“L’errore di Cartesio”[1] che più spesso mi trovo ad osservare nelle realtà aziendali e nelle donne con importanti ruoli manageriali, è, non tanto nel modo di attuare un certo stile di Leadership piuttosto che un altro, ma nel fatto che tendenzialmente vi è una sorta di sottile automatismo che porta ad imitare un atteggiamento leader tipicamente maschile, andando a negare la propria femminilità, anziché usarne tutto il potere.
Ma cosa significa nello specifico questo?
E cosa intendo per Errore di Cartesio?
Partiamo dal principio, il culto più importante che possiamo far risalire agli albori della nostra civiltà è certamente il culto della Dea Madre, abbiamo testimonianze e raffigurazioni delle Veneri Paleolitiche o Steatopigie (dal greco “dalle grosse natiche”) e quindi il loro culto, già circa 2,5 milioni di anni fa fino all’avvento dell’agricoltura (10.000 anni fa circa)
Questo ci permette di specificare che le società originarie non fossero tanto di struttura matriarcale quanto il fatto che femminile e maschile avevano pari valore e pari peso cultuale.
Le molte caratteristiche legate al culto del femminile sono state ovviamente mantenute nelle civiltà più recenti e per noi determinanti:
Mondo Greco/Romano:
Cibele era la Grande Madre, di uomini e Dei, quindi la prima fra gli Dei, la mai nata, l’eterna. Come tutte le Dee mediterranee e asiatiche era Vergine, ma nel senso antico.
La vergine non era colei che si asteneva dall’accoppiamento, ma colei che non era sottoposta all’uomo, che non aveva marito. Infatti già tra i Romani la vergine nel senso odierno era chiamata “virgo intacta”. Così la Dea partorì un figlio, Attis, addirittura senza il concorso del maschio
Mondo Arabo:
tre dee rappresentavano come in ogni matriarcato i tre aspetti della dea. Erano Al-Uzza, Allat e Manat, la madre, la fanciulla, la vecchia.
Allah la versione maschile del termine Allat, la dea pagana venerata dal mondo arabo antico, citata anche nel Corano.
Ebraismo:
Il termine Shekhinah deriva dal verbo ebraico “שכן”, con il significato letterale di “stabilirsi, abitare” (ed è in questo senso molto presente nella Tanakh, ad esempio in Esodo 40:35, Genesi 09:27 e 14:13, Salmi 37:3, Geremia 33:16) e può significare anche “regalità” o “residenza regale” (come nel Salmo 132:5): conseguentemente, nel classico pensiero ebraico, la Shekhinah si riferisce ad una abitazione o a una dimora della presenza divina, nel senso che, mentre in prossimità della Shekhinah, la connessione a Dio è più facilmente percepibile.
Ciò che risulta più interessante è la personificazione della Shekhinah con attributi femminili presente nel Talmud, che ha fatto pensare ad un retaggio culturale riferito ad una divinità arcaica, una sorta di “sposa di Dio”
Il patriarcato e tutti i valori ad esso legato, è insomma storia recente.
Queste divinità ci raccontano cosa è il femminile…
Ma cosa è il femminile?
Il femminile è tutto ciò che è legato al corpo, alla terra, alla creazione, alla soluzione; il femminile è materia, sostanza, accoglimento, sostegno. E’ grazia e imprevedibilità, è pragmaticità e dialettica. Il femminile è crogiolarsi nella multi-dimensionalità, nel percepire comune, nel sentire ambiguo.
Tutte queste caratteristiche se conosciute, se padroneggiate sono competenze formidabili nell’ambito del lavoro, tanto più se esplicabili in campi dirigenziali/manageriali.
MA…
C’è un ‘ma’…
Gli ultimi millenni di imponderabile struttura patriarcale e maschilista della società, ha ottenebrato, quand’anche ammutolito (vd caccia alle streghe e simili) quel manifestarsi del femminile tanto tracotante, per l’uomo, e debilitante; così da impostare un sistema educativo, dove le tradizioni femminili tramandante segretamente ancora per lungo tempo, hanno finito per perdersi, per iniziare a svanire sotto l’arbitrato fallico.
Allora le madri di oggi, non sanno, non ricordano… le nonne temono nel raccontare, non si può parlare di petali di rosa e Luna, è stregoneria, la verità è analitica, scientifica, logica… appunto fallica; e questo si traduce nel lavoro e la donna vi si deve assoggettare necessariamente rispettandone le leggi quand’anche essa si trova ad essere la legge:
La donna a capo di un gruppo sente, per riuscire, di dover agire, combattere, difendere, sovrastare, avvantaggiare, sempre più, sempre oltre… secondo uno schema maschile, totalmente maschile, si può osservare come questi termini appartengano ad un vocabolario bellico … ambito che non ha nulla a che fare appunto…con il femminile.
Cosa allora compete il femminile?
Questo è ciò che scopriamo a studio, perché deve essere vissuto e scoperto.
Vero è che da junghiana, ritengo ogni individuo composto di anima e animus, cioè una parte femminile e una maschile, ma per poter vivere in completezza entrambe le parti devono esser scoperte e vissute in equilibrio
Allora “L’errore di Cartesio”, con cui si apre l’articolo, vuole proporre un parallelismo liberamente ispirato con il contenuto del testo di Damasio, dove si reintegra la storica separazione tra mente e corpo inaugurata ed esasperata da Cartesio. Stessa reintegrazione che intendo proporre tra femminile e maschile, un reintegrarsi delle parti, di modo che possano essere liberamente vissute ed espletate in modo totalmente adattivo sia nel mondo privato che lavorativo, sia dell’uomo leader sia della donna leader.
“L’Errore di Cartesio”, Antonio R. DAMASIO; Biblioteca Scientifica 22
“Origini della Scrittura” Emmanuel ANATI ; Casa Editrice. Atelier
“Origine delle Religioni” Emmanuel ANATI ; Casa Editrice. Atelier
“Anatomia della Pace. Come risolvere le origini dei conflitti” The Arbinger Insitute
[1] “L’Errore di Cartesio” Damasio
Articolo a cura di Agnese Scappini
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