’insieme di popolazione compreso tra i 15 e i 45 anni di età.

All’avverarsi delle previsioni innanzi esposte certamente si dovrebbe registrare un riverbero in negativo sulla di crescita economica della nazione per via delle ricadute sulla composizione e sulle qualità del capitale umano disponibile nel mondo del lavoro con la conseguenza anche di effetti significativi sulla struttura e sulla misura della spesa per il welfare (pensioni e sanità decisamente in prima linea).

Da qui l’impellente necessità che le organizzazioni (comprese quelle che costituiscono l’insieme della pubblica amministrazione), nella consapevolezza che la problematica legata all’invecchiamento demografico presenta implicazioni connesse vuoi al ruolo da affidare alle persone al lavoro senior vuoi alle pratiche organizzative per valorizzarle, pensino ad attrezzarsi convenientemente per mettere in campo interventi in grado di selezionare e valorizzare le persone al lavoro non più giovani da utilizzare.

Come si ricava dai cospicui e autorevoli contributi raccolti da Tiziano Treu sul tema delle politiche attive per la terza età in Italia[4], difatti, la valorizzazione delle persone al lavoro può costituire un contributo decisivo per quello che l’autore classifica come un “invecchiamento riuscito”. Ciò con evidente vantaggio sia per le politiche del welfare nazionale che per l’efficienza delle organizzazioni che vogliano e sappiano impiegare al meglio le competenze dei non più giovani.

Il ricorso alle pratiche organizzative in questione appare improcrastinabile anche perché in conseguenza del tendenziale aumento del calo delle nascite è del tutto evidente che il mercato del lavoro si troverà a dovere fare fronte al fenomeno di una riduzione della mano d’opera giovane (iunior).

Il complesso di queste iniziative, da inserire a giusta ragione, nelle politiche del Diversity management, che si occupano di favorire l’integrazione e la valorizzazione dei dipendenti di un’azienda, costituirà l’opportunità per generare valore aggiunto soprattutto nel caso in cui dirigenti consapevoli e capaci, presa in considerazione l’età anagrafica di ogni singolo lavoratore, sapranno porre in essere convenientemente i modelli organizzativi specificatamente destinati al migliore impiego delle persone al lavoro non più giovani, che la letteratura scientifica assembla col termine di Age management.

Il rapporto tra occupazione e Age management ha cominciato ad acquisire un peso rilevante nelle economie e nelle strategie politiche della UE già nel 1994 con il “Consiglio europeo di Essen” e la “Risoluzione sull’Occupazione dei lavoratori in età matura” dell’anno seguente, che concretizzano l’interesse verso “provvedimenti speciali da prendersi nei confronti della difficile situazione delle donne disoccupate e dei lavoratori in età matura”[5] e delineano i principi chiave delle azioni possibili alla stregua di “buone pratiche”.

Quelle pratiche, riconducibili a progetti innovativi configurati come modelli d’intervento esportabili, che si connotano in base ad elementi standard ampiamente esposti nella ricerca ISFOL nel 2008, costituiscono i presupposti di un “Piano nazionale per l’invecchiamento” destinato alla innovatività, alla sostenibilità e all’integrazione di genere[6].

I parametri forniti dai ricercatori ISFOL descrivono un nuovo mercato del lavoro con cui le organizzazioni si debbono confrontare in conseguenza sia della minore offerta di lavoro – rispetto alla platea dei giovani- sia della necessità di porre mano alle ristrutturazioni aziendali necessitate dalle sfide poste dall’imperversare delle nuove tecnologie e della globalizzazione dei mercati. Dallo studio si ricava pure che, dovendo assicurare la prosecuzione dell’attività lavorativa di aziende ed enti contando anche sulle persone prossime al pensionamento, innanzitutto assumono particolare rilievo i temi che investono le problematiche della salute di cui ai programmi di “Workplace Health Promotion” (WHP) dettagliati dall’OMS in specifiche aree tematiche[7]. Da qui l’impegno per il management di assicurare la salute e il benessere dei dipendenti, innanzitutto di quelli senior, a patire dalla scelta di destinare specifici finanziamenti per consentire non soltanto una diversa gestione del tempo lavorativo (come è ad esempio il “lavoro agile”) ma pure la realizzazione di postazioni ergonomiche convenientemente dotate di attrezzate adeguate ai bisogni fisici delle persone interessate.

La soddisfazione delle condizioni lavorative legate al benessere delle persone al lavoro non più giovani fonda sulla consapevolezza che la gestione dei lavoratori senior è un problema strutturale destinato a durare nel tempo e come tale avente necessità di essere affrontato in maniera tutt’ altro che episodica.

Altra scommessa affidata al management comporta che esso debba impegnarsi a “combattere le barriere d’età, direttamente o indirettamente, a promuovere l’Age diversity a provvedere ad un ambiente di lavoro in cui ogni individuo sia messo in grado di sviluppare il suo potenziale senza essere svantaggiato per via della sua età”[8]. E’ questo il banco di prova per misurare la leadership dei dirigenti che, pertanto, oltre ai consueti interventi correlati agli istituti di sviluppo di carriera e all’abbattimento di eventuali barriere all’effettivo benessere organizzativo, dovranno sapere rimuovere gli ostacoli della diversità generazionale dei dipendenti presenti sul posto di lavoro. Per questo specifico intervento al management va richiesta la capacità di valorizzare le risorse umane attraverso il supporto della loro Work ability. ovvero “la misura in cui un lavoratore è capace di svolgere il proprio lavoro nel presente e nel prossimo futuro, rispetto alle richieste della propria mansione ed alle proprie risorse mentali e fisiche”[9]. Risulta allora di determinante necessità un’attenzione particolare alla progettazione e alla realizzazione di iniziative formative specifiche (nel rispetto dei principi della Lifelong learning) strutturate in appositi “piani di conservazione” delle competenze professionali (valori e talenti) caratterizzati dall’impiego dei senior in qualità di formatori/mentori (coaching) per il trasferimento della conoscenza maturata e della memoria/identità aziendale. A fronte di questa attività, legata al possesso di una profonda fedeltà all’organizzazione e di un alto senso del dovere – dovuti alla maturazione dell’esperienza lavorativa nel tempo congiunta alle competenze acquisite –, i “piani di conservazione” dovranno sapere prevedere anche il Reverse mentoring ovvero quel processo mediante il quale le persone al lavoro iunior – quelle al di sotto dei 45 anni di età con poca esperienza, ma con alta competenza digitale, aiutino i lavoratori senior ad apprendere le nuove tecnologie in una sorta di reciproco scambio di competenze che trova nello “apprendimento cooperativo” l’occasione per generare relazioni e interdipendenze tramite le quali si innesca quel senso di appartenenza che, trasformato “l’io-individualista” in “noi-gruppo“, consente ad ogni soggetto di comprendere meglio i bisogni, , i valori, le motivazioni, le abilità necessarie permettendo di confermare e persino correggere e verificare le azioni dell’agire individuale e sociale per dare la opportuna spinta sinergica verso il successo della organizzazione[10].

Note

[1] Marco Tullio Cicerone, Cato Maior de senectude, VI, 17- (versione Bartolomeo Rossetti).

[2] Come è possibile rilevare dal RAPPORTO BES 2018: il benessere equo e sostenibile in Italia dell’ISTAT, nel 2017 il numero di anni di vita media attesa diminuisce lievemente per le donne, da 85 anni a 84,9, mentre si mantiene a 80,6 tra gli uomini.

[3] RAPPORTO ANNUALE 2019 – La situazione del Paese, presentata da Gian Carlo Blangiardo, Presidente dell’Istat, giovedì 20 giugno 2019 a Roma, nella Sala della Regina di Palazzo Montecitorio

[4] Treu T. (a cura di), L’importanza di essere vecchi. Politiche attive per la terza età, Arel – Il Mulino, Milano, 2012.

[5] Si veda: Mirabile M. L., Nardini L., De Laurentiis A., “Essere over: età, mercato del lavoro e nuovi scenari di welfare”, Quaderni Spinn, n. 23, Italia Lavoro, Rubbettino, Soveria Mannelli, Roma, 2007.

[6] Riccio G., Scassellati A., “Le politiche aziendali per l’age management materiali per un piano nazionale per ’invecchiamento attivo, Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego, n. 1/2008, ISFOL.

[7] Il WHP è definito nella Dichiarazione di Lussemburgo (1997) come “Lo sforzo congiunto di imprese, addetti e società per migliorare la salute e il benessere dei lavoratori”.

[8] Walker A., “The emergence of age management in Europe”, International Journal of Organisational Behaviour, Volume 10 (1), 2005.

[9] Ilmarinen J., “Work ability – a comprehensive concept for occupational health research and prevention”, Scandinavian Journal of Work, Environment & Health, vol. 35(1), pp. 1–5, 2008.

[10] Cfr. De Giosa V., Di Sabato T., Le organizzazioni di successo, Youcanprint, Lecce, 2020.

 

 

Articolo a cura di Tommaso Di Sabato

Profilo Autore

Docente presso la Scuola di Alta Formazione della UNINT- Roma e Collaboratore del Consorzio Interuniversitario sulla Formazione – Torino.
Già Direttore vicario della Ripartizione Risorse Umane di UNISALENTO e Professore a contratto dei Corsi di Laurea in Scienza dell'Amministrazione - Facoltà di Giurisprudenza di UniTELMA – Roma.

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